EUROPA E L'EMIGRAZIONE
L’ EUROPA , OGGI
Una EUROPA ( Unione Europea ) , che chiude gli occhi , si
tappa le orecchie e sta muta di fronte al drammatico ed epocale fenomeno
maxi-migratorio di milioni di esseri umani , che fuggono dalle Regioni africane
e medio-orientali , questa Europa NON ESISTE come realtà politica , ma è esclusivamente
una “ cassaforte “ per usurpatori di
risorse altrui.
Sono 28 i paesi membri dell’UE :
Austria , Belgio , Bulgaria , Cechia , Cipro , Croazia
, Danimarca , Estonia , Finlandia , Francia , Germania , Grecia , Irlanda ,
Italia , Lettonia , Lituania , Lussemburgo , Malta , Paesi Bassi , Polonia ,
Portogallo , Regno Unito , Romania , Slovacchia , Slovenia , Spagna , Svezia ,
Ungheria .
Le ex colonie
Riguardo
alle colonie del tempo passato :
La Gran
Bretagna non ha più l’India, la Malesia, il Kenya, la Rodesia, e neanche Hong
Kong.
Le colonie spagnole non esistono più da tempo .
L’Italia ha
perso la Libia e l’Etiopia.
I portoghesi hanno abbandonato l’Angola e il
Mozambico.
I francesi hanno perso il Vietnam e l’Algeria .
Gli olandesi , dopo la seconda guerra mondiale , hanno
perso l’Indonesia .
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Riguardo alle COLONIE DI OGGI
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La Gran
Bretagna ha
come colonie :
Gibilterra, le
Bermuda, le Isole Falkland (o Malvine), e molti altri posti nel mondo, tra i
Caraibi e l’Atlantico meridionale, come le Isole Vergini britanniche,
Sant’Elena e Tristan da Cunha.
La Spagna ha un
paio di posti nel vicino Marocco (Ceuta e Melilla).
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L’Olanda ha ancora delle isolette dei
Caraibi: Saba, St.
Eustatius, St. Marteen, Curacao e Bonaire.
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La Nuova Zelanda ha un paio di colonie: Niue e le
Isole Pitcairn.
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Gli Stati Uniti ne hanno diverse , tra cui
Portorico, le Samoa americane, Guam, le Isole Vergini americane e la più
famigerata di tutte: la baia di Guantanamo.
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La
Francia è quella che oggi ha più colonie:
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nel Pacifico
c’è la Polinesia francese, la Nuova Caledonia e Wallis e Futuna.
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In Sudamerica c’è la Guiana francese.
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Nei Caraibi
hanno la Martinica, St. Barthélemy e Guadalupe. Nell’America settentrionale,
dalle parti di Terranova, St. Pierre e Miquelon.
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Al largo del
Madagascar hanno l’isola della Réunion.
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In Africa
non hanno colonie , ma è di stanza la Legione straniera.
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Inoltre , sono due i gruppi di Paesi
africani ad usare il franco CFA. Un primo gruppo di sei Paesi dell’Africa
centrale, riuniti nella Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale
(Cemac). E un secondo gruppo di otto Paesi dell’Africa occidentale, riuniti
nell’Unione economica e monetaria ovest-africana (Uemoa). Il primo gruppo ha
come istituto di emissione la Banque centrale des États de l’Afrique de l’Ouest.
Il secondo gruppo la Banque des États de l’Afrique centrale. Sono due valute
non intercambiabili. Dopo l’introduzione dell’euro il valore del CFA è stato agganciato alla nuova
valuta (1 Euro = 655,957 franchi CFA).
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Tra i vantaggi derivanti
dall’adozione di questa valuta vi è senza dubbio una sorta di scudo contro
la svalutazione e rappresenta una garanzia anche in termini di integrazione
regionale, facilitando gli scambi tra i Paesi che lo utilizzano. Riguardo agli svantaggi , il più evidente è di
costituire un potenziale freno allo
sviluppo di questi Paesi. A farne le spese sono soprattutto i produttori
africani desiderosi di esportare i loro beni in Europa. Il cambio fisso rende
molto costose le loro merci e agevola gli agricoltori francesi ed europei.
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La
Francia tassa questi 14 Paesi africani, investendo il 50%
delle loro riserve (custodite presso la Banca centrale) in titoli di Stato
francesi.
Al di là di
ciò l’Africa rimane strategica per la Francia. Minacciata dall’espansione della Cina, ormai primo
partner commerciale del Continente nero, ma insidiata anche dall’aggressiva
concorrenza di India, Brasile e Turchia,
decisi ad accaparrarsi le risorse africane, Parigi è determinata a difendere i
suoi interessi con le unghie. In gioco ci sono l’uranio del Niger e della
Repubblica Centroafricana, il petrolio del Gabon e del Ciad, le risorse
agricole di altri Paesi, i metalli della Guinea Conakry.
A questi si
aggiungano i legami culturali tra Africa e Francia: più di 100 milioni
di africani parlano francese, la metà delle persone che parlano francese nel
mondo. In Francia circa 4 immigrati su 10 arrivano dall’Africa, soprattutto dal
Maghreb. Il legame – in molti aspetti controverso - che unisce l’Africa
francofona e la Francia affonda le radici nei secoli. Ma resta un legame
solido.
Quando lo ha
ritenuto necessario, Parigi non ha mai esitato a intervenire militarmente
nelle sue ex colonie. È accaduto in Costa d’Avorio durante la sanguinosa guerra
civile che sconvolse il Paese del cacao tra il 2002 e il 2004. Poi è stata la
volta del Ciad, nel 2006. Oltre alla missione Onu contro Gheddafi, sempre nel
2011 i militari francesi partecipavano nuovamente in Costa d’Avorio all’ultima
offensiva catturando il presidente uscente, Laurent Gbagbo. Non finiva qui.
L’avanzata jihadista in Mali ha spinto Parigi ad una nuova campagna militare
nel 2013. La quale rispondeva ufficialmente alla guerra contro il terrorismo
islamico. Ma vi era altro. Parigi non poteva permettersi di perdere le ricche
miniere di uranio del vicino Niger. D’altronde la Francia ricava quasi l’80%
della sua produzione di elettricità dall’uranio.
Eppure anno
dopo anno il peso economico della Francia si è ridotto. Dal 2000 la
quota di mercato dell’export verso l’Africa si è dimezzata passando dall’11 al
5,5 per cento. E dal 2017 non è più Parigi a guidare la classifica dei primi
fornitori europei dell’Africa. Berlino l’ha scavalcata.
Il colonialismo moderno
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Dal XIX secolo il colonialismo moderno si è
volto allo sfruttamento delle risorse dei paesi colonizzati. La penetrazione
coloniale nell’entroterra in Africa è avvenuta solitamente dopo spedizioni
esplorative, che hanno dato idea delle risorse dei vasti territori. In seguito
a ciò, le potenze europee decidono di impossessarsi dei territori africani per
avere fonti di risorse prime, nonché avere importanti basi commerciali. Talora
è importante anche l’idea di avere dominio su vasti territori dove poter
inviare molti cittadini della madrepatria (che così si libera di una parte
eccedente della propria numerosa popolazione).
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Inizia allora l’espansione coloniale, che
raggiunge il suo apice nella seconda metà del novecento.
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1. Le potenze europee iniziano una vera e
propria “corsa alle colonie”: ogni paese invia in Africa contingenti militari
per occupare i vasti territori africani dell’entroterra, formalmente ancora
appartenenti a nessuno secondo gli europei (l’Africa era dichiarata res
nullius) e ciò permetteva agli europei di appropriarsene senza scrupoli e
ufficialmente, poiché era territorio sotto nessuna giurisdizione. I territori
venivano occupati sia con la forza sia con la diplomazia (concludendo trattati
con i capi dei popoli africani, con cui cedevano la loro sovranità alle potenze
europee). Successivamente, i territori occupati dalle truppe vengono proclamati
colonie dalla madrepatria, che ora li considera come suo territorio.
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2. Dopo la semplice occupazione per mano dei
militari del territorio, la madrepatria decide gradualmente la creazione di
un’amministrazione e un esercito nelle colonie, modellate secondo il modello
europeo.
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Ovviamente la madrepatria ha interesse a
mantenere il potere per mezzo di queste creazioni; inizia così l’invio di
cittadini bianchi della madrepatria, che diventano i detentori del potere nelle
colonie e la loro classe dirigente (seppur sempre soggetta alle decisioni della
madrepatria). Essi mantengono nelle proprie mani ogni posto di potere politico;
infatti solo funzionari bianchi occupano le posizioni chiave di potere
nell’amministrazione e nell’esercito delle colonie create dalla madrepatria. I
bianchi occupavano anche ogni posto di potere economico; infatti i bianchi si
arricchiscono impiantando ovunque imprese volte allo sfruttamento delle risorse
delle colonie (latifondi e piantagioni, imprese minerarie ed industriali),
impiegando come manodopera sottopagata gli indigeni locali. Ovviamente da ciò
trae profitto economico la madrepatria, verso cui vengono esportate queste
risorse. Il potere è in mano ai bianchi (sempre una minoranza rispetto alla
popolazione indigena).
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Il loro dominio è imposto alle popolazioni
indigene nere, costrette ad accettarlo con la forza; ogni loro tentativo di
resistenza era spezzato dalla violenza delle truppe coloniali bianche.
Sull’atteggiamento dei bianchi verso i neri è determinante la convinzione
razzistica dei colonizzatori bianchi di essere superiori alle popolazioni
indigene. Ciò spiega le vessazioni e talora le atrocità che subiranno i neri da
parte dei bianchi durante il colonialismo. Le truppe coloniali di tutti i paesi
europei ricorrevano spesso, per incutere timore negli indigeni e sedare le loro
ribellioni, a metodi spietati e atrocità, come la distruzione di villaggi, la
cattura di ostaggi che subivano torture, esecuzioni di massa e massicce
deportazioni. In certi paesi si arrivava addirittura allo sterminio di interi
popoli indigeni che si erano dimostrati contrari al predominio.
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Le popolazioni nere si ritrovano integrate nelle
strutture politiche ed economiche create dai colonizzatori bianchi europei,
trovandosi a loro sottomesse: esse sono perciò costrette ad accettare lingua,
religione cristiana e cultura europea. Tuttavia le élite delle popolazioni
indigene (come capi di tribù) spesso possono trarre alcuni vantaggi dal
colonialismo: infatti essi possono avere qualche speranza di ascesa sociale.
Per esempio essi possono presiedere a posti di non molta importanza
nell’amministrazione coloniale creata dagli europei e assorbire la loro
cultura, studiando presso scuole europee. Ma i ceti popolari neri sono
completamente esclusi dalle decisioni politiche. Essi spesso sono ridotti ad
essere dipendenti dai bianchi (come manodopera malpagata al loro servizio o
soldati semplici nell’esercito coloniale), vivendo in condizione di povertà e
ignoranza.
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Il colonialismo ha quindi portato a un
impoverimento dei popoli neri delle colonie, sia in termini economici sia in
termini culturali (infatti, i bianchi hanno distrutto la cultura e lo stile di
vita dei popoli indigeni neri, imponendo il proprio, e sfruttano le loro ricche
risorse naturali). Inoltre la soggezione politica dei neri (imposta dai
colonizzatori bianchi) impedisce loro di sviluppare una coscienza politica e
nazionale e di essere capaci di governarsi autonomamente.
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