POTERE LEGALE E
CONTRO-POTERE
Appare di
tutta evidenza che in questi ultimi tempi nel nostro Paese stiano assumendo
vigore molte di quelle forze sane che sono rivolte ad affermare la legalità ,
la giustizia , e che , purtroppo , all’interno delle stesse Istituzioni dello
Stato sono state e purtroppo continuano
ad essere minacciate e a volte assediate da un vero e proprio “
sistema “ di poteri, gestito da corruttori e corrotti , da complicità
politiche e collusioni con gruppi
occulti , criminali e mafiosi .
Finalmente ,
emergono con sempre maggiore frequenza e
numero, prestigiosi interventi organizzativi e operativi da parte di molti
magistrati e operatori delle Forze dell’ordine e della finanza , che hanno
permesso e sono stati capaci di scoprire efficacemente importanti fatti malavitosi , per attività illecite , molto
diffuse lungo tutto il territorio nazionale e negli enti pubblici , rilevate
nel campo degli appalti su opere pubbliche , nel traffico di stupefacenti , nel
riciclaggio di denaro , nella evasione fiscale , ma anche episodi di corruzione , esercitata proprio all’interno e fra Organi istituzionali ,
politici e persino giudiziari .
A questo
punto è augurabile che TUTTI I
CITTADINI ITALIANI onesti , sostengano sino in fondo questa “
ondata di legalità “ , per evitare che essa s’infranga , ancora un’altra volta , contro gli scogli frapposti dal “ contro-potere mafioso “ e che tale ondata , invece , riesca a
sommergere definitivamente e a far sprofondare negli abissi quei malefici e
famelici mostri , che hanno sino ad ora divorato e intendono ancora divorare
le sane e produttive risorse del nostro Paese.
Allarme Dia: in Lombardia la
‘ndrangheta prospera, oltre 30 i clan attivi, mai così tanti. Ecco la mappa
8 ORE
Una parte
della cartina delle famiglie di 'Ndrangheta presenti in Lombardia. Dalla
Relazione di Attività secondo semestre 2018 della Dia
Trenta
Locali (cioè cosche) di ‘ndrangheta sono attive oggi, ora, mentre scriviamo, in
Lombardia. Lo certifica la Relazione sul secondo semestre 2018 di attività
della Dia (Direzione Investigativa antimafia).
Era dal 1994
– cioè da
prima dello spartiacque epocale che fu l’indagine “Crimine-Infinito, che a
partire dal 2003 sancì ufficialmente la presenza della ‘ndrangheta nella
principale regione del Nord Italia – che non si registrava un numero tanto
elevato di famiglie in piena attività criminale.
A Milano,
nella sua provincia e nel resto della Lombardia la ’ndrangheta ha consolidato
il suo radicamento attraverso la stretta interconnessione tra le “locali”
presenti e la “casa madre” del “Crimine” reggino. Se prendiamo una cartina
politica (criminale) della regione più industrializzata d’Italia, troviamo:
- le locali di Milano città (4), Bollate, Bresso, Cormano, Corsico, Pioltello, Rho, Solaro e Legnano;
- quelle di Como città, Erba, Canzo-Asso, Mariano Comense, Appiano Gentile, Senna Comasco, Fino Mornasco e Cermenate;
- Monza-Brianza città, Giussano, Desio, Seregno, Lentate sul Seveso e Limbiate;
- Lecco e Calolziocorte;
- Locale di Lumezzane (Brescia);
- Locali di Pavia e Voghera
- Locali di Varese e Lonate Pozzolo.
Si tratta di
nuclei che agiscono in modo autonomo tra loro – ma non rispetto alle
rispettive “case madri calabresi” –, coordinate a livello locale da un
organo chiamato “La Lombardia”, retto dal capo della famiglia più autorevole
(fino a poco fa, i Barbaro, originari di Platì (RC)).
Una
‘ndrangheta in piena salute, quindi, nonostante l’imponente attività di
contrasto portata avanti dalla Dia da una parte e dalla DDA, Direzione
Distrettuale Antimafia, dall’altra.
Tanto che “per
la prima volta nella storia delle relazioni DIA compare la cartina della
Lombardia”, sottolinea preoccupato il presidente della Commissione
Antimafia del Comune di Milano, David Gentili, “È un salto culturale.
Non sono indicate le famiglie (nella mappa, ndr), ma mai era comparsa, come
invece è tradizione che siano presenti le cartine delle province Calabre, di
Napoli, della Campania e dei mandamenti siciliani”.
Un dato per
tutti spiega la situazione: la Lombardia è al quarto posto per numero di
immobili confiscati (dopo Sicilia, Campania e Calabria) e al quinto per
il numero di aziende confiscate (dopo Sicilia, Campania; Lazio e Calabria).
“Allo stato
attuale, in Lombardia, sono in corso le procedure per la gestione di 1.796
immobili confiscati, mentre altri 1.141 risultano già destinati.
Sono, altresì, in atto le procedure per la gestione di 269 aziende, a
fronte delle 83 già definite”.
Tra questi
troviamo alberghi, ristoranti, attività immobiliari, commercio all’ingrosso,
attività manifatturiere ed edili, terreni agricoli, appartamenti, ville,
fabbricati industriali, negozi (dati dell’Agenzia nazionale per
l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla
criminalità organizzata). La classifica dei sequestri per provincia
recita: Milano, Monza Brianza, Varese, Pavia, Brescia, Bergamo, Como,
Cremona, Lecco, Mantova, Sondrio e Lodi.
Per gli
investigatori, oggi, “la penetrazione del sistema imprenditoriale lombardo appare
sempre più marcata da parte dei sodalizi calabresi, ma anche le mafie di
estrazione siciliana e campana si mostrano in grado di esprimere la stessa minaccia”,
mentre appare “meno significativa” la criminalità organizzata pugliese,
“che si manifesta episodicamente, nella quasi totalità dei casi per reati
connessi al traffico di sostanze stupefacenti e contro il patrimonio”.
L’attività
investigativa ha dimostrato “una tendenza sempre maggiore di tentativi di
infiltrazione nel settore degli appalti pubblici e nel rilascio delle
autorizzazioni, licenze e concessioni pubbliche. In particolare, i settori
commerciali con più provvedimenti prefettizi, nel semestre (2018), risultano
quelli della ristorazione, giochi e scommesse, costruzioni, autotrasporto di
merci, autodemolizioni, commercio auto”.
Bergamo è l’eccezione (in negativo)
Ma se questi
dati confermano (ancora una volta) tendenze già in parte note, del tutto nuovo
è il fenomeno – assai preoccupante – che ha caratterizzato le cosche
bergamasche, la cui infiltrazione è stata tutt’altro che “silente”.
All’ombra di
Città Alta, infatti, le nuove generazioni di ‘ndranghetisti “blasonati” “non
sembrano manifestare la tipica propensione imprenditoriale e la capacità di
“mimetizzarsi”, propria di altri gruppi calabresi stanziati in Lombardia”.
Queste nuove leve, infatti, pur non disdegnando le attività illecite più
“sofisticate” (riciclaggio e reimpiego di capitali), “sembrano privilegiare
strategie “militari” di controllo del territorio che – per quanto meno
evolute nel profilo economico-criminale – creano tuttavia un diffuso allarme
sociale, proprio per la pratica della violenza e della intimidazione”.
Insomma, i nipoti dei vecchi boss non tengono il profilo basso professato dai
capi, ma uccidono, gambizzano, taglieggiano in pieno giorno. Davanti
all’intera comunità, la quale non ha mai denunciato. Anzi.
Milano
città, il reame dei Barbaro-Papalia
Nel semestre
in esame, sono state numerose le operazioni portate a termine e gli arresti. Il
che è un bene, se si considera l’attenzione delle istituzioni per il fenomeno,
un male se la si guarda dalla parte della diffusione capillare del “mercato
dell’illegalità” gestito dalle varie Locali.
La cattura del boss Rocco Barbaro a
Platì (Rc) nel maggio del 2017. Foto dei Carabinieri
Tra le varie
indagini, possiamo ricordare:
- A luglio 2018 l’operazione “Red Carpet”, che ha portato in carcere 23 persone accusate di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, corruzione, trasferimento fraudolento di valori, ricettazione, riciclaggio, intercettazioni illegali e lesioni. Le indagini hanno riguardato due gruppi criminali interconnessi attivi nei quartieri della Comasina e Bruzzano. A gestire il traffico di droga, uomini del clan Flachi, attivo in Lombardia sin dagli anni ’90;
- Ad ottobre, con l’operazione “Quadrato”, i Carabinieri hanno arrestato 14 soggetti per associazione finalizzata al traffico e allo spaccio di cocaina al Quadrato di Corsico. Un bar, riconducibile al clan Trimboli di Platì (RC), era uno dei tre esercizi pubblici in cui veniva gestito lo spaccio. Tra i promotori dell’associazione anche un appartenente di spicco del clan Barbaro, sempre di Platì (RC). Questa famiglia, che da decenni regna incontrastata a Corsico, è l’epicentro nella gestione ‘ndranghetista della regione. Il 10 ottobre 2018, il Tribunale di Milano ha condannato il 54enne Rocco Barbaro a 16 anni, riconoscendolo colpevole di associazione di tipo mafioso, nonché effettivo proprietario del bar Vecchia Milano di corso Europa, intestato fittiziamente ad un prestanome (condannato anche il nipote, Antonio Barbaro). Il processo ha indicato Rocco – figlio del patriarca “Cicciu u Castanu” – come il reggente de “la Lombardia”, nonché vero cervello del narcotraffico internazionale in Italia. Nell’autunno 2016, con rito abbreviato, era stato condannato a 8 anni anche il figlio di Rocco, Francesco.
- Tra ottobre e novembre, gli ultimi arresti dell’operazione “Miracolo” – in carcere finiscono “39 soggetti dediti al traffico internazionale di stupefacenti” – sono importanti perché hanno dimostrato “l’estrema capacità dei gruppi di entrare in connessione tra loro per il raggiungimento di un obiettivo comune”. In una prima tranche erano stati arrestati gli affiliati al gruppo Cilione (cosca di Melito di Porto Salvo (RC)), che detenevano il monopolio dello spaccio nel quartiere di Bonola e a Robbio (PV), nonché gli affiliati al gruppo Cademartori-Ponzo, “contiguo ad alcuni sodalizi mafiosi etnei, in particolare ai clan Pillera-Puntina, Laudani, Cursoti (che si occupavano di organizzare l’importazione dello stupefacente), e del napoletano (Gionta)”. In una seconda tranche, vengono arrestati gli uomini legati ai gruppi Luongo di Manfredonia (FG) e, naturalmente, ai Barbaro, protagonisti dello spaccio di droga anche nel quartiere di San Siro.
Ma se a
Milano città va male, in provincia è anche peggio: grazie all’operazione
“Linfa” finiscono in manette 10 persone. Tra questi spicca il nome di G.
M., 58 anni, originario di Rosarno (RC), che dalla sua residenza in Svizzera,
ogni giorno raggiungeva Rodano (MI) e Casorate Primo (PV) per gestire le
partite di stupefacenti per conto dei Bellocco e dei Pesce, clan della
Piana di Gioia Tauro, nel Reggino. L’altro nome grosso è quello del 47enne Francesco
Cicino, di Guardavalle (Cz), già braccio destro di Carmelo Novella,
il boss reggente della ‘Ndrangheta in Lombardia, ucciso in un agguato a San
Vittore Olona il 14 luglio 2008 perché “reo” di aver cercato di rendere le
locali lombarde indipendenti dalla Calabria. Nel blitz vengono sequestrati
anche 149 chili di marijuana, 6 chili di cocaina e 40mila euro in contanti.
L’attività investigativa ha anche dimostrato come alcuni imprenditori lombardi
si rivolgessero scientemente agli ‘ndranghetisti per riscuotere crediti vantati
nei confronti di altri imprenditori.
A novembre,
con l’operazione “Pineapple” è stata bloccata un’associazione criminale,
composta per lo più da calabresi, attiva tra Milano, Busto Arsizio (VA)
e territori limitrofi, specializzata nel traffico internazionale di cocaina,
tra Repubblica Domenicana e Italia. Sette gli arresti totali.
Il summit dei 23 boss delle Locali
della Lombardia riuniti nel circolo “Falcone e Borsellino” il 31 ottobre 2009.
Nel restante
territorio regionale, invece, siamo messi anche peggio. “La posizione
privilegiata nei rapporti commerciali con le province limitrofe e con la
Svizzera, la provincia di Como ricade inevitabilmente nelle mire delle
organizzazioni criminali e della ’ndrangheta in particolare, tanto da far
registrare, nel tempo, la presenza delle locali di Como, Erba, Canzo-Asso,
Mariano Comense, Appiano Gentile, Senna Comasco, Fino Mornasco e Cermenate”.
Presso il Tribunale di Como sui è celebrato il processo di primo grado
dell’inchiesta “Ignoto 23”, che ha portato alla condanna di Fortunato
Calabrò.
Un processo
importante, perché ha dato un volto al 23° partecipante – l’unico sfuggito per
oltre 5 anni alla giustizia – al summit tenuto presso il centro anziani
“Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano, il 31 ottobre 2009 che
scelse Pasquale Zappia come referente delle cosche al Nord
Italia in sostituzione di Carmelo Novella.
Nello stesso
procedimento erano “state indagate 13 persone, tra cui il nipote del boss della
cosca africese Morabito, per associazione di tipo mafioso, estorsione in
danno di alcuni esercizi commerciali, detenzione e porto abusivo di armi,
lesioni aggravate e danneggiamento, con l’aggravante del metodo mafioso. Gli
imputati sono ritenuti al vertice della locale di Limbiate (MB) ed in
stretta correlazione con la locale di Mariano Comense (CO)”. Nel
fascicolo erano entrati anche una serie di “eclatanti atti criminali, quali
gambizzazioni, spari con armi da fuoco in pieno centro abitato e lanci di
bottiglie incendiarie”, registrati a Cantù.
Le presenze
della ‘ndrangheta sono riscontrate anche negli altri territori, come in
provincia di Mantova, dove a un imprenditore edile originario della
provincia di Crotone, ma da anni residente a Curtatone (MN) – già condannato
per usura -, sono state confiscate quote di società immobiliari per oltre 5
milioni di euro a causa della sua contiguità con le cosche della Lombardia
orientale.
A Monza,
invece, il sequestro ha colpito società, immobili e conti correnti, per un
valore complessivo di circa 2 milioni, di un imprenditore originario di Santa
Caterina dello Jonio (CZ), ritenuto contiguo alla locale di Giussano (MB)
e organico alla cosca del catanzarese Gallace-Ruga-Leotta. Per i
pm, “l’uomo si occupava della custodia delle armi e manteneva i contatti con i
familiari degli affiliati ristretti in carcere, garantendo loro anche
l’assistenza economica”.
Le cosche
Chindamo-Lamai e Ferrentino di Laureana di Borrello (RC) avevano invece
scelto l’Oltrepò pavese e il Vogherese “per aprire imprese edili
che permettessero di mascherare attività criminali, che comprendevano anche il
traffico di armi e di stupefacenti”. Il 17 ottobre le condanne per i 12
inquisiti hanno superato complessivamente i 100 anni di carcere.
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