VERGOGNA !
Illegalità ,
corruzione , criminalità organizzata ,
politici e funzionari
disonesti , sprechi di pubblico
denaro e
di risorse pubbliche
VERGOGNA !!
ORA BASTA , VOGLIAMO ONESTA’ , ONESTA’ , ONESTA’ E
LEGALITA’ , GIUSTIZIA !
MILIARDI RUBATI
AI CITTADINI ITALIANI ,
AI POVERI ,
AI DISOCCUPATI ,
AI VERI INVALIDI
, A TUTTE LE
PERSONE ONESTE , RISPETTOSE
DELLE LEGGI DELLO STATO , AL FUTURO
DEI GIOVANI
ONESTA’ , LEGALITA’ , GIUSTIZIA
In Italia , il buon
esempio dovrebbe venire
dall’alto , ma così non
è ; anzi
viene dimostrato il
contrario ; il rispetto dei
valori di onestà , legalità e di giustizia , dovrebbe essere provato nei fatti ,
ma così non è , da coloro
che ricoprono cariche
politico-istituzionali , che sono
responsabili della gestione
politica, economica e sociale del Paese
e dai quali
discendono le decisioni
legislative più idonee ed
efficaci per contrastare e combattere il fenomeno della criminalità , specialmente quella
organizzata , la corruzione e la
evasione in campo fiscale .
Mali , questi , ormai talmente diffusi , anche in
posizioni apicali e
nel territorio , nei più
diversi comportamenti relazionali
sia in campo politico che in campo socio-economico , che hanno
colpito e continuano
a ferire in misura
assai grave e
allarmante , spesso e progressivamente in
modo letale, le residue attività
di una economia
sana e produttiva
di questo nostro Paese , peraltro già in difficoltà
a causa di
fattori critici di natura
globale.
Della gravità di
tutto ciò dovrebbero
prendere coscienza tutti
i cittadini italiani , pretendendo , in
maniera forte e plateale ,
di poter
usare urgentemente , in modo
pieno e libero , i propri diritti
costituzionali in ordine
alle legittime scelte
politiche , necessarie e indispensabili onde
evitare in tempo conseguenze
drammatiche e irrimediabili
, sul futuro e per la stabilità
del sistema democratico,
sul mantenimento dei diritti fondamentali
di libertà e di sicurezza e di giustizia sociale.
INCHIESTE E
SCANDALI
Funzionari pubblici, Guardia
di Finanza: “In sei mesi bruciati tre miliardi tra sprechi, ruberie e
corruzione”
Il report
pubblicato sul Corriere e su Il Giornale fotografa le voragini provocate dai
dipendenti "infedeli" e dai mancati controlli. Soltanto nella sanità
800 milioni di buco
Sono
politici, medici, impiegati e funzionari. Sono 4.835 dipendenti pubblici
che in soli sei mesi hanno alleggerito (sperperando o rubando) le casse dello
Stato di tre miliardi di euro. E adesso sono stati chiamati dalla Corte dei
conti per restituire i soldi della collettività. E’ quanto emerge dal
rapporto della Guardia di Finanza sui danni erariali contestati tra il 1
gennaio e il 30 giugno 2015, pubblicato dal Corriere della Sera e
da Il Giornale dove balza agli occhi un dato: le casse
pubbliche hanno perso oltre un miliardo solo con la mala gestione del
patrimonio immobiliare. Il quotidiano di via Solferino scrive che sono
1.290 le segnalazioni inviate dalla magistratura ordinaria o dalle Fiamme
gialle ai giudici contabili. Un aumento di contestazioni – che vale un miliardo
e 357 milioni di euro – pari al 13 per cento in più rispetto ai primi sei mesi
del 2014, che dimostra sia una crescita dei comportamenti scorretti dei
dipendenti “infedeli” (nella maggior parte dei casi accusati di corruzione,
concussione, truffa, turbativa d’asta), sia dei controlli degli 007 della
Finanza.
Guadagni che si trasformano in perdite
Un intero capitolo del dossier riguarda i mancati guadagni sugli immobili da cui lo Stato non solo non ricava un euro, ma addirittura ci rimette soldi. Come sulle case popolari, che spesso e volentieri si trasformano in merce per scambi elettorali. Emblematico il caso di Roma, dove vengono affittate a 7 euro al mese, ricorda il Corriere. In provincia di Bolzano, invece, un Comune ha perso 350mila euro per la mancata riscossione dell’affitto per l’occupazione di suolo pubblico.
Un intero capitolo del dossier riguarda i mancati guadagni sugli immobili da cui lo Stato non solo non ricava un euro, ma addirittura ci rimette soldi. Come sulle case popolari, che spesso e volentieri si trasformano in merce per scambi elettorali. Emblematico il caso di Roma, dove vengono affittate a 7 euro al mese, ricorda il Corriere. In provincia di Bolzano, invece, un Comune ha perso 350mila euro per la mancata riscossione dell’affitto per l’occupazione di suolo pubblico.
Sanità, una voragine da 800 milioni
Anche la sanità pubblica si conferma una voragine. Qui, tra macchinari comprati e mai utilizzati, appalti truccati e medici che scappano dal lavoro per andare a operare in strutture private, il danno accertato è di 800 milioni, mentre 2.325 persone sono state arrestate o denunciate dalla Finanza e 264 pratiche sono state aperte. Le indagini svolte in 18 regioni hanno smascherato 83 dirigenti della sanità infedeli che hanno danneggiato le casse pubbliche con un buco da 6 milioni. All’ospedale di Gallarate, Varese – come raccontato da ilfattoquotidiano nei mesi scorsi – l’appalto per i lavori della manutenzione sarebbero stati aumentati causando “ltre 2,5 milioni di danno erariale”. La spesa è balzata da 15 milioni e mezzo di euro a 36 milioni. Soldi che secondo l’accusa sono serviti ai manager dell’azienda sanitaria per aggiudicarsi una generosa “cresta”. A Cosenza – scrive Il Giornale – a Cosenza 700mila euro sono svaniti tra nomine e consulenze esterne. L’Asl di Napoli ha letteralmente regalato 32 milioni di euro perché per anni i fornitori sono stati pagati due volte per gli stessi servizi.
Anche la sanità pubblica si conferma una voragine. Qui, tra macchinari comprati e mai utilizzati, appalti truccati e medici che scappano dal lavoro per andare a operare in strutture private, il danno accertato è di 800 milioni, mentre 2.325 persone sono state arrestate o denunciate dalla Finanza e 264 pratiche sono state aperte. Le indagini svolte in 18 regioni hanno smascherato 83 dirigenti della sanità infedeli che hanno danneggiato le casse pubbliche con un buco da 6 milioni. All’ospedale di Gallarate, Varese – come raccontato da ilfattoquotidiano nei mesi scorsi – l’appalto per i lavori della manutenzione sarebbero stati aumentati causando “ltre 2,5 milioni di danno erariale”. La spesa è balzata da 15 milioni e mezzo di euro a 36 milioni. Soldi che secondo l’accusa sono serviti ai manager dell’azienda sanitaria per aggiudicarsi una generosa “cresta”. A Cosenza – scrive Il Giornale – a Cosenza 700mila euro sono svaniti tra nomine e consulenze esterne. L’Asl di Napoli ha letteralmente regalato 32 milioni di euro perché per anni i fornitori sono stati pagati due volte per gli stessi servizi.
Mancati controlli: va in pensione, viene riassunto e intasca 700 mila euro
Nel report grande risalto ai mancati controlli. A Catanzaro il dipendente di un ente ha intascato stipendio e pensione per sette anni, insieme. Pochi giorni dopo il congedo “ha presentato domanda di riammissione in servizio presso la sua azienda confidando che le esigenze di organico gli avrebbero consentito di tornare immediatamente al proprio posto, cosa che è effettivamente accaduta”. Nessuno tra i dirigenti ha però ha segnalato la nuova assunzione all’Inps e l’impiegato ha potuto così incassare illecitamente 700 mila euro. In Sicilia, invece, sono stati bruciati 47 milioni di euro tra il 2006 e il 2011 per corsi di formazione finanziati con soldi pubblici che però non si sono mai tenuti.
Nel report grande risalto ai mancati controlli. A Catanzaro il dipendente di un ente ha intascato stipendio e pensione per sette anni, insieme. Pochi giorni dopo il congedo “ha presentato domanda di riammissione in servizio presso la sua azienda confidando che le esigenze di organico gli avrebbero consentito di tornare immediatamente al proprio posto, cosa che è effettivamente accaduta”. Nessuno tra i dirigenti ha però ha segnalato la nuova assunzione all’Inps e l’impiegato ha potuto così incassare illecitamente 700 mila euro. In Sicilia, invece, sono stati bruciati 47 milioni di euro tra il 2006 e il 2011 per corsi di formazione finanziati con soldi pubblici che però non si sono mai tenuti.
A Bari manager Ferrovie comprano, vendono e ricomprano carrozze
Da Bari arriva il gioco di prestigio dei manager delle Ferrovie Sudest. Prima hanno speso 912mila euro per comprare 25 carrozze passeggeri. Poi le hanno rivendute a una società polacca “incaricata di eseguire interventi di ristrutturazione per 7 milioni di euro”. Salvo poi riacquistarle a 22milioni e mezzo di euro. La Corte dei conti calcola che il danno provocato alla società ferroviaria è di oltre 11 milioni di euro pubblici.
Da Bari arriva il gioco di prestigio dei manager delle Ferrovie Sudest. Prima hanno speso 912mila euro per comprare 25 carrozze passeggeri. Poi le hanno rivendute a una società polacca “incaricata di eseguire interventi di ristrutturazione per 7 milioni di euro”. Salvo poi riacquistarle a 22milioni e mezzo di euro. La Corte dei conti calcola che il danno provocato alla società ferroviaria è di oltre 11 milioni di euro pubblici.
Latina: aste truccate, arrestati giudice e moglie,
indagata la suocera
Ed ecco l'articolo del Corriere della Sera che riportava la vicenda del giudice Lollo nel dicembre scorso:
"Un sistema di corruzione consolidato all'interno del tribunale fallimentare di Latina: è quanto scoperto dalle procure della Repubblica di Perugia e Latina, dopo mesi di indagini, anche di carattere patrimoniale, che hanno portato all'arresto - tra carcere e domiciliari - di otto persone: tra loro un giudice del tribunale e a moglie. Le ordinanze sono state eseguite dalla squadra mobile pontina guidata da Tommaso Niglio.
Carcere per il giudice della fallimentare Antonio Lollo, per il consulente del tribunale Vittorio Genco, per i commercialisti Marco Viola e Massimo G. (quest'ultimo non ancora raggiunto formalmente dalla polizia). Ai domiciliari la cancelliera Rita Sacchetti, l'imprenditore calabrese Luca Granato, un maresciallo della guardia di Finanza e la moglie di Lollo, Antonia Lusena. Indagata per riciclaggio, e in odore di arresto, anche la suocera del giudice.
Spiega la questura di Latina:«I reati contestati vanno dalla corruzione, alla corruzione in atti giudiziari, alla concussione, all'induzione indebita a dare o promettere denaro od altra utilità, alla turbativa d'asta, al falso ed alla rivelazione di segreto nonché all'accesso abusivo ad un sistema informatico e telematico aggravato dalla circostanza di rivestire la qualità di pubblico ufficiale. Le indagini - spiega la nota - coordinate dalle autorità giudiziarie del capoluogo pontino ed umbro, erano state avviate in seguito ad una denuncia presentata presso la procura della Repubblica di Latina, in cui si prospettavano fatti di bancarotta nell'ambito di un concordato preventivo. Ben presto lo sviluppo dell'attività investigativa, delegata alla squadra Mobile di Latina, ha portato alla luce un consolidato sistema corruttivo, grazie al quale i consulenti nominati dal giudice nelle singole procedure concorsuali, abitualmente corrispondevano a quest'ultimo una percentuale dei compensi a loro liquidati dal giudice stesso»."
MAXI TRUFFE ALL’ I N P S
Nelle
notizie
La Stampa - 2 giorni fa
www.strettoweb.com/2015/09/reggio-truffa-allinps...in.../325996/
25 set 2015
- Una meticolosa attività info-investigativa dei Finanzieri reggini a tutela
della spesa pubblica ha portato alla luce una truffa ai danni dell'INPS.
www.strill.it/.../castrovillari-cs-operazione-easy-allowancetruffa-allinps-p...
3 giorni fa
- L'importo complessivo della truffa ai danni dell'INPS è stato
quantificato in circa € 4.700.000,00, ed è stato determinato dalla
illegittima ...
www.gazzettadelsud.it/ricerca.jsp?q=truffa%20inps
Cinque
persone sono state arrestate ed altre sei sono state sottoposte all'obbligo
di firma in una operazione della Guardia di finanza di Sibari per una truffa ...
www.ilquotidianoweb.it/news/cosenza/.../Maxi-truffa-all-Inps-e-all.html
3 giorni fa
- Questo il bilancio dell'operazione "Easy allowance" messa a segno
dalla Guardia di finanza di Sibari per una truffa all'Inps e all'Inail
scaturita ...
tv.ilfattoquotidiano.it
›ilFattoTV › Giustizia & impunità
17 lug 2015
- Palermo, maxi truffa all'Inps. Falsi invalidi: “Non voglio lavorare,
lo Stato mi deve campare”. Bastava rivolgersi a loro per ottenere,
dietro ...
www.tgcom24.mediaset.it/.../crotone-truffa-all-inps-denunciati-22-falsi-b...
20 lug 2015
- Crotone, truffa all'Inps: denunciati 22 falsi braccianti e un
imprenditore - Operazione della guardia di finanza: i coinvolti hanno
ottenuto ...
TANGENTI
A.N.A.S.
www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/CRONACA/anas.../1635231.shtml
22 ott 2015
- Anas, tangenti per appalti a Roma: arrestati dirigenti e l'ex ... Truffaal'Anas,
l'uffcio della "dama nera" la base logistica della. ... Blitz all'Anas.
www.ilquotidianoweb.it/news/cronache/.../Tangenti-all-Anas--la-.html
3 giorni fa
- Maxi truffa all'Inps e all'Inail nel Cosentino Cinque arresti, c'è un
ex dipendente dell'ente ... Tangenti all'Anas, la "Dama
nera" rifiuta
www.ilquotidianoweb.it/news/.../Lamezia-Terme--truffa-all-Unione.html
08 lug 2015
- Tangenti all'Anas, libero l'avvocato catanzarese ... Lamezia
Terme, truffa all'Unione Europea Tra gli indagati anche un funzionario
della ...
www.repubblica.it/online/cronaca/anas/anasdue/anasdue.html
12 feb 2003
- Appalti truccati all'Anas arrestate trentuno persone. Le
accuse: turbativa d'asta aggravata, corruzione e truffa. Simulavano
frane sulle strade ...
www.cn24tv.it/.../terremoto-all-anas-in-manette-dirigenti-funzionari-e-u...
22 ott 2015
- Un'altra truffa all'Inps: denunciata una coop e 99 braccianti
“fantasma” ... Terremoto all'Anas: in manette dirigenti,
funzionari e un ex ...
SCANDALO SUI
BENI CONFISCATI ALLA
MAFIA
www.si24.it/2015/10/08/inchiesta-sui-beni...alla-mafia-di.../132976/
08 ott 2015 - Sei in: Cronaca > Inchiesta sui beni confiscati
alla mafia | Di Vitale: “Il Csm intervenga senza indugi” ...
trasferimento d'ufficio 5 giudici palermocsm ... Csm in seguito allo scandalo
sulla gestione dei beni confiscati alla mafia.
www.affaritaliani.it/.../scandalo-beni-confiscati-pino-maniaci-382485.ht...
10 set 2015 - Beni confiscati alla mafia, Pino Maniaci:
"Si vada fino in fondo" - A ... A Palermo indagata Silvana
Saguto, presidente della sezione che ... Ad eseguirli e' stata la Guardia di
Finanza, su ordine della Procura di Caltanissetta.
MAFIA CAPITALE
- TRUFFE COOPERATIVE -
www.ilfattoquotidiano.it
› Giustizia & Impunità
09 giu 2015
- Gli stipendi del Pd di Roma pagati coi soldi di Mafia Capitale. E i
rapporti tutti da chiarire tra Mafia Capitale e il Pd alla Regione
Lazio, il cui ...
www.repubblica.it/.../gli_affari_della_coop_di_mafia_capitale_appalti_sui_...
26 set 2015
- Gli affari della coop di Mafia capitale: appalti sui migranti
anche dopo l' ... a un anno e sei mesi in primo grado per lo scandalo
mense a Bari.
www.repubblica.it/.../roma_ex_coop_dell_inchiesta_mafia_capitale_vince_...
03 ott 2015
- Roma, coop dell'inchiesta Mafia capitale vince l'appalto per i
servizi dell ... Quando scoppiò lo scandalo di Mafia capitale, il
Cns espulse Buzzi ...
SCANDALO SU
OSPEDALE ISRAELITICO DI
ROMA
www.unionesarda.it
› Cronaca
21 ott 2015 - 21/10/2015 - L'Unione Sarda.it: Cronaca - Scandalo
all'Ospedale Israelitico di ... Ciclismo, Di Rocco a Cagliari: "La Sardegna
è in crescita" ..... di un'indagine che ipotizza i reati di falso e
truffa in danno della sanità pubblica.
TRUFFA ALL’OSPEDALE
SAN RAFFAELE DI
MILANO
milano.repubblica.it/.../milano_truffa_da_28_milioni_all_ospedale_san_raf...
L'ospedale:
"Interventi a regola d'arte". di EMILIO RANDACIO. 16 giugno 2015. Milano,
truffa da 28 milioni: nove indagati tra primari e dirigenti del
San Raffaele ...
SCANDALI IN SARDEGNA
lanuovasardegna.gelocal.it/.../scandalo-igea-indagati-politici-e-sindacalist...
21 dic 2014
- Scandalo Igea, indagati politici e sindacalisti ... turbata
libertà degli incanti, truffa e voto di scambio, reati collegati alla
società in house della ...
lanuovasardegna.gelocal.it/.../scandalo-igea-inchiesta-bis-altri-venti-inda...
12 feb 2015
- Il nuovo filone è stato aperto dagli agenti del Corpo forestale che
indagavano ... e a indagare 66 persone per peculato, truffa e turbativa
d'asta.
www.itenovas.com/...sardegna/1344-banda-larga-internet-truffa-sardegn...
25 mar 2015
- Nuovo scandalo in Sardegna, stavolta per una truffa
legata agli appalti sulla banda larga per internet con quattro persone indagate
nell'isola e ...
www.itenovas.com/...sardegna/1387-appalti-pubblici-pilotati-arresti-sard...
28 apr 2015
- IteNovas | In Sardegna stamattina 24 arresti per appalti pubblici
pilotati, coinvolti ... Giornalismo: Odg sardo contro i corsi truffa ...
Scoppia lo scandalo nei comuni Sardi, finora coinvolti 13 centri nel
nuorese e nel cagliaritano, ...
www.lastampa.it
› Cronache
28 apr 2015
- Nell'indagine sono coinvolti anche due vice e altre 17 persone tra ...
Sardegna, sgominata la cupola degli appalti: in manette sindaci e
tecnici comunali ... Tangenti e voto di scambio, scandalo
all'Anas: arrestati dirigenti e l'ex ...
TRUFFE SU
GRANDI OPERE :
Mose , Expo
, Tav .
www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=58834...Mose...truffe...
04 giu 2014 - Mose, Expo, Tav: grandi opere, truffe giganti.
Preoccupa il sistem
Corruzione, Mose Expo e Mafia
Capitale: il 2014 anno dei grandi scandali
Giustizia
& Impunità
Il
"classico" di grandi opere e imprenditori a Venezia, il ritorno di
Tangentopoli a Milano e la "quinta mafia" a Roma. Mentre l'Italia
diventa primatista in tutta Europa, sorpassando anche Grecia e Bulgaria nella
classifica di Transparency
Più
informazioni su: Appalti, Corruzione, Criminalità Organizzata, Expo 2015, Mafia, Matteo Renzi, Mose, Roma, Transparency
International
La mazzette
non finiscono mai. E i “tangentari” di destra e di sinistra ritornano e, in
alcuni casi, diventano “mafiosi”. Il 2014 è stato un anno contraddistinto da
tre grandi scandali: Mose (Venezia), Expo (Milano) e Mafia
Capitale (Roma). Ed è stato anche l’anno in cui l’Italia ha raggiunto il
triste primato per il reato di
corruzione in Europa, sorpassando anche Grecia e Bulgaria, secondo la speciale
classifica di Transparency. L’inchiesta veneziana è un classico delle
bustarelle made in Italy: grande opera e imprenditori che foraggiano la
politica per ottenere appalti. Quella milanese ha riportato in carcere, anche
se per poco tempo, alcuni personaggi storici della Tangentopoli anni ’90
come il compagno G., Primo Greganti, o l’ex Dc, GianstefanoFrigerio.
L’indagine romana invece ha rivelato l’esistenza a Roma di quella che potrebbe essere
considerata la quinta mafia d’Italia.
Italia prima
nella classifica della corruzione di Transparency davanti a Grecia e Bulgaria
A giugno è
deflagrato il caso Mose: 35
arresti, tra cui il sindaco Pd Giorgio Orsoni, e la richiesta del
carcere per l’ex ministro Fi Giancarlo Galan. A sei mesi dalle misure
cautelari e gli avvisi di garanzia i pm di Venezia stanno per
chiudere l’indagine e nel registro degli
indagati sono finiti anche i deputati democratici Mognato e Zoggia. All’ex primo cittadino, che è
stato sentito nei giorni scorsi in Procura, il gup ha respinto il
patteggiamento mentre
per l’ex governatore del
Veneto il gip ha disposto gli arresti domiciliari. Quello che sarà sull’indagine
sugli appalti del sistema di dighe anti-acqua alta e sul finanziamento illecito
ai partiti si vedrà nei prossimi mesi.
Invece la
prima parte dello scandalo Expo, esplosa a maggio, si è già chiusa con patteggiamenti
e poco carcere per i principali imputati. Il gup Milano ha accolto, tra le altre, le richieste
dell’ex segretario della Dc milanese all’epoca di Tangentopoli GianstefanoFrigerio,
dell’ex cassiere di Pci e Pds Primo Greganti e dell’ex
senatore Fi Luigi Grillo. Pena massima, 3 anni e 4 mesi. E
così sei dei sette imputati, già liberi o ai domiciliari, potranno
accedere in tempi brevi alle misure alternative. E la grande politica è rimasta
fuori dal registro degli indagati. Almeno per ora. Altre inchieste sono aperte.
Da registrare, in una fase così delicata, l’esautorazione del coordinamento del
dipartimento per i reati contro la pubblica amministrazione dell’aggiunto Alfredo Robledo da parte del procuratore
capo Edmondo Bruti Liberati.
In fase di
chiusura l’indagine Mose, patteggiamenti e poco carcere per corrotti e
corruttori dell’inchiesta Expo
Pubblicità
C’è poi Mafia Capitale,
l’inchiesta sul “mondo di mezzo”, che ha svelato l’esistenza di
un’organizzazione,
considerata mafiosa dagli inquirenti di Roma, capace di intimidire, corrompere
politici di ogni schieramento e metter le mani sugli appalti del Campidoglio e
della Regione Lazio. Un’indagine, quella coordinata dal ex procuratore capo di
Palermo e Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, che ha portato a tre
tranche di arresti e all’iscrizione nel registro degli indagati per 416bis
anche l’ex sindaco della Capitale, Gianni Alemanno. Un gruppo,
quello guidato da Massimo Carminati ex banda della Magliana ex
terrorista Narora al 41bis per ordine
del ministro della Giustizia, capace di infiltrarsi e fare business nella gestione
dei centri accoglienza per immigrati e dei campi nomadi, di manipolare le
nomine e indirizzare le scelte politiche dell’amministrazione, finanziare cene
e campagne elettorali, affiliare imprenditori e usare la forza. Tanto da far
scrivere al New York Times che non
“c’è angolo di Itali immune dalla criminalità”.
A chiudere
l’anno l’inchiesta su Mafia Capitale, capace di corrompere politici di destra e
di sinistra, inquinare appalti e affiliare imprenditori
Il clamore
per le inchieste ha spinto il governo di Matteo Renzi ad aprire prima una
discussione in estate e poi ad approvare qualche
giorno fa nuove norme contro la corruzione. Ma i provvedimenti sono stati criticati con
forza dall’Associazione nazionale magistrati e anche dal procuratore nazionale Antimafia Franco
Roberti. Era stata chiesta, anche da Pignatone e dal presidente
dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, l’estensione degli strumenti che
si utilizzano per combattere la mafia ai reati dei colletti bianchi come i
“premi” per i pentiti. Richiesta allo stato rimasta inascoltata. E così Mose,
Expo, Mafia Capitale, probabilmente, non resteranno un unicum nel paese
che non si lascerà mai alle spalle Mani pulite. Sia per gli appalti e le
gare per l’Esposizione universale (ci anche altre indagini ancora
parte), sia per l’inchiesta dei pm Roma gli accertamenti non sono ancora
terminati e la sensazione che il 2015 potrebbe essere un anno ancora da record in
negativo per il nostro paese.
La Repubblica della
corruzione, 20 anni di scandali dopo Mani Pulite
di Redazione
IBTimes Italia 05.06.2014 16:32 CEST
Abolizione
del finanziamento pubblico, bloccato in Senato Reuters
Ogni anno
questo paese 'ricorda' l'arresto di Mario Chiesa, che nel febbraio 1992 diede
il via alla valanga Tangentopoli che pensionerà la Prima Repubblica. Da allora
sotto i ponti sono passate decine di leggi salva-questo e salva-quello, ma
soprattutto una quantità infinita di scandali. Dimostrazione che se la
storia è maestra, in Italia non si impara mai niente.
IL MEDIATORE. Il fondatore del principale
partito politico della Seconda Repubblica, Marcello Dell'Utri, è
considerato da una sentenza passata in giudicato il mediatore del patto di
protezione stretto negli anni Settanta tra i vertici di Cosa nostra e quello
che diventerà 'l'anima' di questo ventenni, Silvio Berlusconi. Il
quattro volte presidente del consiglio, evasore fiscale, imputato per
corruzione con l'accusa di aver comprato senatori a suon di milioni di euro,
condannato in primo grado per concussione e prostituzione minorile.
FURBETTI E
'GNORRI'. I vertici
dei DS D'Alema e Fassino finiscono intercettati mentre parlano
con uno dei 'furbetti del quartierino', quel Giovanni Consorte protagonista
della scalata BNL sostenuta senza se e senza ma dal centrosinistra.
"Abbiamo una banca" diventerà uno slogan-boomerang, che riemergerà prepotente
nel caso Monte dei Paschi di Siena scoppiato un anno fa. E che dire del 'sistema
Sesto' messo su da Filippo Penati, uno che faceva il capo della segreteria
politica di Pierluigi Bersani, salvato dalla prescrizione e dalla Ex-Cirielli,
legge ad personas e ammazza-processi che il centrosinistra si è sempre guardato
bene dal cancellare? Lo stesso centrosinistra che oggi scarica il sindaco
di Venezia arrestato per lo scandalo MOSE, ma non si accorge che 24 ore prima
il sempreverde Fassino, nel frattempo diventato sindaco di Torino, metteva la
mano sul fuoco sulla sua onestà. Come non si è accorto di aver dato la tessera
a Primo Greganti, tre volte pregiudicato durante Mani Pulite, ma di
nuovo in prima fila sull'affare Expo.
CARICHE
DELLO STATO. In vent'anni
abbiamo avuto ministri come Claudio Scajola, oggi in galera
per aver favorito la latitanza di un ex deputato colluso con la 'ndrangheta.
Sottosegretario all'Economia è stato Nicola Cosentino, al suo
secondo soggiorno in cella, stavolta per estorsione, dopo l'accusa di concorso
esterno in associazione camorristica. Abbiamo avuto l'onore di annoverare tra i
ministri Cesare Previti, due volte condannato per corruzione in
atti giudiziari. O Umberto Bossi, leader di una Lega entrata in Parlamento al
grido di Roma ladrona e che ne stava quasi uscendo un anno fa dopo lo scandalo
Belsito. Nicola Mancino, oggi imputato per falsa testimonianza nel
processo sulla trattativa stato-mafia, noto per aver estromesso dai propri
ricordi l'incontro con un tal Paolo Borsellino, è stato presidente del Senato.
Come Renato Schifani, da tempo indagato per concorso esterno in
associazione mafiosa, oggi fa la stampella di Renzi assieme al NCD di cui è
presidente.
LE REGIONI. Giancarlo Galan ha
governato il Veneto per quindici anni e su di lui pende una richiesta di
arresto per lo scandalo MOSE. Roberto Formigoni ha guidato la Lombardia
per 17 anni e oggi è imputato per corruzione nell'inchiesta sulla sanità
lombarda. Giuseppe Scopelliti, già sindaco del primo Comune capoluogo
che sarà sciolto per mafia due anni dopo il suo addio, condannato in primo
grado a sei anni per averne falsificato i bilanci, è stato subito ricandidato
alle Europee. Raffaele Fitto, recordman di preferenze lo scorso 25
maggio, quattro anni in primo grado per corruzione, avendo ricevuto un
finanziamento illecito da mezzo milione di euro in cambio di appalti quando era
governatore della Puglia. Ottaviano Del Turco, 9 anni in primo grado per
corruzione, concussione e associazione a delinquere nell'ambito dell'inchiesta
sulla sanità privata in Abruzzo. In Sicilia i predecessori di Crocetta sono
rispettivamente in galera per favoreggiamento a Cosa nostra (Cuffaro) e
condannato in primo grado per concorso esterno (Lombardo). Senza
dimenticare le mutande verdi di Cota pagate dai contribuenti, come milioni e
milioni di euro dello scandalo spese pazze che travolge i consigli regionali
dello Stivale. O il caso Durnwalder (Trentino), lo scandalo che ha
travolto la Polverini (Lazio), il coinvolgimento di Cappellacci
(Sardegna) nell'inchiesta P3. E ci scusiamo per tutti quelli che non
abbiamo citato.
GRANDI
OPERE. Expo e MOSE
sono gli ultimi tasselli di un puzzle della paura. Sistemi, potentati,
associazioni a delinquere quasi sempre bipartisan, chiamati a ingollare pezzi
sempre più grandi di torte milionarie. Ed ecco le risate preventive al
telefono, mentre l'Aquila non ha ancora smesso di tremare, di chi si immagina
gli affari sulla ricostruzione. Oppure Guido Bertolaso, in quei giorni
descritto come se fosse il Messia, e il 'sistema gelatinoso' sugli
appalti del G8 alla Maddalena. I grandi affari sulla sanità, settore in
cui spendiamo meno degli altri paesi europei ma una fetta finisce nelle tasche
di privati corruttori o pubblici corrotti. O il TAV di Firenze per
cui è finita agli arresti l'ex governatrice dell'Umbria Lorenzetti. O il
business dell'eolico, che ha visto tornare in scena vecchi personaggi della
Prima Repubblica come Flavio Carboni. Fortuna che hanno stoppato il Ponte sullo
Stretto.
AZIENDE DI
STATO. A partire
dallo scandalo che travolse Lorenzo Necci, allora numero uno delle
Ferrovie dello Stato, per arrivare a Mauro Moretti, oggi imputato di
disastro colposo, uno "spiacevole episodio" (parole sue) che a
Viareggio si portò via 33 persone. Oggi Moretti guida Finmeccanica, uno
spaccato della Seconda Repubblica per le mille inchieste che la vedono
protagonista (commesse indiane, brasiliane, sistema di tracciabilità dei
rifiuti, etc) e che ha 'perso per scandalo' due degli ultime tre AD:
prima Guarguaglini, poi Orsi. ENI è stata guidata per quasi un decennio da
un reo confesso di Mani Pulite, quel Paolo Scaroni (oggi indagato per
corruzione in merito ad una commessa Saipem, controllata Eni, in Algeria)
sostituito da Emma Marcegaglia, la cui azienda di famiglia aveva utilizzato tra
il '94 e il 2004, negli acquisti di materie prime, "società off-shore,
creando fondi neri su 17 conti esteri, intestati a Steno Marcegaglia e ai figli
Antonio ed Emma. La parte che riguarda l'evasione fiscale viene archiviata
perché quei capitali sono stati condonati e scudati" (Report).
Vent'anni fa
Tangentopoli ci presentò il conto: una manovra lacrime e sangue del governo
Amato, con tanto
di prelievo forzoso sui conti correnti. Oggi stiamo a 'pettinare le bambole',
come direbbe qualcuno, su una riforma della Costituzione che non era
nell'agenda di nessun partito fino a 15 mesi fa e ora viene spacciata per una
questione di vita o di morte. Sul fronte corruzione (per non parlare di
evasione fiscale e mafia, tre tumori che si alimentano a vicenda) solo
chiacchiere. In attesa che arrivi il conto. Quello definitivo.
Mafia, camorra, ‘ndrangheta:
la mappa dei clan regione per regione (FOTO)
Nel sito
Pubblicato
il 18 agosto 2014 08:51 | Ultimo aggiornamento: 18 agosto 2014 08:51 di
Redazione Blitz
ROMA – Mafia, ‘ndrangheta, camorra: la nuova
mappa dei clan. L’ultima relazione semestrale della Dia, organo investigativo
del Ministero dell’Interno, indica i loro nomi e le loro zone di influenza.
La Dia fa
sapere che nel secondo
semestre 2013 alcune
collaborazioni tra famiglie, anche di diversi mandamenti, hanno smussato
qualche contrasto e vecchio rancore. Mentre la necessità di proiettarsi fuori
regione ha indotto l’intera organizzazione a concorrere con altri gruppi
criminali di ‘ndrangheta, camorra o Sacra Corona Unita per trovare appoggi.
Il traffico
di droga si conferma business in crescita, anche in considerazione dei
maggiori rischi legati all’attività estorsiva, sempre molto praticata in
provincia ma non più agevole, considerata la maggiore propensione degli imprenditori
a denunciare le vessazioni subite.
Di
seguito la mappa dei principali gruppi criminali che operano in Campania,
Calabria e Sicilia.
Scandalo formazione, richiesta
di arresto
per il deputato Pd Francantonio Genovese
per il deputato Pd Francantonio Genovese
Messina , 15 gennaio 2015
Ordine di custodia cautelare in carcere per
l'onorevole democratico di Messina accusato di aver sottratto sei milioni alla
formazione professionale. Come avevamo scritto sull'Espresso, Genovese coltiva
in Sicilia i suoi interessi economici: decine di società, con bilanci milionari
diLirio
Abbate
In questa
legislatura la prima richiesta di arresto arriva per un deputato del Pd. Lui è
l'onorevole Francantonio Genovese, di Messina, per il quale la procura
ha chiesto ed ottenuto dal gip l'arresto che adesso è stata trasmessa alla
Camera per l'autorizzazione a procedere.
Il provvedimento del Giudice ipotizza il reato di associazione per delinquere, riciclaggio, peculato e truffa, e se la Camera accoglie la richiesta ne dispone gli arresti in carcere. L'atto è stato già notificato da Guardia di finanza e da agenti della squadra mobile della Questura di Messina alla presidenza della Camera.
L'inchiesta punta sulle erogazioni pubbliche destinate al finanziamento di progetti formativi tenuti da numerosi centri di formazione professionale che erano di fatto riconducibili a Genovese e alla sua famiglia. Oltre ai già noti Lumen, Aram, Ancol sono finiti sotto inchiesta anche gli enti Enfap, Enaip, Ial, Training service L&C Learning e consulting, Cesam, Ecap, Esofop, Apindustria e Reti.
Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto, Sebastiano Ardita, e dai sostituti, Camillo Falvo, Liliana Todaro, Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti, avrebbero permesso di accertare che i soggetti indagati, attraverso gli Enti di formazione e società appositamente create, grazie a prezzi gonfiati per l'acquisto di beni e servizi o, addirittura, a prestazioni totalmente simulate, sottraevano a loro vantaggio i fondi assegnati per lo svolgimento dei corsi di formazione. La gran parte degli indagati sono risultati tra loro legati da vincoli di parentela e di assoluta fiducia.
Nelle scorse settimane l'Espresso aveva pubblicato una propria inchiesta giornalistica su Genovese da cui era emerso che tutti i mesi si mette in tasca lo stipendio da deputato. E, mentre a Roma siede in Parlamento, in Sicilia coltiva interessi economici. Una rete di decine di società, con bilanci milionari, che operano in tutti i campi: immobiliare, trasporti, servizi, telecomunicazioni e formazione professionale in Sicilia. È un politico potente Francantonio Genovese, esponente del Pd, ex sindaco di Messina, con un passato nella Democrazia cristiana e poi nella Margherita di Francesco Rutelli. È stato segretario regionale del Pd, appoggiato allora dall’ex ministro delle Comunicazioni Salvatore Cardinale.
Il provvedimento del Giudice ipotizza il reato di associazione per delinquere, riciclaggio, peculato e truffa, e se la Camera accoglie la richiesta ne dispone gli arresti in carcere. L'atto è stato già notificato da Guardia di finanza e da agenti della squadra mobile della Questura di Messina alla presidenza della Camera.
L'inchiesta punta sulle erogazioni pubbliche destinate al finanziamento di progetti formativi tenuti da numerosi centri di formazione professionale che erano di fatto riconducibili a Genovese e alla sua famiglia. Oltre ai già noti Lumen, Aram, Ancol sono finiti sotto inchiesta anche gli enti Enfap, Enaip, Ial, Training service L&C Learning e consulting, Cesam, Ecap, Esofop, Apindustria e Reti.
Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto, Sebastiano Ardita, e dai sostituti, Camillo Falvo, Liliana Todaro, Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti, avrebbero permesso di accertare che i soggetti indagati, attraverso gli Enti di formazione e società appositamente create, grazie a prezzi gonfiati per l'acquisto di beni e servizi o, addirittura, a prestazioni totalmente simulate, sottraevano a loro vantaggio i fondi assegnati per lo svolgimento dei corsi di formazione. La gran parte degli indagati sono risultati tra loro legati da vincoli di parentela e di assoluta fiducia.
Nelle scorse settimane l'Espresso aveva pubblicato una propria inchiesta giornalistica su Genovese da cui era emerso che tutti i mesi si mette in tasca lo stipendio da deputato. E, mentre a Roma siede in Parlamento, in Sicilia coltiva interessi economici. Una rete di decine di società, con bilanci milionari, che operano in tutti i campi: immobiliare, trasporti, servizi, telecomunicazioni e formazione professionale in Sicilia. È un politico potente Francantonio Genovese, esponente del Pd, ex sindaco di Messina, con un passato nella Democrazia cristiana e poi nella Margherita di Francesco Rutelli. È stato segretario regionale del Pd, appoggiato allora dall’ex ministro delle Comunicazioni Salvatore Cardinale.
SCANDALO TANGENTI
ALLA R.T.I.
Palermo ,29
ottobre 2015
Il libro
mastro delle tangenti dell’operazione Black list, che ha fatto scattare
gli arresti domiciliari il dirigente di Rete Ferroviaria italiana e presidente
dell'Azienda siciliana trasporti Dario
Lo Bosco.
Secondo
l'accusa, ha ricevuto tangenti "per evitare intoppi" in lavori da 26
milioni.
Ordinanza di custodia cautelare ha portato ai domiciliari anche Salvatore
Marranca e Giuseppe Quattrocchi, funzionari del corpo forestale
accusati di avere intascato tangenti per un maxi appalto sulla nuova linea di
radiocomunicazioni della forestale.
L’ imprenditore di Agrigento
Massimo Campione consegnava la
tangente a Dario Lo Bosco per il tramite del Quattrocchi e Marranca,
con i quali il Lo Bosco intratteneva rapporti. Al numero uno di Rfi, Campione
avrebbe elargito mazzette per 58.650 euro,
nell’ambito del progetto relativo al cosiddetto gancio ferroviario,
un’apparecchiatura tecnologica a distanza.
11 nov 2015
ARRESTI
A “ MESSINAMBIENTE “
1657 12 0
LA
CONFERENZA STAMPA DI QUESTA MATTINA IN PROCURA – FOTO EDG
Stamane la Sezione di Polizia Giudiziaria-Aliquota
Polizia di Stato della Procura di Messina, unitamente a personale del locale
Nucleo Investigativo del Comando Provinciale CC di Messina, ha dato esecuzione
ad una misura cautelare con cui il Gip presso il Tribunale di Messina Giovanni
De Marco, su richiesta del Procuratore Agg. Sebastiano Ardita e del Sost.
ProcD.ssa Stefania La Rosa, ha disposto gli arresti domiciliari con
applicazione del braccialetto elettronico nei confronti di 5 persone, tra
Dirigenti di Messinambiente ed Imprenditori.
Il provvedimento scaturisce da una complessa e
articolata indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Messina,
avviata nel 2013 dalla quale è emersa la sistematica violazione della normativa
prevista dal codice degli appalti per quel che concerne l’acquisizione di
servizi e forniture da parte di enti e società pubbliche.
I Nomi degli arrestati: Armando Di Maria, liquidatore
della società Messinambiente, gli imprenditori Marcello De Vincenzo, titolare
della società MEDITERRANEA A. S.r.l. e Francesco Gentiluomo, titolare della
società GENTILUOMO S.r.l., il broker assicurativo e titolare della società BCM
INSURANCE BROKER S.r.l. con sede in Barcellona, Antonino Buttino e il
funzionario amministrativo-contabile della società Messinambiente Nino
Inferrera.
Ad entrare nel dettaglio il Procuratore Capo Dr Guido
Lo Forte, che all’inizio della conferenza stampa ha dichiarato che a dare
l’input alle indagini sono state le denunce del Sindaco Renato Accorinti.
ANTONINO INFERRERA – FOTO E. DI GIACOMO
Avrebbero intascato tangenti per oltre centomila euro
i funzionari di Messina Ambiente, la società’ che gestisce il servizio di
raccolta dei rifiuti nella città’ dello Stretto. Agli arresti domiciliari, in
una indagine condotta dal nucleo investigativo dei carabinieri del comando
provinciale e dalla sezione di polizia giudiziaria presso la Procura, sono
finite cinque persone tra dirigenti della società’ e imprenditori. Il
provvedimento, emesso dal gip su richiesta del procuratore aggiunto Sebastiano
Ardita, riguarda l’amministratore unico di Messina Ambiente, Armando Di Maria e
il funzionario contabile della società’ Antonino Inferrera, la vera mente della
combine che avrebbe favorito imprenditori amici nell’affidamento di servizi.
L’affare più cospicuo quello dell’associazione dei
mezzi di MessinaAmbiente affidata senza alcuna gara a evidenza pubblica.
Dal 2011 al 2014 il broker assicurativo Antonino
Buttino, anche lui ai domiciliari, avrebbe ricevuto da Messina Ambiente più di
350 mila euro per individuare l’associazione più idonea per gli
autocompattatori, versando una tangente di oltre 50.000 euro. Ai domiciliari
anche i titolari di altre due aziende, Francesco Gentiluomo e Marcello De
Vincenzo, che avrebbero ugualmente pagato mazzette per ottenere, senza gara, i
servizi di riparazione dei mezzi di Messina Ambiente.
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Sanità lombarda, tangenti e
spettro della 'ndrangheta
Dalle carte rispunta Pezzano, ex Asl, coinvolto
nell'inchiesta antimafia Infinito. Poi archiviato. Era il collaboratore di
Canegrati, la lady degli appalti dentistici.
|
17 Febbraio
2016
Pietro Gino Pezzano, detto dottor Dobermann, ex
direttore dell'Asl di Milano 1.
Da una parte
il Dobermann, dall'altra Mandrake, in mezzo il ricco
business dell'odontoiatria pubblica in Regione Lombardia, tra appalti pilotati, tangenti
e un servizio pubblico scadente, a detta degli stessi indagati nelle
intercettazioni.
Sembra un fumetto della Marvel, è in realtà l'inchiesta Smile della procura di Monza che ha portato in carcere oltre al padre della riforma sanitaria lombarda Fabio Rizzi, uomo di fiducia del governatore Roberto Maroni, anche Maria Paola Canegrati detta Paoletta, titolare di una miriade di aziende con appalti negli ospedali da Milano a Brescia fino a Desio e Bergamo.
DOBERMANN E MANDRAKE. Il dottor Dobermann è Pietro Gino Pezzano da Palizzi.
Paoletta è invece Mandrake, come si definisce in un'intercettazione contenuta nell'ordinanza di custodia cautelare.
I due, a quanto pare, facevano coppia anche in privato.
Lui non è indagato, ma compare spesso nelle carte degli investigatori.
Lei invece è in carcere con l'accusa di associazione a delinquere, turbativa d'asta e riciclaggio.
AFFARI DA 400 MILIONI DI EURO. In questi anni insieme hanno portato avanti un giro d'affari da 400 milioni di euro, prima sotto la Giunta di Roberto Formigoni, dopo sotto quella di Roberto Maroni, questa volta usando un cavallo nuovo come quello di Rizzi o come Mario Longo, responsabile odontoiatria del Carroccio.
Scrive il gip di Monza: «Insieme a lui la Canegrati gestiva tutte le attività connesse con la gestione dei centri odontoiatrici e tutti i rapporti con le pubbliche amministrazioni conferenti gli appalti».
Sembra un fumetto della Marvel, è in realtà l'inchiesta Smile della procura di Monza che ha portato in carcere oltre al padre della riforma sanitaria lombarda Fabio Rizzi, uomo di fiducia del governatore Roberto Maroni, anche Maria Paola Canegrati detta Paoletta, titolare di una miriade di aziende con appalti negli ospedali da Milano a Brescia fino a Desio e Bergamo.
DOBERMANN E MANDRAKE. Il dottor Dobermann è Pietro Gino Pezzano da Palizzi.
Paoletta è invece Mandrake, come si definisce in un'intercettazione contenuta nell'ordinanza di custodia cautelare.
I due, a quanto pare, facevano coppia anche in privato.
Lui non è indagato, ma compare spesso nelle carte degli investigatori.
Lei invece è in carcere con l'accusa di associazione a delinquere, turbativa d'asta e riciclaggio.
AFFARI DA 400 MILIONI DI EURO. In questi anni insieme hanno portato avanti un giro d'affari da 400 milioni di euro, prima sotto la Giunta di Roberto Formigoni, dopo sotto quella di Roberto Maroni, questa volta usando un cavallo nuovo come quello di Rizzi o come Mario Longo, responsabile odontoiatria del Carroccio.
Scrive il gip di Monza: «Insieme a lui la Canegrati gestiva tutte le attività connesse con la gestione dei centri odontoiatrici e tutti i rapporti con le pubbliche amministrazioni conferenti gli appalti».
L'inchiesta antimafia Infinito del 2010 e il
modello Formigoni
(© Imagoeconomica) Il governatore della Regione
Lombardia Roberto Maroni e il suo predecessore Roberto Formigoni.
Lo
chiamavano appunto «dottor Dobermann» Pezzano.
E lui nel mondo della sanità lombarda non ha mai smesso di ringhiare evidentemente, anche dopo le dimissioni dalla direzione dell’Asl più importante della regione, quella di Milano 1.
Nato in provincia di Reggio Calabria, ha fatto carriera in quel ''modello Lombardia'' tanto caro a Formigoni.
L'OMBRA DELLE 'NDRINE. Prima le esperienze da medico a Desio, poi la guida dell’Asl di Monza da commissario, fino alla contestatissima nomina e successiva riconferma all’Asl 1 di Milano nel 2011, nel mezzo di una stagione che ha sancito il definitivo interesse della ‘ndrangheta per la sanità lombarda.
Nel luglio 2010 l’operazione antimafia Infinito scivolata sull’asse Milano-Reggio Calabria aveva colpito un altro re di denari del sistema sanità, Carlo Antonio Chiriaco, calabrese anche lui, allora direttore sanitario dell’Asl di Pavia.
LA DDA INDAGÒ PEZZANO PER DUE ANNI. Nella stessa inchiesta il tributarista Pino Neri, accusato e poi condannato a 18 anni per associazione mafiosa, intercettato parlava più di una volta di Pezzano.
«È uno potente, fa favori a tutti».
Che Neri millanti o meno non è dato sapere: la Direzione distrettuale antimafia (Dda) ha indagato Pezzano per due anni e a dicembre del 2011, a pochi mesi dalla riconferma dell’incarico all’Asl milanese, la sua posizione è stata archiviata.
Fatto sta che, cristallizzato nella sentenza d’Appello del tribunale di Milano, si legge a chiare lettere che Pezzano risulta essere uno dei soggetti con cui «intrattenevano rapporti» gli uomini della locale di ‘ndrangheta di Desio.
E lui nel mondo della sanità lombarda non ha mai smesso di ringhiare evidentemente, anche dopo le dimissioni dalla direzione dell’Asl più importante della regione, quella di Milano 1.
Nato in provincia di Reggio Calabria, ha fatto carriera in quel ''modello Lombardia'' tanto caro a Formigoni.
L'OMBRA DELLE 'NDRINE. Prima le esperienze da medico a Desio, poi la guida dell’Asl di Monza da commissario, fino alla contestatissima nomina e successiva riconferma all’Asl 1 di Milano nel 2011, nel mezzo di una stagione che ha sancito il definitivo interesse della ‘ndrangheta per la sanità lombarda.
Nel luglio 2010 l’operazione antimafia Infinito scivolata sull’asse Milano-Reggio Calabria aveva colpito un altro re di denari del sistema sanità, Carlo Antonio Chiriaco, calabrese anche lui, allora direttore sanitario dell’Asl di Pavia.
LA DDA INDAGÒ PEZZANO PER DUE ANNI. Nella stessa inchiesta il tributarista Pino Neri, accusato e poi condannato a 18 anni per associazione mafiosa, intercettato parlava più di una volta di Pezzano.
«È uno potente, fa favori a tutti».
Che Neri millanti o meno non è dato sapere: la Direzione distrettuale antimafia (Dda) ha indagato Pezzano per due anni e a dicembre del 2011, a pochi mesi dalla riconferma dell’incarico all’Asl milanese, la sua posizione è stata archiviata.
Fatto sta che, cristallizzato nella sentenza d’Appello del tribunale di Milano, si legge a chiare lettere che Pezzano risulta essere uno dei soggetti con cui «intrattenevano rapporti» gli uomini della locale di ‘ndrangheta di Desio.
Quegli incontri con uomini delle cosche
contestati a Pezzano
(© Ansa) Il palazzo della Regione
Lombardia.
In mezzo,
tra le indagini e l’archiviazione, ci sono le foto con i boss di Desio e un
incontro con Paolo Martino, ritenuto da anni il referente delle cosche reggine
al Nord.
«LA MOGLIE STAVA MALE». Sul boss rispondeva che «la moglie stava male, mi hanno chiesto una mano», mentre sul secondo, «il nome non mi dice niente, non mi ricordo di questo appuntamento. Se è stato rilevato dai carabinieri, ci sarà stato».
Fatto sta che nel corso dei processi la pm di Milano Alessandra Dolci non è mai stata tenera con la figura di Pezzano, in particolare per l’episodio della moglie che stava male.
APPUNTAMENTO AL BAR. L’incontro che avenne tra lo stesso Pezzano e il boss Candeloro Polimeni non fu a casa dove stava male la moglie, ma in un bar della città.
«Suppongo», disse il pm, «che quando si chiama un medico perché qualcuno sta male il medico vada a casa, non vada a parlare al bar».
I giudici di primo grado rincararono la dose nella sentenza: «L’incontro non è certamente determinato da problemi di salute della moglie di Polimeni».
LA DIFESA E LE DIMISSIONI. Per contro l’ex direttore si è sempre difeso: «Sono un cittadino che mi dicono di essere stato indagato. Non ne ho mai saputo niente. Prendo atto di quello che è stato riferito sul mio conto. Ma se ci fosse stato qualche comportamento non legale avrei dovuto rispondere delle mie azioni».
Dopo una mozione di sfiducia del Consiglio Regionale nei suoi confronti decise di lasciare l’incarico.
«Mi dimetto», dichiarò, «per salvaguardare la mia professione, chi lavora con me e la mia famiglia. Preferisco togliere dall’imbarazzo il Pirellone, anche se contro di me si è mossa la macchina del fango».
«LA MOGLIE STAVA MALE». Sul boss rispondeva che «la moglie stava male, mi hanno chiesto una mano», mentre sul secondo, «il nome non mi dice niente, non mi ricordo di questo appuntamento. Se è stato rilevato dai carabinieri, ci sarà stato».
Fatto sta che nel corso dei processi la pm di Milano Alessandra Dolci non è mai stata tenera con la figura di Pezzano, in particolare per l’episodio della moglie che stava male.
APPUNTAMENTO AL BAR. L’incontro che avenne tra lo stesso Pezzano e il boss Candeloro Polimeni non fu a casa dove stava male la moglie, ma in un bar della città.
«Suppongo», disse il pm, «che quando si chiama un medico perché qualcuno sta male il medico vada a casa, non vada a parlare al bar».
I giudici di primo grado rincararono la dose nella sentenza: «L’incontro non è certamente determinato da problemi di salute della moglie di Polimeni».
LA DIFESA E LE DIMISSIONI. Per contro l’ex direttore si è sempre difeso: «Sono un cittadino che mi dicono di essere stato indagato. Non ne ho mai saputo niente. Prendo atto di quello che è stato riferito sul mio conto. Ma se ci fosse stato qualche comportamento non legale avrei dovuto rispondere delle mie azioni».
Dopo una mozione di sfiducia del Consiglio Regionale nei suoi confronti decise di lasciare l’incarico.
«Mi dimetto», dichiarò, «per salvaguardare la mia professione, chi lavora con me e la mia famiglia. Preferisco togliere dall’imbarazzo il Pirellone, anche se contro di me si è mossa la macchina del fango».
Dottor Dobermann era il tramite della Zarina
Canegrati
L'imprenditrice Maria Paola Canegrati, al centro del
sistema di tangenti insieme a Fabio Rizzi.
Ma Pezzano a
quanto pare continuava a operare indisturbato sulla sanità lombarda.
Era il tramite, secondo le accuse, proprio della Canegrati che poi si confrontava con Rizzi e Longo per gli appalti pubblici della regione.
La Zarina, vertice del sistema di corruzione tra una miriade di società private e alcune scatole cinesi, è chiamata a rispondere delle accuse ai magistrati giovedì 18 febbraio 2016 a San Vittore.
RAPPORTI CONFIDENZIALI. Le indagini, si legge negli atti, «hanno permesso di accertare come sussistano rapporti altamente confidenziali tra Longo e Canegrati, risalenti quantomeno al 2012, anno di costituzione della Sytcenter s.r.l. (...) della quale risulta amministratore (oltre a essere socio occulto) unitamente a Canegrati».
IL MATERIALE SCADENTE. L'uomo dello staff di Rizzi, il responsabile odontoiatria per conto di Euopolis, partecipata della Regione, secondo i magistrati di Monza risulta «essere in grado di pilotare gli appalti in favore di Canegrati da cui, in cambio, riceve lauti compensi sotto svariate forme».
Paoletta Mandrake non accettava critiche. «Non si lamenta nessuno dei miei... anche perché se no li prendo a sberle», disse parlando con Giuseppe ('Nuccio') Nachiero, consigliere di amministrazione di una delle sue società che gli faceva presente le lamentele di alcuni dipendenti rispetto all'uso di materiali «diversi e più scadenti» da lei proposti rispetto a quelli utilizzati solitamente al Policlinico di Milano dove il sistema Canegrati aveva esteso i tentacoli.
ORDINI IN CAMBIO DI ASSUNZIONI. Giorgio Alessandri, medico della clinica odontoiatrica dell'ospedale di via Francesco Sforza e anche lui tra gli arrestati del 16 febbraio, avrebbe favorito una delle società dell'imprenditrice per forniture di materiale per ortodonzia e di protesi, pur scadente, «effettuando consistenti ordini».
In cambio avrebbe ottenuto denaro e l'assunzione della propria compagna in una delle strutture della Canegrati.
La piovra era ovunque.
Era il tramite, secondo le accuse, proprio della Canegrati che poi si confrontava con Rizzi e Longo per gli appalti pubblici della regione.
La Zarina, vertice del sistema di corruzione tra una miriade di società private e alcune scatole cinesi, è chiamata a rispondere delle accuse ai magistrati giovedì 18 febbraio 2016 a San Vittore.
RAPPORTI CONFIDENZIALI. Le indagini, si legge negli atti, «hanno permesso di accertare come sussistano rapporti altamente confidenziali tra Longo e Canegrati, risalenti quantomeno al 2012, anno di costituzione della Sytcenter s.r.l. (...) della quale risulta amministratore (oltre a essere socio occulto) unitamente a Canegrati».
IL MATERIALE SCADENTE. L'uomo dello staff di Rizzi, il responsabile odontoiatria per conto di Euopolis, partecipata della Regione, secondo i magistrati di Monza risulta «essere in grado di pilotare gli appalti in favore di Canegrati da cui, in cambio, riceve lauti compensi sotto svariate forme».
Paoletta Mandrake non accettava critiche. «Non si lamenta nessuno dei miei... anche perché se no li prendo a sberle», disse parlando con Giuseppe ('Nuccio') Nachiero, consigliere di amministrazione di una delle sue società che gli faceva presente le lamentele di alcuni dipendenti rispetto all'uso di materiali «diversi e più scadenti» da lei proposti rispetto a quelli utilizzati solitamente al Policlinico di Milano dove il sistema Canegrati aveva esteso i tentacoli.
ORDINI IN CAMBIO DI ASSUNZIONI. Giorgio Alessandri, medico della clinica odontoiatrica dell'ospedale di via Francesco Sforza e anche lui tra gli arrestati del 16 febbraio, avrebbe favorito una delle società dell'imprenditrice per forniture di materiale per ortodonzia e di protesi, pur scadente, «effettuando consistenti ordini».
In cambio avrebbe ottenuto denaro e l'assunzione della propria compagna in una delle strutture della Canegrati.
La piovra era ovunque.
CASERTA – 13 settembre 2016
Venti
arresti “eccellenti” a Caserta. Con l’accusa di corruzione e di appalti truccati nella
gestione dei rifiuti, la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha
disposto sette arresti domiciliari e tredici in carcere. Fra gli arrestati c’è
il presidente della
provincia di Caserta Angelo Di Costanzo, di Forza Italia.
Di Costanzo è anche sindaco di Alvignano, Comune dove sono stati
arrestati anche un assessore e il
comandante della polizia municipale. Custodia cautelare anche per Vincenzo Cappello, sindaco di
Piedimonte Matese, del Pd, per Pietro
Cappella, presidente del consorzio di bonifica Sannio-Alifana, e per
l’ex sindaco di Casagiove.
Gli arresti colpiscono in particolare la zona del Matese e, oltre
ai politici, si concentrano su imprenditori e funzionari.
Ad eseguire le misure sono la Guardia di finanza di Caserta,
coordinata dal generale Giuseppe Verrocchi e i carabinieri diretti dal
colonnello Giancarlo Scafuri. L’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua
Vetere, guidata dal procuratore capo Maria Antonietta Troncone, durava da oltre un anno e aveva nel mirino presunte dazioni di
danaro “e una serie di altre utilità” in cambio di assegnazioni di lavori nel
settore dello smaltimento dei rifiuti. In particolare, la Procura
sottolinea in una nota di aver portato alla luce “un vero e proprio
sistema criminale finalizzato all’assegnazione illecita di appalti milionari in
diversi Comuni del casertano“.
Sempre secondo l’accusa, gli arrestati avrebbero ottenuto
l’assunzione di amici e parenti, oltre a buoni benzina, auto di lusso e altri
regali: ad elargire favori e assunzioni sarebbe stato il Gruppo
Termotetti, una ditta della zona che si occupa dello smaltimento dei
rifiuti, che in cambio avrebbe così ottenuto l’assegnazione degli appalti.
Grandi Opere, nella maxi-retata
arrestati anche il progettista e il manager del ponte sullo Stretto
Lobby
Proprio un mese fa, nel giorno in cui Matteo Renzi rilanciava il
progetto, Michele Longo ed Ettore Pagani erano al suo fianco. Da ieri sono agli
arresti nell'ambito dell'inchiesta che ha portato in manette anche il figlio
dell'ex ragioniere dello Stato Monorchio e in cui è finito indagato Lunardi jr.
Il premier minimizza: "Processo sia rapido. Stiamo parlando di arresti
legati a vicende del passato"
Commenti (416)19 mila
A un mese esatto dal roboante annuncio del rilancio del
progetto del Ponte sullo
Stretto, la maxi-retata di mercoledì 26 ottobre ha tolto dalla
circolazione alcuni di quelli che erano gli uomini chiave del progetto e che
erano proprio di fianco al premier Matteo Renzi a Milano nel giorno
dell’annuncio. Si tratta del presidente e del vice-presidente del Consorzio Cociv, Michele Longo ed Ettore
Pagani. Due uomini espressione del gruppo Salini-Impregilo.
Il primo, Longo, ne è una delle figure apicali essendo general manager domestic operation e avendo quindi la responsabilità non
solo delle opere del cosiddetto Terzo
Valico, ma anche di tutte le altre operazioni italiane che coinvolgono il
gruppo. Di più, è l’uomo del Ponte, colui con il quale lo Stato deve parlare se
l’argomento è la maxi opera tra Sicilia e Calabria. E Pagani è il suo braccio
destro, nonché “responsabile del progetto Ponte sullo Stretto” per conto di Impregilo, come recita il suo
curriculum.
Le misure di custodia cautelare sono scattate nell’ambito di un’operazione sulle Grandi
Opere, dove
– secondo i magistrati – non c’è solo la solita gigantesca corruttela, ma anche
e soprattutto la sistematica violazione delle normative di sicurezza, con
lavori non fatti a regola e uso di materiali scadenti (“il
cemento sembrava colla”, intercettano gli inquirenti). Opere costosissime, spesso
inutili e soprattutto pericolose. Opere su cui il governo Renzi si è esposto
molto. L’annuncio del rilancio del progetto del Ponte il premier lo ha fatto il
27 settembre intervenendo alla festa per i 110
anni del gruppo
Salini-Impregilo che si è svolta alla Triennale di Milano. Accanto a lui,
l’amministratore delegato del gruppo, Pietro
Salini (più volte citato
nelle intercettazioni dell’inchiesta), l’ambasciatore degli Stati Uniti e molti
top manager, tra cui, come detto, gli stessi Longo e Pagani. “Non accetteremo
che si possano spendere 6-7 miliardi per la Torino Lione, 1,2 per la Variante
di Valico e poi se facciamo un’infrastruttura al Sud non si può perché rubano.
O siamo italiani sempre o siamo italiani mai”, ha detto Renzi giusto qualche
giorno fa. Ora che gli uomini del Ponte sono finiti nei guai lui
minimizza: “Mi auguro un processo equo e rapido. Il punto centrale è che
non sono le regole che fanno l’uomo ladro. E in ogni caso stiamo parlando di
arresti legati a vicende del passato”.
Se le storie sono antiche, gli uomini però sono sempre gli
stessi. Ma chi sono veramente Longo e Pagani e chi è il “terzo uomo”, Pier Paolo Marcheselli, di cui
si parla tanto in queste ore? Riguardo a Longo e Pagani le carte dei pm
riportano soprattutto due contestazioni: “Longo e Pagani decidevano di affidare
l’appalto a “Grandi Lavori Fincosit spa” nonostante tale società avesse
previsto nell’ambito delle spese generali un costo per la sicurezza aziendale
interna senz’altro incongruo (93mila euro, un ottavo dei concorrenti, ndr)”.
C’è poi la gara per realizzare la viabilità per smaltire il materiale di scavo:
“Longo, Pagani e Giulio Frulloni (quest’ultimo remunerato dall’imprenditore
Marciano Ricci mediante l’offerta di serate con “escort”) prima dell’indizione
della gara promettevano allo stesso Ricci l’affidamento dell’appalto… e
fornivano loro informazioni sul progetto che sarebbe andato in gara”.
Ci sono molti fili che legano le grandi opere italiane. Parti dal
Terzo Valico e arrivi molto lontano. Al Ponte, ma non solo. La grande opera tra Milano e Genova ha già collezionato molti record.
Giudiziari, prima che ingegneristici. Per non parlare dei costi: “Eravamo
partiti da 3.200 miliardi di lire per 127 chilometri e siamo arrivati a 6,2
miliardi di euro per 54 chilometri”, racconta Stefano
Lenzi, responsabile delle Relazioni Istituzionali del Wwf. Le rogne
cominciano negli anni ‘90 quando il pm genovese Francesco Pinto indaga sui
tunnel pilota. Si parlava di una truffa da 100 miliardi di lire. Gli indagati –
Luigi Grillo, Ercole Incalza, Marcellino Gavio e Bruno Binasco – ne uscirono
puliti: furono tra i primi a beneficiare della ex Cirielli sulla prescrizione. La storia del
Terzo Valico era cominciata nel 1991. Poi le inchieste, il silenzio. Se ne
riparla con il ritorno di Silvio Berlusconi nel 2001. E già allora si ritrovano
nomi di oggi. Nel marzo 2005 Andrea
Monorchio aveva terminato il
mandato di Ragioniere Generale dello Stato e trovato altre prestigiose
poltrone. Tra le altre quelle di presidente di Infrastrutture Spa e della Consap (Concessionaria dei Servizi
Assicurativi Pubblici). Disse allora Monorchio Senior: “La delibera Cipe ha
individuato la cifra necessaria per realizzare il Terzo Valico, 4,7 miliardi di
euro, noi siamo pronti a finanziare l’opera”.
A questo punto ecco che entra in scena Giandomenico Monorchio, citato
nell’inchiesta fiorentina del 2015 su Ercole Incalza (archiviato). Di Monorchio
jr. (arrestato ieri nella nuova inchiesta) parla nelle intercettazioni
l’imprenditore Giulio Burchi: sostiene che si “…stanno negoziando le ultime
direzioni lavori… il Cociv… il Milano-Genova ce l’aveva il figlio di… nella
spartizione fantastica di queste direzioni lavori commissionate dai general
contractor… che sono una delle vergogne grandi di questo Paese”. Spiegano i
magistrati: “Si ricorda che, di recente, il Consorzio Cociv ha affidato a
Giandomenico Monorchio la direzione dei lavori per il Terzo Valico”. Ma dalle
carte dell’inchiesta romana di oggi, sul Terzo Valico, potrebbero emergere
altri dettagli sul ruolo di Monorchio jr. Il retroscena del Terzo Valico non
viene solo dalle inchieste. Dietro il Terzo Valico c’è anche l’abbraccio tra
banche e governi. Perché era Intesa (attraverso Biis, Banca Infrastrutture
Innovazione e Sviluppo) che si occupava del project
financing privato. Ai vertici
di Biis c’era chi parlava di un finanziamento che doveva costare 374 milioni
l’anno. Mentre le Ferrovie prevedevano un ricavo da 40 milioni. Ma ecco che con
Monti i banchieri vanno al Governo: Corrado
Passera, ex numero uno di Intesa, finisce allo Sviluppo Economico e alle
Infrastrutture. Viceministro è Mario
Ciaccia, il numero uno di Biis che finanziava l’opera. Il progetto riparte.
E in un attimo la spesa si riversa sulle spalle pubbliche. E ci sarebbero anche
da contare le previsioni del traffico merci: si era detto di 5 milioni di
container l’anno. Siamo a 1,8 e la linea attuale ne regge 3. C’è poi chi, come
il Wwf, ricorda che i costi (115 milioni a chilometro) sono superiori dell’800% a quelli affrontati in Spagna.
Chi sottolinea che dopo 53 chilometri la nuova linea finirebbe nel nulla.
Ma c’è chi continua a crederci. Di sicuro la ‘ndrangheta, come ha
rivelato l’inchiesta Alchemia:
“Dalle intercettazioni – raccontò il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho – rileviamo l’interesse di
imprenditori prestanome delle cosche a sostenere finanziariamente il movimento
Sì Tav per creare nell’opinione pubblica un orientamento favorevole all’opera”.
C’è poi ò’ultimo tassello: la nomina del presidente del Porto di Genova. Perché il
Terzo Valico servirebbe proprio allo scalo ligure. Ormai è questione di ore: il
nuovo presidente sarà Paolo Emilio Signorini, già delfino di Ercole Incalza. Il
suo nome è stato proposto da Giovanni Toti. L’opposizione, soprattutto di
centrosinistra, tace. Si cerca un accordo sulla figura del Segretario
dell’Autorità Portuale. Altra poltrona cardine per il Porto (e il destino del
Terzo Valico). Si profila un’intesa con il Pd.
INCHIESTA SU
CONSIP
Corruzione nell’ambito dell’inchiesta su Consip, la società
del ministero del Tesoro che si occupa di controllare e gestire gli appalti per
il pubblico. E’ questa l’accusa con cui la Procura di Roma ha
arrestato l’imprenditore di origini campane Alfredo Romeo, che
proprio oggi compie 64 anni. L’indagine che ha portato al provvedimento di
custodia cautelare in carcere ai danni di Romeo è la stessa, partita da Napoli e
arrivata a Roma, in cui sono stati iscritti nel registro degli
indagati, seppur con ipotesi di reato diverse, il ministro dello Sport Luca
Lotti, Tiziano Renzi (il padre dell’ex premier), il
generale Tullio Del Sette (comandante dei carabinieri) e il
generale Emanuele Saltalamacchia (comandante dei carabinieri
della Toscana).
Alfredo Romeo è stato arrestato dal comando Carabinieri
tutela ambiente, dai militari dell’Arma di Napoli e dai finanzieri del
Nucleo di polizia tributaria di Napoli. L’episodio contestato all’imprenditore
campano è quella della presunta corruzione (per funzione)
di Marco Gasparri, direttore Sourcing Servizi e Utility
di Consip, in pratica il settore che si occupa delle gare per
l’acquisto dei servizi per tutte le amministrazioni. Secondo gli inquirenti, il
manager pubblico riceveva da Alfredo Romeo (a Napoli indagato
anche per associazione per delinquere) consistenti somme di denaro
in cambio di informazioniprivilegiate in grado di favorire le
società di Romeo nell’assegnazione di alcuni bandi di gara. In mattinata, è
stato anche disposto il sequestro patrimoniale di 100mila
euro: secondo gli investigatori si tratta del provento della corruzione di
Gasparri, dal 2013 a oggi. Quest’ultimo, difeso dall’avvocato Alessandro
Diddi, non è stato arrestato perché ha collaborato con gli inquirenti e ha
fornito molti particolari utili al prosieguo delle indagini. Eseguite
anche alcune perquisizioni nelle abitazioni di altri indagati
nell’ambito della stessa inchiesta. In tal senso, gli investigatori hanno fatto
visita all’ex parlamentare di An e del Pdl Italo Bocchino, consulente
di Romeo, e all’imprenditore farmaceutico toscano Carlo Russo.
Quest’ultimo, molto vicino sia a Romeo
che a Tiziano Renzi (indagato con Russo per concorso in
traffico di influenze), come dimostrato da Il Fatto Quotidianonel 2015 è stato
raccomandato dal ministro Lotti a Michele Emiliano. A rendere nota la vicenda è
stato lo stesso governatore pugliese, che per questo motivo nella giornata di
oggi era atteso in procura per riferire i particolari della questione in
qualità di persona informata sui fatti. L’appuntamento, però, non ci
sarà: gli ultimi sviluppi di cronaca hanno fatto slittare l’interrogatorio.
L’inchiesta, come detto, è nata da un’indagine avviata
nei mesi scorsi dalla Procura di Napoli per presunte
irregolarità nelle assegnazioni di alcuni appalti. Un’indagine condotta dai pm
della Dda, John Woodcock e Celeste Carrano: il
fatto che il procedimento sia condotto dai magistrati dell’Antimafia è motivato
dal presunto collegamento ai clan di alcuni dipendenti della
ditta di pulizia, che fa capo al gruppo Romeo, che ottenne l’appalto per
svolgere tale servizio all’ospedale Cardarelli di Napoli. Dagli
accertamenti svolti dai magistrati emerse un presunto sistema di tangenti in
riferimento sia all’appalto nell’ospedale Cardarelli che per altri lavori
pubblici a Napoli. Gli sviluppi più importanti dell’indagine sono
collegati alle intercettazioni telefoniche ed ambientali ed altre attività,
come sequestri e perquisizioni (a Roma furono
trovati in una discarica dei pizzini sui quali secondo l’accusa Romeo avrebbe
annotato importo e destinatari delle mazzette) che hanno portato all’apertura
del filone sugli appalti della Consip, la centrale di spesa della pubblica
amministrazione. Ciò ha comportato una trasmissione, per competenza territoriale,
di buona parte degli atti, alla Procura di Roma che sta operando in stretto
contatto con i colleghi della Procura partenopea.
L’inchiesta Consip è stata
svelata dal Fatto Quotidiano il 22 dicembre
dell’anno scorso. Nel mirino dei pm c’è l’appalto più grande d’Europa: Fm4,
cioé facility management, la gara indetta nel 2014 da Consip per
l’affidamento dei servizi gestionali degli uffici, delle
università e dei centri di ricerca della Pubblica amministrazione. La
convenzione vale 2 miliardi e 700 milioni di euro per una
durata complessiva di 36 mesi e corrisponde all’11,5 per cento della spesa
annua della Pubblica amministrazione. L’appalto è diviso in
lotti e Alfredo Romeo era in pole per un bando da quasi 700 milioni di euro.
Nell’ambito dell’inchiesta,
il ministro Lotti è indagato per rivelazione di segreto e
favoreggiamento. Il fascicolo contenente le ipotesi di reato sulle fughe di
notizie è stato stralciato dal filone principale sulla corruzione ed è
finito a Roma per competenza territoriale. Il braccio destro di Renzi, già
sottosegretario alla Presidenza del consiglio, è stato iscritto nel registro
degli indagati a seguito delle dichiarazioni del suo amico Luigi
Marroni, che nel suo interrogatorio come persona informata
dei fatti ha tirato in ballo anche il generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia,
comandante della Legione Toscana, indagato per le stesse ipotesi di reato.
Nella fattispecie, Marroni ha detto di avere saputo
dell’indagine e della presenza di microspie negli uffici
Consip dal presidente di Consip Luigi Ferrara, che a sua volta
era stato informato dal comandante Tullio Del Sette. Poi ha
aggiunto altri nomi. I più importanti sono quelli di Lotti e del generale
Emanuele Saltalamacchia, suoi amici. Entrambi lo avrebbero messo in guardia
dall’indagine. Dopo la soffiata Marroni fece eseguire la bonifica. Che
effettivamente andò a segno.
VideoNapoli
-Assenteisti in ospedale: 94 indagati, 55 arresti
All’Ospedale Loreto Mare di Napoli . Domiciliari,
tra gli altri, per un neurologo, un ginecologo, 9 tecnici di radiologia e 18
infermieri.
24 febbraio 2017
L'ospedale Loreto
Mare In tre mesi i furbetti dell'ospedale Loreto Mare hanno arrecato un
danno all'erario calcolato in 38 mila euro. "Ma è una cifra calcolata per
difetto", avverte il procuratore aggiunto di Napoli Alfonso D'Avino
ricostruendo i dettagli dell'indagine. In cinque anni, la proiezione del danno
per la timbratura illecita dei badge si attesta sugli 800 mila euro.
L'inchiesta del Pm Ida Frongillo ha portato agli arresti domiciliari 55 persone, 50 delle quali hanno ottenuto il permesso dal giudice di andare al lavoro. Il gip Pietro Carola ha motivato la scelta sottolineando che "in un un simile disastro sociale" solo in questo modo si possono garantire i diritti di tutti.
I cinque che non hanno avuto l'autorizzazione ad andare al lavoro sono coloro i quali avrebbero timbrato al posto di altri. Veri "professionisti del cartellino". Tra fine novembre 2014 e l'inizio del 2015 due di questi avrebbero timbrato rispettivamente 433 e 493 volte al posto dei titolari del badge.
L'inchiesta del Pm Ida Frongillo ha portato agli arresti domiciliari 55 persone, 50 delle quali hanno ottenuto il permesso dal giudice di andare al lavoro. Il gip Pietro Carola ha motivato la scelta sottolineando che "in un un simile disastro sociale" solo in questo modo si possono garantire i diritti di tutti.
I cinque che non hanno avuto l'autorizzazione ad andare al lavoro sono coloro i quali avrebbero timbrato al posto di altri. Veri "professionisti del cartellino". Tra fine novembre 2014 e l'inizio del 2015 due di questi avrebbero timbrato rispettivamente 433 e 493 volte al posto dei titolari del badge.
Le
indagini, commenta Fragliasso hanno fatto emergere una "situazione,
purtroppo, estremamente diffusa e generalizzata di assenteismo dal lavoro
all'interno dell'ospedale". Non c'erano solo i furbetti del cartellino.
"Sono stati accertati altri episodi legati all'attività di alcuni medici
che in violazione del diritto di esclusiva prestavano servizio anche per centri
privati. Sono risultate coinvolte un po' tutte le categorie
professionali",
Sul ruolo della direzione sanitaria e della direzione amministrativa, il procuratore Aggiunto D 'Aviano dice: "Certo c'è da riflette su come fossero effettuati i controlli e di come non ci si accorgesse della mancanza nei reparti, ma non sono state accertate responsabilità penali, potrebbero esserci responsabilità amministrative che verranno accertate da chi di dovere".
Un'indagine durata due anni. Ore e ore di filmati e intercettazioni e oltre 500 servizi di osservazione e pedinamento , 55 persone, tra le quali un neurologo, un ginecologo, nove tecnici di radiologia, 18 infermieri professionali, sei impiegati amministrativi, nove tecnici manutentori e 11 operatori sociosanitari, sono stati raggiunti da un'ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari emessa dal gip di Napoli su richiesta della procura della Repubblica. iSecondo quanto si è appreso, sarebbe spuntato un altro filone, legato alla fabbricazione di schede "taroccate" di una pay tv.
Oltre agli arresti domiciliari notificati ai 55 dipendenti dell'ospedale, i carabinieri hanno anche eseguito un sequestro preventivo di trecentomila euro nei confronti di alcuni indagati: si tratta del denaro che i dipendenti hanno percepito come indennità per esclusività della prestazione lavorativa in ospedale risultata non spettante. Dall'attività investigativa è infatti emerso che alcuni medici prestavano servizio illegittimamente anche in più strutture sanitarie private, oltre che per il Loreto Mare.
Sul ruolo della direzione sanitaria e della direzione amministrativa, il procuratore Aggiunto D 'Aviano dice: "Certo c'è da riflette su come fossero effettuati i controlli e di come non ci si accorgesse della mancanza nei reparti, ma non sono state accertate responsabilità penali, potrebbero esserci responsabilità amministrative che verranno accertate da chi di dovere".
Un'indagine durata due anni. Ore e ore di filmati e intercettazioni e oltre 500 servizi di osservazione e pedinamento , 55 persone, tra le quali un neurologo, un ginecologo, nove tecnici di radiologia, 18 infermieri professionali, sei impiegati amministrativi, nove tecnici manutentori e 11 operatori sociosanitari, sono stati raggiunti da un'ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari emessa dal gip di Napoli su richiesta della procura della Repubblica. iSecondo quanto si è appreso, sarebbe spuntato un altro filone, legato alla fabbricazione di schede "taroccate" di una pay tv.
Oltre agli arresti domiciliari notificati ai 55 dipendenti dell'ospedale, i carabinieri hanno anche eseguito un sequestro preventivo di trecentomila euro nei confronti di alcuni indagati: si tratta del denaro che i dipendenti hanno percepito come indennità per esclusività della prestazione lavorativa in ospedale risultata non spettante. Dall'attività investigativa è infatti emerso che alcuni medici prestavano servizio illegittimamente anche in più strutture sanitarie private, oltre che per il Loreto Mare.
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L’
INCHIESTA SULLA UNIVERSITA’
DI FIRENZE - Concorsi truccati -
Anche i professori tengono famiglia. A due giorni dagli
arresti decisi dal gip di Firenze, a interrogatori iniziati – tra silenzi e non ricordo
– dalle carte dell’inchiesta, condotta del pm Paolo Barlucchi,
emerge anche l’atteso filone del nepotismo. Poteva accadere – e in
effetti è accaduto – che un docente, nominato commissario, dovesse dimettersi
per incompatibilità ed è in questo quadro che salta fuori il primo caso: quello
di Andrea Colli Vignarelli, ordinario a Messina interdetto dal
giudice, marito di Maria Concetta Parlato, figlia del professore Andrea
Parlato, ordinario nella cittadina sullo stretto. “Ha avuto buon gioco a
far ritirare la moglie Maria Concetta Parlato negoziando i
propri voti in cambio dell’assicurazione dell’abilitazione del coniuge
nella tornata successiva, quando lui – ragiona il gip – si sarebbe
appunto dimesso per incompatibilità”. Anche per “Mariù” scende in campo
anche l’ottantenne padre.
Il “negoziato per far
passare Mariù”
È l’aprile del 2015 e le dimissioni incrociate di alcuni commissari creano un effetto domino che il professor Pasquale Russo – il docente che diceva al ricercatore da escludere “se fai ricorso ti giochi la carriera” – commenta così con il collega di Bologna Adriano Di Pietro: “Perché loro pensavano che la commissione prima, sarebbe stata anche la commissione seconda, dopo aver sostituito, ehm, Guglielmo Fransoni per incompatibilità. Si sono fatti male i conti perché la commissione è cambiata totalmente”. Ed è proprio Fransoni, docente a Foggia, a chiarire quali erano gli accordi: il ritiro sia di Francesco Padovani (il candidato sponsorizzato ai danni di Philip Jezzi Laroma, che poi ha denunciato tutti) sia della Parlato, moglie del suo interlocutore. “Perché noi avevamo fatto come dire? Un ticket: Mariù-Francesco. Non può essere separato: io e te abbiamo fatto un gioco di squadra e abbiamo, avevamo raggiunto un’intesa”. Già, il ticket. È in questo che il commissario Fransoni, all’esito dei lavori della commissione, avrebbe ottenuto un posto per Francesco Padovani, poi diventato ricercatore a tempo determinato a Pisa, alla tornata successiva. Per Maria Concetta Parlato il padre va a Bologna da Di Pietro: è il marzo 2015 e accompagnato dalla figlia inizia la trattativa. E in una telefonata intercettata che poi il professore bolognese parla di un candidato definendolo “mediocre”, precisando che però rientrerà nel “negoziato per far passare Mariù“.
È l’aprile del 2015 e le dimissioni incrociate di alcuni commissari creano un effetto domino che il professor Pasquale Russo – il docente che diceva al ricercatore da escludere “se fai ricorso ti giochi la carriera” – commenta così con il collega di Bologna Adriano Di Pietro: “Perché loro pensavano che la commissione prima, sarebbe stata anche la commissione seconda, dopo aver sostituito, ehm, Guglielmo Fransoni per incompatibilità. Si sono fatti male i conti perché la commissione è cambiata totalmente”. Ed è proprio Fransoni, docente a Foggia, a chiarire quali erano gli accordi: il ritiro sia di Francesco Padovani (il candidato sponsorizzato ai danni di Philip Jezzi Laroma, che poi ha denunciato tutti) sia della Parlato, moglie del suo interlocutore. “Perché noi avevamo fatto come dire? Un ticket: Mariù-Francesco. Non può essere separato: io e te abbiamo fatto un gioco di squadra e abbiamo, avevamo raggiunto un’intesa”. Già, il ticket. È in questo che il commissario Fransoni, all’esito dei lavori della commissione, avrebbe ottenuto un posto per Francesco Padovani, poi diventato ricercatore a tempo determinato a Pisa, alla tornata successiva. Per Maria Concetta Parlato il padre va a Bologna da Di Pietro: è il marzo 2015 e accompagnato dalla figlia inizia la trattativa. E in una telefonata intercettata che poi il professore bolognese parla di un candidato definendolo “mediocre”, precisando che però rientrerà nel “negoziato per far passare Mariù“.
Di Mariù parla anche il
professore Fabrizio Amatucci (Università di Napoli) con il
commissario spagnolo Carlos Maria Lopez Espadafor: “Ci sarebbe poi
la Parlato. La Parlato tu sai che è figlia di Parlato, il professore di
Palermo che è stato il mae … , un po’ per certi versi, il maestro no, ma
si è laureato Zizzo (Giuseppe, Università Carlo Cattaneo Milano ndr) cioè Zizzo
è un po’ legato a Parlato, ma moltissimo è legato Parlato a Di Pietro. Di
Pietro e Parlato sono sempre stati molto uniti. Quindi lui può essere che
poi ad un certo punto, non lo farà all’inizio, farà il nome
della Parlato che è debole, vatti a vedere il curriculum.
Quindi noi abbiamo un’altra arma se lui ci chiede la Parlato allora
io gli comincio a chiedere di tutto perché vuol dire che il livello,
hai capito? Scende. Il livello è basso“. Parlato padre si
commuove, ad abilitazione ottenuta, e Di Pietro riferisce di avergli risposto
tranchant: “Abbiamo dovuto accettare anche Cimino conoscendo … però
Andrea, questo è stato il prezzo da pagare perché andasse all’unanimità
Mariù“.
“L’accordo malsano”
per la “sistemazione” della compagna
Un altro caso riguarda il professore Pietro Boria, ordinario a La Sapienza e autore del libro I Fondamenti del Diritto Tributario, che il 10 aprile 2015, parlando con il collega Eugenio Della Valle gli comunica, ben prima della pubblicazione dei risultati, chi sarebbe stato abilitato. Non per merito naturalmente, ma per tutelare un’intesa finalizzata “all’armonia”, “serenità”, e “amicizia” tra di loro. Decisioni che però indispettiscono la compagna e collega Rossella Miceli (La Sapienza, non indagata). Boria le racconta che “passano sia Fortunato che Giorgi”, quest’ultimo suo diretto concorrente nell’ateneo di riferimento, ma allo stesso tempo le comunica di aver ricevuto “un impegno morale” da Della Valle a non far presentare Giorgi per il posto a cui aspira lei: “Eugenio mi ha detto che non fa la domanda e ha preso un impegno formale in questo senso”.
Un altro caso riguarda il professore Pietro Boria, ordinario a La Sapienza e autore del libro I Fondamenti del Diritto Tributario, che il 10 aprile 2015, parlando con il collega Eugenio Della Valle gli comunica, ben prima della pubblicazione dei risultati, chi sarebbe stato abilitato. Non per merito naturalmente, ma per tutelare un’intesa finalizzata “all’armonia”, “serenità”, e “amicizia” tra di loro. Decisioni che però indispettiscono la compagna e collega Rossella Miceli (La Sapienza, non indagata). Boria le racconta che “passano sia Fortunato che Giorgi”, quest’ultimo suo diretto concorrente nell’ateneo di riferimento, ma allo stesso tempo le comunica di aver ricevuto “un impegno morale” da Della Valle a non far presentare Giorgi per il posto a cui aspira lei: “Eugenio mi ha detto che non fa la domanda e ha preso un impegno formale in questo senso”.
La conferma dell’intesa raggiunta è
contenuta in una telefonata telefonata tra Alessandro Giovannini,
ordinario a Siena e finito ai domiciliari, e Adriano Di Pietro,
docente a Bologna che davanti al gip si è avvalso della facoltà di non
rispondere. Il primo, parlando al telefono con il collega, il 16
aprile 2015, definisce tale convenzione come un “accordo malsano“,
“legato alla sistemazione della moglie di Boria” e il suo
interlocutore, condividendo tale giudizio, dice: “Ma certo, ma certo. vuoi
che non lo non sappia”. Altra conferma, secondo il ragionamento degli
inquirenti, arriva con la telefona di due giorni prima tra il candidato Marino
e il professar Claudio Sacchettodell’Università di Torino (per lui
il gip ha rigettato la richiesta di misura cautelare). Il primo, il 14 aprile
2015, racconta al secondo: “Eugenio Della Valle pare abbia fatto un
accordo con Boria sulla seconda fascia: tant’è vero che, infatti,
ha ottenuto Massimiliano Giorgi con la condizione che sia chiamata prima la
Miceli su Roma”.
La non abilitazione di
una candidata che si era opposta alla figlia di un professore
Tra i candidati bocciati o rimandati, stando alle indagini, c’è ne è anche una, Caterina Oliva Corrado, collaboratrice dello StudioVietar Uckmar di Genova, che aveva indispettito il professor Giovanni Eugenio Marongiu. Il docente spiega al suo interlocutore che la candidata non partecipa con impegno alle attività universitarie da lui organizzate e avrebbe commesso la “scorrettezza” di ricorrere contro gli esiti di un concorso per ricercatrice bandito dall’ateneo genovese, vinto dalla figlia Paola. A Di Pietro Marongiu dice: “… è un giudizio di merito, secondo me. Come non si meritava di diventare ricercatore, non si merita ancora di diventare”. Lo stesso giorno, trasferendosi da Bologna a Milano, Marongiu, in pellegrinaggio per far fuori Oliva Corrado, va a trovare Zizzo cui ripete le stesse argomentazioni. “Come si vedrà – chiosa il gip – la richiesta del professar Marongiu verrà accolta, in occasione della prima riunione in seduta comune dei membri della Commissione, che avverrà il 19 marzo 2015 a Bologna”.
Tra i candidati bocciati o rimandati, stando alle indagini, c’è ne è anche una, Caterina Oliva Corrado, collaboratrice dello StudioVietar Uckmar di Genova, che aveva indispettito il professor Giovanni Eugenio Marongiu. Il docente spiega al suo interlocutore che la candidata non partecipa con impegno alle attività universitarie da lui organizzate e avrebbe commesso la “scorrettezza” di ricorrere contro gli esiti di un concorso per ricercatrice bandito dall’ateneo genovese, vinto dalla figlia Paola. A Di Pietro Marongiu dice: “… è un giudizio di merito, secondo me. Come non si meritava di diventare ricercatore, non si merita ancora di diventare”. Lo stesso giorno, trasferendosi da Bologna a Milano, Marongiu, in pellegrinaggio per far fuori Oliva Corrado, va a trovare Zizzo cui ripete le stesse argomentazioni. “Come si vedrà – chiosa il gip – la richiesta del professar Marongiu verrà accolta, in occasione della prima riunione in seduta comune dei membri della Commissione, che avverrà il 19 marzo 2015 a Bologna”.
La inchiesta giudiziaria ( 23 nov. 2017 ) sulla
Famiglia dei Genovese ( Messina ) :
È un sequestro multimilionario – si parla addirittura di beni
pari a cento milioni di euro – quello che ha
colpito Francantonio Genovese,
primo segretario del Pd in Sicilia, ora deputato di Forza Italia. Era già stato condannato in primo grado per associazione per delinquere,
truffa, riciclaggio,
frode fiscale, peculato perché
con enti controllati da lui e dai suoi familiari ha truffato la Regione
siciliana. Per questo motivo è accusato di aver sottratto al fisco 20
milioni di euro.
“ L'
AFFAIRE BANKITALIA
“
Per riuscire a capire
qualcosa sull' " affaire " di Bankitalia , è indispensabile entrare
nei meandri della finanza internazionale e analizzare singolarmente e poi
congiuntamente i diversi fattori che legano gli interessi economici e
finanziari del mondo .
Innanzi tutto , voler considerare gli effetti
della ultima crisi, epocale , che ha investito l'economia di molti Paesi
occidentali , europei e altri , maggiormente l'Italia ,insieme alla Grecia .
Il " sistema
" globalizzato del mondo finanziario internazionale ed europeo ha generato
interconnessioni e condizionamenti reciproci fra i vari istituti bancari di
tutti i Paesi dell'Unione e con altri Paesi internazionali .
In ambito europeo si è verificato che ogni
particolare situazione economica-finanziaria critica , verificatasi nell'ambito
di un Paese , ha inevitabilmente prodotto effetti negativi e di instabilità anche sul sistema bancario di altri Paesi europei .
Ciò è avvenuto soprattutto a causa del
fenomeno dei crediti cosiddetti " deteriorati " , difficilmente o non
più esigibili , e dei cosiddetti " derivati " , causati non solo da
oggettive difficoltà economiche dei mercati e da situazioni economiche
difficili di molte imprese e famiglie , ma anche e purtroppo , come è avvenuto
specialmente in Italia e in Grecia , a causa di cattive gestioni delle risorse
finanziarie , poste in essere da diverse banche . Risorse di denaro che sono
state usate per speculazioni clientelari, per favoritismi e investimenti
improduttivi e fallimentari ,e che hanno creato ripercussioni in tutta la rete
dei contatti interbancari europei .
In un tale contesto di
disfunzioni del sistema , sono stati diversi gli interventi della Banca
Centrale Europea ( Governatore Mario Draghi
) che hanno cercato di ristabilire di volta in volta i necessari equilibri
all'interno del sistema stesso , tentando , nel contempo , di contenere gli
effetti negativi che tali fenomeni avrebbero potuto avere sulla stabilità monetaria dell'Euro nei confronti dei mercati finanziari
internazionali .
Un processo difficile da gestire , in cui la
stessa Bankitalia si è trovata ,
riguardo alle funzioni istituzionali di controllo sulla gestione degli istituti
bancari italiani . Funzione che la Bankitalia ( Governatore Visco ) non ha
compiutamente svolto attraverso opportuni e tempestivi interventi regolatori
diretti nei confronti di taluni istituti
bancari ( es.. MPS , Banca Etruria , Banca AntonVeneta , etc) prima che questi
si rivelassero fallimentari ,e che hanno danneggiato migliaia di cittadini
risparmiatori .
La domanda è : Di tali situazioni bancarie
italiane , già conosciute come critiche da tempo , è stato messo al corrente il governatore Draghi della
Banca Centrale Europea , in modo formale da parte del governatore Visco di
Bankitalia ? ...
Certamente Draghi ha
sempre e tempestivamente avuto contezza di tutto ciò che avveniva ed è avvenuto
all'interno del sistema bancario europeo e quindi anche in quello italiano
.Pertanto , si deve dedurre che probabilmente , per quanto attiene all’Italia
, è stato più importante non fare " esplodere
" scandali ,che avrebbero avuto effetti dannosi per l'euro nel mercato internazionale , piuttosto
che innescare processi inquisitori , che avrebbero dovuto far emergere e
rendere pubbliche , anche a livello internazionale , gravi responsabilità ,
anche di natura penale , nei confronti di soggetti , dirigenti bancari , che ,
a quel punto avrebbero dovuto confessare
legami di interessi e complicità , non solo con il mondo degli affari , ma
anche con quello politico-partitico del nostro Paese.
La qualcosa avrebbe avuto come conseguenza la
crisi e la caduta del governo in carica , sostenuto , appunto , da una
maggioranza costituita da un sistema politico di partiti
che , insieme ad altri partiti della opposizione , hanno
avuto dirette e indirette
implicazioni con affari connessi alle attività finanziarie delle banche.
E’
chiaro , allora , per qual
motivo il Capo dello Stato
italiano ( Mattarella ) voglia ritenere
più opportuno mantenere la calma , per
evitare un danno
maggiore al Paese . Cioè
quello che si
crei una situazione di discredito
da parte dei Paesi esteri nei
confronti di importantissimi Organi
istituzionali dello Stato italiano , quale quello del Governatore Visco e
di Bankitalia , ed anche nei confronti dello stesso Governatore della Banca Centrale
Europea , dottor Draghi , senza contare
i danni gravi che deriverebbero alla stessa economia del Paese.
La maggiore responsabilità di
tutto questo , però , è da porre a
carico del sistema
politico-partitico italiano ,spesso
costituito di soggetti corrotti ,
i quali , per molti
anni , e per interessi speculativi e faziosi , sono riusciti a coinvolgere il sistema bancario , nelle
persone dei rispettivi dirigenti , utilizzando le attività
istituzionali degli istituti di credito , che dovevano essere volte a tutelare solo i risparmi dei cittadini , per scopi inerenti
gli interessi dei
partiti stessi ed affari , anche
personali e privati , intrecciati con
attività di imprese
rivelatesi poi fallimentari.
BANCHE
E RISPARMI IN
FUMO
BANCHE , SPECULAZIONI
, POLITICA , TRUFFE , RISPARMIATORI ,
INVESTITORI , BANKITALIA , CONSOB
Tutte queste le figure , che appaiono sullo
scenario di una farsa scandalosa all’italiana , il cui copione si è vergognosamente ripetuto
per decenni in danno
di cittadini , sprovveduti ,
turlupinati da individui senza
scrupoli , imbroglioni , speculatori , ladri , organizzati secondo un sistema di gestione finanziaria dei risparmi privati
di natura gravemente immorale , addirittura criminale, giocando sulla buonafede di
centinaia di migliaia di cittadini
ignari e quindi raggirati .
Adesso
, assistiamo ad una infinita
sequela di comparse , ambigue , opache , a diatribe farcite di ipocrisia e anche di falsità, , fra
chi accusa le autorità di vigilanza sulle banche (
Bankitalia e Consob ) , chi accusa gli
enti preposti alla dirigenza delle banche , ai vertici delle stesse ( c.d.a. )
, chi accusa gli agenti e promotori finanziari , chi accusa la politica , chi
accusa i risparmiatori e piccoli investitori , per non essere stati abbastanza avveduti nel momento
di sottoscrivere contratti ,
contenenti condizioni ad
alto rischio .
Un
vergognoso rimpallo di accuse , che si aggrovigliano in una matassa di bugie e
di affari palesemente sporchi , e che una
predisposta Commissione di indagine
dovrà , prima o poi , sciogliere , sempre se vi riuscirà.
Tutto
ciò dà l’idea , appunto , di una
tragicommedia all’italiana , la cui trama può bene essere paragonata ad un fatto
di cronaca oppure ad
una scena da
film , in cui :
Una banda di
individui mettono a segno una rapina ,
sottraendo una grossa somma di denaro dalle cassette di sicurezza in una banca . Al momento del processo , il
giudice accerta che , però , gli agenti di vigilanza sulla banca ,
distrattamente , stavano guardando
la tv , nel momento in cui la rapina ha avuto luogo. In più , il giudice constata un fatto
particolare , cioè che nella
banca stessa , la direzione responsabile e i
funzionari bancari avevano
disposto che il denaro
depositato fosse custodito in cassette
di sicurezza , però in una condizione tale da
essere facilmente a
rischio da parte di azioni di
malintenzionati , pur assicurando i depositanti
di potersi fidare della custodia
da parte della banca medesima .
A questo
punto , cosa dovrebbe fare il giudice ?,
Dovrebbe condannare i
rapinatori e eventualmente anche quei vigilanti che risultassero complici dei rapinatori ? Certamente
, si . Secondo il buon senso . Ma
non è affatto sicuro che la sentenza in Italia verrà decisa
così !
Infatti
, gli
avvocati difensori dei rapinatori
sostengono , paradossalmente ,
che dovrebbero essere
condannati solo gli agenti addetti
alla vigilanza e essere assolti
i rapinatori . E
persino , essere assolti tutti , rapinatori e vigilanti ,
addossando la colpa
solo alla ingenuità
e sprovvedutezza dei
depositanti , che si sono fidati troppo facilmente dei bancari .