martedì 18 luglio 2017

IN DANNO DEL POPOLO ITALIANO

         
                     IN  DANNO  DEL  POPOLO  ITALIANO  

Ecco ciò che è avvenuto realmente in campo finanziario e anche politico  per mano di poteri  europei  e internazionali , che hanno  costretto  l’economia italiana in una situazione  assai critica , sempre più difficile , con un debito pubblico elevatissimo , che terrà  per molti, moltissimi anni ancora , e forse definitivamente , l’economia reale del  nostro Paese in condizioni di sottosviluppo . Un sottosviluppo appesantito da fenomeni criminali  endemici , persistenti , di corruzione e mafiosi e da speculazioni finanziarie  ad alto livello.


Le  gravi conseguenze per l’Italia del Trattato di Dublino 

Il Trattato di Dublino parte dalla Convenzione firmata nella capitale irlandese il 15 giugno 1990, ovvero dal primo trattato internazionale multilaterale firmato dagli allora dodici membri della Comunità europea per darsi regole comuni sull’asilo. In vigore nel 1997, è stato sostituito nel 2003 dal regolamento «Dublino II» che l’ha portato nell’ambito delle competenze dell’Ue. Una terza revisione - «Dublino III» - è stata varata nel giugno 2013». 
«Il principio chiave è dettato dall’articolo 13. «Quando è accertato (...) che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale». In altre parole, secondo il suddetto Trattato la responsabilità dell’asilo è del Paese di primo sbarco.
«Il contesto mediterraneo, africano e mediorientale. In anni recenti la guerra in Siria, le dittature in Eritrea e nella parte centrale del continente nero, l’instabilità afghana e pachistana, le primavere arabe tradite, hanno gonfiato il flusso dei migranti che, sino a giorni non lontani, erano in prevalenze gente a caccia di un lavoro. La caduta del regime di Gheddafi ha aperto la porta libica. I popoli in fuga hanno cominciato ad arrivare in Italia e Grecia. Più recentemente, soprattutto per l’offensiva dell’Isis in Siria, si è affollata la via balcanica. Il dato è che allo stato delle cose milioni di persone , in numero sempre crescente fuggono dai propri territori , incentivate anche da gruppi organizzati che sfruttano illegalmente  il loro stato di necessità,  e fanno la fila , per cercare la pace  e condizioni di vita umanamente possibili verso i Paesi  dell’Unione Europea ». 
L’aggravarsi  della situazione internazionale  e quindi del fenomeno emigratorio ha determinato posizioni di irrigidimento e anche di chiusura da parte di Paesi europei riguardo all’accoglimento  degli emigranti , ponendo i Paesi come l’Italia e la Grecia in una condizione estremamente difficile e  drammatica , appunto per via della obbligatorietà stabilita dal Trattato di Dublino , che  dovrebbe pertanto  essere ridiscusso e modificato essendosi  aggravati in modo esponenziale i flussi immigratori e gli sbarchi  in tali  due Paesi .


                                   
                        LE  VERITA’  COPERTE   ovvero  “  CUI  PRODEST  ? “

Ci sono in Italia molte , troppe  “ verità  coperte “ da  interessi  oscuri , ma  palesemente  criminali , da sporchi  interessi  politici e  istituzionali ,  da  comportamenti  omertosi  o di complicità , da atteggiamenti  ipocriti e mistificatori.
 Verità che riguardano fatti drammatici e tragici della nostra storia recente  e anche della nostra quotidianità , sistematicamente seppellite  da cumuli di falsità e depistaggi , anche a livelli istituzionali.
Una pletora di inchieste giudiziarie e di processi penali  non sono riusciti a dipanare la coltre fitta che avvolge e nasconde i veri  mandanti  dei delitti più efferati , che hanno insanguinato  il suolo del nostro Paese  e ne hanno profondamente  offeso  la dignità ,  attraverso  l’estremo  sacrificio di tanti uomini  e donne ,  onesti   servitori  dello Stato, nonché  di  comuni  cittadini , vittime  di  menti  e di  mani  stragiste.
Dal delitto di Aldo Moro e degli uomini della sua scorta , alle stragi di Capaci e di via D’Amelio , con le morti atroci dei magistrati Giovanni  Falcone  e Paolo Borsellino , insieme alle persone  della loro scorta , che  li accompagnavano .  L’uccisione , una vera e propria esecuzione mafiosa, del Generale Dalla Chiesa e sua moglie , quella del giudice Livatino e  di Rocco Chinnici , come di tanti altri eroici servitori dello Stato.  
 Una sequenza  di  atti cruenti  , tutti  qualificabili come “terroristici “  per la loro efferatezza  e per  il disegno  sovversivo  , che li ha contraddistinti  .
 Il primo , concepito ed eseguito  per il sovvertimento dell’ordine  democratico  e gli altri due ,  come segno tangibile della sopraffazione e superiorità  del  potere mafioso  nei confronti  della  legalità  e  della giustizia..
Uno  scenario  tragico , quello  della uccisione di Aldo Moro   che ,  ritenuto  con finalità “destabilizzanti “ , parrebbe  essere  stato  paradossalmente inutile , visto che a seguito  della  uccisione  dell’uomo politico statista  , non vi è stato alcun sovvertimento  del  Sistema  politico-istituzionale ,   ma  che  in  effetti  invece  è venuto   a rivelarsi  essere stato  il  risultato di  un  disegno  volto  alla   “ stabilizzazione “   del  Sistema  stesso .
 Così  come   le  tragiche uccisioni  dei  due magistrati , Falcone e Borsellino , e  degli operatori della giustizia , che  avrebbero  dovuto  scatenare  reazioni  imponenti  da  parte  degli  Organi  dello Stato  , con  risultati  di  una  messa  in  ginocchio  definitiva del  sistema mafioso  e criminale , ma che  invece  hanno  visto  e  vedono  una  continuità  del  potere  del sistema  mafioso  stesso , resosi  più  forte  attraverso trasformazioni  “camaleontiche “  e  complicità nell’ambito  delle stesse  istituzioni  pubbliche  e  dello Stato.
Cosa  rimane  ?  Deprecazione e incredulità popolare  di fronte a tanta  ipocrisia , a livello politico-istituzionale , manifestata ogni volta  con  false  cerimonie ufficiali di commemorazione , che continuano ad offendere  il  diritto ad  una  Verità , anzi  a  più  Verità ,  a  tutt’oggi  dolosamente  occultate , e  ancora non  volute rivelare  da  qualcuno  che continua  a stare oppure ha avuto  incarichi  ad alti  livelli  istituzionali   e  ne  ha  conoscenza  e ne ha segretamente  anche le prove  documentali .





Scritto da Enza Galluccio
Categoria: prima pagina
Pubblicato: 22 Luglio 2017
Visite: 2900
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Di Enza Galluccio*
“Paolo Borsellino è stato in grado di unire la saggezza all’umiltà” con queste parole prese da Antonino Caponnetto, l’ex magistrato e Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, Ferdinando Imposimato, ha aperto il suo acceso intervento alla commemorazione per il 25esimo anniversario della strage di via D'Amelio, che ha lasciato impietrito il pubblico, soprattutto chi conosce meglio i fatti e continua a ricercare le risposte ancora mancanti.
Imposimato conobbe Falcone e Borsellino fin dal 1980, perché come loro si era interessato a Michele Sindona, il banchiere che si occupava di trasferire soldi illeciti in porti sicuri, anche per conto della Chiesa, tanto da essere definito “il banchiere di Dio”.
In quegli anni, a Roma, Imposimato indagava su Sindona perché aveva organizzato un falso sequestro per apparire vittima delle Brigate Rosse, mentre Falcone e Borsellino, a Palermo, lo indagavano per altri delitti di stampo mafioso. Dall’intrecciarsi di queste indagini era nata l’idea di costituire un “super pool”, che aveva permesso a molti magistrati che si occupavano di mafia di incontrarsi ogni mese in diverse città d’Italia, per coordinare e rendere più efficace l’azione della magistratura contro la criminalità organizzata. La capacità d’indagine, quindi, si era moltiplicata grazie allo scambio d’informazioni e d’idee. Per Imposimato, tutto ciò aveva creato una grande preoccupazione da parte dei politici.
 Tuttavia, Scalfaro “che prendeva cento milioni al mese dai servizi segreti” e “aveva promesso di fare la legge sui pentiti, che poi non ha fatto” si era dovuto comunque confrontare con l’esplosione del pentitismo che ormai dilagava. Tommaso Buscetta aveva cominciato a parlare, denunciando accordi tra mafiosi, imprenditori e politici; anche questo era fonte di grande preoccupazione, soprattutto per quella politica coinvolta nel malaffare.
E così … sono cominciati i primi delitti, a partire da Boris Giuliano, ucciso per le sue indagini su Sindona, il primo di una lunga serie.
A questo punto dell’intervento è scattata l’inevitabile domanda “Chi ha voluto la morte di Falcone e Borsellino?” Per il Presidente onorario la risposta c’è già ed è nei documenti.
I due magistrati avevano indirizzato le proprie indagini su un’organizzazione sovversiva mondiale pericolosissima. “Io non sono pazzo!” ha esclamato Imposimato, specificando che quell’organizzazione si chiamava Gladio, Stay-behind.
Queste informazioni sarebbero state anche dentro i diari di Falcone. In quelle pagine, fin dal 1990, si legge che Falcone aveva capito che Gladio era implicata negli omicidi di Piersanti Mattarella e di Pio La Torre.
Secondo quanto appreso da Caponnetto, il Giudice ne aveva parlato con il procuratore Giammanco per convincerlo a seguire questa pista, sulla base della richiesta degli avvocati di parte civile, ma non aveva ottenuto risultati. Anche Caponnetto aveva ricevuto quelle richieste da Falcone e Borsellino, ma non era voluto intervenire perché Gladio era una struttura “potentissima” e, secondo Imposimato, ha le responsabilità di quasi tutti gli omicidi politico-mafiosi italiani.
Nell’intervento del 25 giugno in memoria di Falcone, Paolo Borsellino aveva detto di aver saputo, dall’amico e magistrato appena ucciso, delle cose che avrebbe riferito soltanto nelle sedi opportune. A quel tempo, il procuratore di Caltanissetta, con l’incarico di indagare sulla strage di Capaci, era Salvatore Celesti.
In quell’occasione, Borsellino aveva anche detto un’altra cosa importante, che il contenuto del diario di Falcone, da poco reso pubblico, corrispondeva alla verità .
Con quelle parole il Giudice non si riferiva alle indagini sugli appalti come, secondo Imposimato, si vorrebbe far credere, ma piuttosto a quelle sull’organizzazione eversiva Gladio, dichiarata illegittima anche dalla Commissione Stragi.
Tale organizzazione era guidata dalla Cia, che controllava anche i Servizi italiani e si era servita di questi, oltre che della mafia e dei terroristi, per compiere tutte le stragi italiane da Portella della Ginestra in poi. Per Imposimato, come ha riportato anche in un suo libro, queste stragi fanno parte di una “strategia della tensione” a livello mondiale.
Vi erano e vi sono, dunque, collegamenti tra la Cia, la massoneria e una parte del Vaticano per “condizionare lo sviluppo della democrazia in Italia”.
Il presidente Imposimato ha specificato di aver potuto ricostruite la storia della loggia massonica grazie ad un documento del 1967, che fa parte della requisitoria del pm Alessandrini.
Quando Borsellino disse che il contenuto del diario di Falcone, pubblicato allora da Liliana Milella su “Il Sole 24 ore”, era vero, creò le cause per la sua “immediata” uccisione, ne accelerò i tempi.
“Questo non significa che la mafia non c’entra”, ha continuato Imposimato, precisando che tutti i nomi indicati da Spatuzza sono realmente coinvolti nella strage di via D’Amelio, così come lo sono i servizi segreti al servizio della Cia “definita in questo documento (come) un mostro incontrollabile”. Essa disponeva di 500 milioni di dollari all’anno e con questi “corrompeva chiunque; corrompeva uomini politici, e corrompeva i sindacati, e corrompeva la maggioranza e l’opposizione”.
Secondo quest’analisi, la Cia ha controllato il nostro Paese attraverso una penetrazione capillare, disponendo di  una propria base nella Gladio, situata in Sardegna.
Vito Ciancimino era un gladiatore e in quest’organizzazione era coinvolto anche Totò Riina.
Secondo uno studio fatto da una tesista, di cui Imposimato era relatore, Riina sarebbe stato un uomo della Cia. Quest’aspetto era stato confermato anche dalle parole di Badalamenti.
Poi, il Presidente onorario ha dichiarato, alzando il tono della voce, “Moro è stato vittima di un complotto politico infame della Gladio” e ha proseguito “purtroppo erano implicati anche qui i servizi che sapevano dov’era la prigione e non hanno liberato Aldo Moro, è una vergogna!”.
“Finché ci sono uomini come Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia, noi abbiamo la possibilità di andare avanti seguendo la strada giusta”, ha detto ancora Imposimato, aggiungendo un’ulteriore drammatica informazione: in via Sicilia a Roma c’erano gli uffici della Gladio, della Cia, della OSS e, addirittura della P2, uno accanto all’altro. Enti che si sarebbero dovuti combattere tra loro mentre, invece, erano complementari e avevano l’unico scopo di condizionare il nostro Paese eliminando gli emblemi della legalità come Borsellino e Falcone.
 Tinebra, Celesti e tutti gli altri “erano dei mascalzoni”, per Imposimato è necessario avere il coraggio di denunciare il Csm quando sbaglia e affida le nomine a magistrati subalterni al potere politico; negli uffici devono esserci dei “magistrati che hanno fatto i magistrati, non persone che sono state al ministero”.
Questo lungo e sconvolgente intervento del presidente Imposimato si chiude con parole di speranza, sostegno ed esempio per i giovani.

 Via D’Amelio applaude, ma molti volti sono segnati, e non solo dalla stanchezza.
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CIA, BILDERBERG, BR, BRITANNIA ...E RENZI : ECCO A VOI LA VERA STORIA ITALIANA
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Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi, l'Italia.



A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani. 
E’ la drammatica ricostruzione di Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato. All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, finche potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco. Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni daBankitalia, dalla Fondazione Agnelli (facenti anche loro parte del gruppo Bilderberg) e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa». 
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhotcehZgOc5aww-srAN4sfkUdvHyhjntzrcf9kfZ3DRdMTdWi3CgcNmkBqNrgRfCWY_-WuSdtei_bd7WvsMBmqQA8Zj18guD7VmHlRbdFECc0KZ79F8SQonwBTU4J_pm61yGbUp5RSJFQv/s1600/05.jpgQuesta, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”. E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma leBr di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima» (Kissinger è anche l'assassino di Salvador Allende). 
Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze. 
Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale». 
Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione» (il piano lo stà ultimando Renzi con il suo Job Acts). Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».
Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici». E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi.Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la BancaCommerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano. 
Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie peculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni. Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga». 
Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano». 
Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio
di bilancio. 
Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico Il popolo greco. 

Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti. «Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa». 
Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista. L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas. 
Prima, però, bisogna mandare a casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia. Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine». 



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