sabato 6 luglio 2019

Legalità e mafia


         




  







             POTERE LEGALE  E  CONTRO-POTERE 



Appare di tutta evidenza che in questi ultimi tempi nel nostro Paese stiano assumendo vigore molte di quelle forze sane che sono rivolte ad affermare la legalità , la giustizia , e che , purtroppo , all’interno delle stesse Istituzioni dello Stato sono state e purtroppo  continuano ad essere  minacciate  e a volte assediate da un vero e proprio “ sistema “ di poteri, gestito da corruttori e corrotti , da complicità politiche  e collusioni  con gruppi  occulti , criminali e mafiosi .


Finalmente , emergono con  sempre maggiore frequenza e numero, prestigiosi interventi organizzativi e operativi da parte di molti magistrati e operatori delle Forze dell’ordine e della finanza , che hanno permesso e sono stati capaci di scoprire efficacemente importanti  fatti malavitosi , per attività illecite , molto diffuse lungo tutto il territorio nazionale e negli enti pubblici , rilevate nel campo degli appalti su opere pubbliche , nel traffico di stupefacenti , nel riciclaggio di denaro , nella evasione fiscale , ma anche  episodi di corruzione , esercitata proprio  all’interno e fra Organi istituzionali , politici e persino  giudiziari .


A questo punto  è augurabile che  TUTTI I CITTADINI  ITALIANI  onesti , sostengano sino in fondo  questa “ ondata di legalità “ , per evitare che essa  s’infranga , ancora un’altra  volta , contro gli scogli frapposti dal    “ contro-potere mafioso “  e che tale ondata , invece , riesca a sommergere definitivamente e a far sprofondare negli abissi quei malefici e famelici mostri , che hanno sino ad ora divorato e intendono ancora  divorare  le sane e produttive risorse del nostro Paese.


Allarme Dia: in Lombardia la ‘ndrangheta prospera, oltre 30 i clan attivi, mai così tanti. Ecco la mappa
8 ORE






Una parte della cartina delle famiglie di 'Ndrangheta presenti in Lombardia. Dalla Relazione di Attività secondo semestre 2018 della Dia

Trenta Locali (cioè cosche) di ‘ndrangheta sono attive oggi, ora, mentre scriviamo, in Lombardia. Lo certifica la Relazione sul secondo semestre 2018 di attività della Dia (Direzione Investigativa antimafia).
Era dal 1994 – cioè da prima dello spartiacque epocale che fu l’indagine “Crimine-Infinito, che a partire dal 2003 sancì ufficialmente la presenza della ‘ndrangheta nella principale regione del Nord Italia – che non si registrava un numero tanto elevato di famiglie in piena attività criminale.
A Milano, nella sua provincia e nel resto della Lombardia la ’ndrangheta ha consolidato il suo radicamento attraverso la stretta interconnessione tra le “locali” presenti e la “casa madre” del “Crimine” reggino. Se prendiamo una cartina politica (criminale) della regione più industrializzata d’Italia, troviamo:
  • le locali di Milano città (4), Bollate, Bresso, Cormano, Corsico, Pioltello, Rho, Solaro e Legnano;
  • quelle di Como città, Erba, Canzo-Asso, Mariano Comense, Appiano Gentile, Senna Comasco, Fino Mornasco e Cermenate;
  • Monza-Brianza città, Giussano, Desio, Seregno, Lentate sul Seveso e Limbiate;
  • Lecco e Calolziocorte;
  • Locale di Lumezzane (Brescia);
  • Locali di Pavia e Voghera
  • Locali di Varese e Lonate Pozzolo.
Si tratta di nuclei che agiscono in modo autonomo tra loro – ma non rispetto alle rispettive “case madri calabresi” –, coordinate a livello locale da un organo chiamato “La Lombardia”, retto dal capo della famiglia più autorevole (fino a poco fa, i Barbaro, originari di Platì (RC)).
Una ‘ndrangheta in piena salute, quindi, nonostante l’imponente attività di contrasto portata avanti dalla Dia da una parte e dalla DDA, Direzione Distrettuale Antimafia, dall’altra.
Tanto che “per la prima volta nella storia delle relazioni DIA compare la cartina della Lombardia”, sottolinea preoccupato il presidente della Commissione Antimafia del Comune di Milano, David Gentili, “È un salto culturale. Non sono indicate le famiglie (nella mappa, ndr), ma mai era comparsa, come invece è tradizione che siano presenti le cartine delle province Calabre, di Napoli, della Campania e dei mandamenti siciliani”.
Un dato per tutti spiega la situazione: la Lombardia è al quarto posto per numero di immobili confiscati (dopo Sicilia, Campania e Calabria) e al quinto per il numero di aziende confiscate (dopo Sicilia, Campania; Lazio e Calabria).
“Allo stato attuale, in Lombardia, sono in corso le procedure per la gestione di 1.796 immobili confiscati, mentre altri 1.141 risultano già destinati. Sono, altresì, in atto le procedure per la gestione di 269 aziende, a fronte delle 83 già definite”.
Tra questi troviamo alberghi, ristoranti, attività immobiliari, commercio all’ingrosso, attività manifatturiere ed edili, terreni agricoli, appartamenti, ville, fabbricati industriali, negozi (dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata). La classifica dei sequestri per provincia recita: Milano, Monza Brianza, Varese, Pavia, Brescia, Bergamo, Como, Cremona, Lecco, Mantova, Sondrio e Lodi.

Per gli investigatori, oggi, “la penetrazione del sistema imprenditoriale lombardo appare sempre più marcata da parte dei sodalizi calabresi, ma anche le mafie di estrazione siciliana e campana si mostrano in grado di esprimere la stessa minaccia”, mentre appare “meno significativa” la criminalità organizzata pugliese, “che si manifesta episodicamente, nella quasi totalità dei casi per reati connessi al traffico di sostanze stupefacenti e contro il patrimonio”.
L’attività investigativa ha dimostrato “una tendenza sempre maggiore di tentativi di infiltrazione nel settore degli appalti pubblici e nel rilascio delle autorizzazioni, licenze e concessioni pubbliche. In particolare, i settori commerciali con più provvedimenti prefettizi, nel semestre (2018), risultano quelli della ristorazione, giochi e scommesse, costruzioni, autotrasporto di merci, autodemolizioni, commercio auto”.
Bergamo è l’eccezione (in negativo)
Ma se questi dati confermano (ancora una volta) tendenze già in parte note, del tutto nuovo è il fenomeno – assai preoccupante – che ha caratterizzato le cosche bergamasche, la cui infiltrazione è stata tutt’altro che “silente”.
All’ombra di Città Alta, infatti, le nuove generazioni di ‘ndranghetisti “blasonati” “non sembrano manifestare la tipica propensione imprenditoriale e la capacità di “mimetizzarsi”, propria di altri gruppi calabresi stanziati in Lombardia”. Queste nuove leve, infatti, pur non disdegnando le attività illecite più “sofisticate” (riciclaggio e reimpiego di capitali), “sembrano privilegiare strategie “militari” di controllo del territorio che – per quanto meno evolute nel profilo economico-criminale – creano tuttavia un diffuso allarme sociale, proprio per la pratica della violenza e della intimidazione”. Insomma, i nipoti dei vecchi boss non tengono il profilo basso professato dai capi, ma uccidono, gambizzano, taglieggiano in pieno giorno. Davanti all’intera comunità, la quale non ha mai denunciato. Anzi.
Milano città, il reame dei Barbaro-Papalia
Nel semestre in esame, sono state numerose le operazioni portate a termine e gli arresti. Il che è un bene, se si considera l’attenzione delle istituzioni per il fenomeno, un male se la si guarda dalla parte della diffusione capillare del “mercato dell’illegalità” gestito dalle varie Locali.

La cattura del boss Rocco Barbaro a Platì (Rc) nel maggio del 2017. Foto dei Carabinieri
Tra le varie indagini, possiamo ricordare:
  • A luglio 2018 l’operazione “Red Carpet”, che ha portato in carcere 23 persone accusate di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, corruzione, trasferimento fraudolento di valori, ricettazione, riciclaggio, intercettazioni illegali e lesioni. Le indagini hanno riguardato due gruppi criminali interconnessi attivi nei quartieri della Comasina e Bruzzano. A gestire il traffico di droga, uomini del clan Flachi, attivo in Lombardia sin dagli anni ’90;
  • Ad ottobre, con l’operazione “Quadrato”, i Carabinieri hanno arrestato 14 soggetti per associazione finalizzata al traffico e allo spaccio di cocaina al Quadrato di Corsico. Un bar, riconducibile al clan Trimboli di Platì (RC), era uno dei tre esercizi pubblici in cui veniva gestito lo spaccio. Tra i promotori dell’associazione anche un appartenente di spicco del clan Barbaro, sempre di Platì (RC). Questa famiglia, che da decenni regna incontrastata a Corsico, è l’epicentro nella gestione ‘ndranghetista della regione. Il 10 ottobre 2018, il Tribunale di Milano ha condannato il 54enne Rocco Barbaro a 16 anni, riconoscendolo colpevole di associazione di tipo mafioso, nonché effettivo proprietario del bar Vecchia Milano di corso Europa, intestato fittiziamente ad un prestanome (condannato anche il nipote, Antonio Barbaro). Il processo ha indicato Rocco – figlio del patriarca “Cicciu u Castanu” – come il reggente de “la Lombardia”, nonché vero cervello del narcotraffico internazionale in Italia. Nell’autunno 2016, con rito abbreviato, era stato condannato a 8 anni anche il figlio di Rocco, Francesco.
  • Tra ottobre e novembre, gli ultimi arresti dell’operazione “Miracolo” – in carcere finiscono “39 soggetti dediti al traffico internazionale di stupefacenti” – sono importanti perché hanno dimostrato “l’estrema capacità dei gruppi di entrare in connessione tra loro per il raggiungimento di un obiettivo comune”. In una prima tranche erano stati arrestati gli affiliati al gruppo Cilione (cosca di Melito di Porto Salvo (RC)), che detenevano il monopolio dello spaccio nel quartiere di Bonola e a Robbio (PV), nonché gli affiliati al gruppo Cademartori-Ponzo, “contiguo ad alcuni sodalizi mafiosi etnei, in particolare ai clan Pillera-Puntina, Laudani, Cursoti (che si occupavano di organizzare l’importazione dello stupefacente), e del napoletano (Gionta)”. In una seconda tranche, vengono arrestati gli uomini legati ai gruppi Luongo di Manfredonia (FG) e, naturalmente, ai Barbaro, protagonisti dello spaccio di droga anche nel quartiere di San Siro.
Ma se a Milano città va male, in provincia è anche peggio: grazie all’operazione “Linfa” finiscono in manette 10 persone. Tra questi spicca il nome di G. M., 58 anni, originario di Rosarno (RC), che dalla sua residenza in Svizzera, ogni giorno raggiungeva Rodano (MI) e Casorate Primo (PV) per gestire le partite di stupefacenti per conto dei Bellocco e dei Pesce, clan della Piana di Gioia Tauro, nel Reggino. L’altro nome grosso è quello del 47enne Francesco Cicino, di Guardavalle (Cz), già braccio destro di Carmelo Novella, il boss reggente della ‘Ndrangheta in Lombardia, ucciso in un agguato a San Vittore Olona il 14 luglio 2008 perché “reo” di aver cercato di rendere le locali lombarde indipendenti dalla Calabria. Nel blitz vengono sequestrati anche 149 chili di marijuana, 6 chili di cocaina e 40mila euro in contanti. L’attività investigativa ha anche dimostrato come alcuni imprenditori lombardi si rivolgessero scientemente agli ‘ndranghetisti per riscuotere crediti vantati nei confronti di altri imprenditori.
A novembre, con l’operazione “Pineapple” è stata bloccata un’associazione criminale, composta per lo più da calabresi, attiva tra Milano, Busto Arsizio (VA) e territori limitrofi, specializzata nel traffico internazionale di cocaina, tra Repubblica Domenicana e Italia. Sette gli arresti totali.
Il summit dei 23 boss delle Locali della Lombardia riuniti nel circolo “Falcone e Borsellino” il 31 ottobre 2009.
Nel restante territorio regionale, invece, siamo messi anche peggio. “La posizione privilegiata nei rapporti commerciali con le province limitrofe e con la Svizzera, la provincia di Como ricade inevitabilmente nelle mire delle organizzazioni criminali e della ’ndrangheta in particolare, tanto da far registrare, nel tempo, la presenza delle locali di Como, Erba, Canzo-Asso, Mariano Comense, Appiano Gentile, Senna Comasco, Fino Mornasco e Cermenate”. Presso il Tribunale di Como sui è celebrato il processo di primo grado dell’inchiesta “Ignoto 23”, che ha portato alla condanna di Fortunato Calabrò.
Un processo importante, perché ha dato un volto al 23° partecipante – l’unico sfuggito per oltre 5 anni alla giustizia – al summit tenuto presso il centro anziani “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano, il 31 ottobre 2009 che scelse Pasquale Zappia come referente delle cosche al Nord Italia in sostituzione di Carmelo Novella.
Nello stesso procedimento erano “state indagate 13 persone, tra cui il nipote del boss della cosca africese Morabito, per associazione di tipo mafioso, estorsione in danno di alcuni esercizi commerciali, detenzione e porto abusivo di armi, lesioni aggravate e danneggiamento, con l’aggravante del metodo mafioso. Gli imputati sono ritenuti al vertice della locale di Limbiate (MB) ed in stretta correlazione con la locale di Mariano Comense (CO)”. Nel fascicolo erano entrati anche una serie di “eclatanti atti criminali, quali gambizzazioni, spari con armi da fuoco in pieno centro abitato e lanci di bottiglie incendiarie”, registrati a Cantù.
Le presenze della ‘ndrangheta sono riscontrate anche negli altri territori, come in provincia di Mantova, dove a un imprenditore edile originario della provincia di Crotone, ma da anni residente a Curtatone (MN) – già condannato per usura -, sono state confiscate quote di società immobiliari per oltre 5 milioni di euro a causa della sua contiguità con le cosche della Lombardia orientale.
A Monza, invece, il sequestro ha colpito società, immobili e conti correnti, per un valore complessivo di circa 2 milioni, di un imprenditore originario di Santa Caterina dello Jonio (CZ), ritenuto contiguo alla locale di Giussano (MB) e organico alla cosca del catanzarese Gallace-Ruga-Leotta.  Per i pm, “l’uomo si occupava della custodia delle armi e manteneva i contatti con i familiari degli affiliati ristretti in carcere, garantendo loro anche l’assistenza economica”.
Le cosche Chindamo-Lamai e Ferrentino di Laureana di Borrello (RC) avevano invece scelto l’Oltrepò pavese e il Vogherese “per aprire imprese edili che permettessero di mascherare attività criminali, che comprendevano anche il traffico di armi e di stupefacenti”. Il 17 ottobre le condanne per i 12 inquisiti hanno superato complessivamente i 100 anni di carcere.

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