venerdì 18 ottobre 2019

Vergogna ! Scandali , truffe , tangenti



  VERGOGNA  !  Scandali , truffe , tangenti

 
UNA  SOCIETA’ SANA  E  UNA  POLITICA  GIUSTA  PRODUCONO  RICCHEZZA ,  PROGRESSO  SOCIALE  E  BENESSERE  PER  TUTTI  I  CITTADINI .
UNA  SOCIETA’  CORROTTA  E  UNA  POLITICA  INGIUSTA  PRODUCONO  INIQUITA’ ,  INVOLUZIONE  SOCIALE  E  MALESSERE  PER  I  CITTADINI .


 Illegalità , corruzione , criminalità organizzata ,  politici  e  funzionari  disonesti , sprechi di pubblico denaro e di risorse pubbliche .
                     VERGOGNA   !!   ORA  BASTA , VOGLIAMO  ONESTA' , ONESTA' , ONESTA'  E  LEGALITA' , GIUSTIZIA  !

MILIARDI   RUBATI  AI  CITTADINI  ITALIANI ,  AI  POVERI  ,  AI  DISOCCUPATI  ,  AI  VERI  INVALIDI  , A  TUTTE  LE  PERSONE  ONESTE  , RISPETTOSE  DELLE LEGGI DELLO STATO ,  AL  FUTURO  DEI  GIOVANI 


              LA  CORRUZIONE  IN  ITALIA

È online sul sito dell’ANAC il rapporto “La corruzione in Italia 2016-2019”, resoconto basato sui provvedimenti emessi dall’Autorità giudiziaria nell’ultimo triennio. Il dossier permette di tracciare una panoramica del fenomeno nella Pubblica Amministrazione, evidenziando anche i fattori che agevolano la diffusione degli illeciti e gli ambiti più colpiti.

Stando ai dati, la corruzione rappresenta un fenomeno radicato e persistente che merita ancora molta attenzione: fra agosto 2016 e agosto 2019 sono state 117 le ordinanze di custodia cautelare per corruzione correlate al settore degli appalti, che mostra una certa prevalenza di dinamiche corruttive. In pratica, nel triennio preso in esame sono stati eseguiti arresti ogni 10 giorni circa, una cadenza allarmante. I casi di corruzione emersi analizzando i provvedimenti della magistratura sono 152, in pratica uno a settimana.

Dal punto di vista regionale, a non essere interessate da misure cautelari legate a casi di corruzione sono state solo Friuli-Venezia Giulia e Molise. Al contrario, in Sicilia nel triennio sono stati registrati 28 episodi di corruzione, quasi quanti se ne sono verificati in tutte le regioni del Nord (complessivamente 29). La classifica delle regioni meno virtuose vede al secondo posto il Lazio (con 22 casi), seguita dalla Campania (20), dalla Puglia (16) e dalla Calabria (14). Qui di seguito la mappa completa:

Il settore più a rischio, come accennato, è rappresentato dai lavori pubblici, tanto che i 61 episodi di corruzione del triennio corrispondono al 40% del totale. Segue il comparto legato al ciclo dei rifiuti con 33 casi e quello della sanità con 19 casi.
I soggetti più corruttibili risultano i dirigenti, seguiti dai dipendenti. La contropartita principale è il denaro, seguito dalle assunzioni.




ONESTA’ , LEGALITA’ , GIUSTIZIA
 In  Italia , il  buon  esempio  dovrebbe  venire  dall’alto ,  ma  così  non  è  ;  anzi  viene  dimostrato  il  contrario ; il rispetto dei  valori di onestà , legalità e di giustizia , dovrebbe essere  provato nei fatti , ma così non è ,  da  coloro  che  ricoprono cariche politico-istituzionali , che  sono responsabili  della  gestione  politica, economica e sociale del Paese  e  dai  quali  discendono  le  decisioni  legislative più  idonee ed efficaci per contrastare e combattere il fenomeno  della criminalità , specialmente quella organizzata , la corruzione  e  la  evasione  in campo fiscale . 
Mali , questi , ormai talmente  diffusi , anche  in  posizioni  apicali  e  nel  territorio , nei  più  diversi  comportamenti  relazionali  sia  in campo  politico che in  campo socio-economico , che  hanno  colpito  e  continuano  a  ferire in  misura  assai  grave  e  allarmante ,  spesso e  progressivamente  in  modo letale, le  residue  attività  di   una  economia  sana  e  produttiva  di  questo  nostro Paese , peraltro  già  in  difficoltà  a   causa  di  fattori  critici di natura globale. 
Della  gravità di  tutto  ciò  dovrebbero  prendere  coscienza  tutti  i  cittadini  italiani , pretendendo ,  in  maniera  forte e plateale , di  poter  usare  urgentemente , in  modo  pieno e  libero , i  propri  diritti  costituzionali  in  ordine  alle  legittime  scelte  politiche , necessarie  e  indispensabili  onde  evitare  in tempo   conseguenze  drammatiche  e  irrimediabili  , sul  futuro  e  per  la stabilità  del  sistema  democratico,  sul mantenimento dei  diritti  fondamentali  di  libertà e di sicurezza  e di giustizia sociale.


Funzionari pubblici, Guardia di Finanza: “In sei mesi bruciati tre miliardi tra sprechi, ruberie e corruzione”
Il report pubblicato sul Corriere e su Il Giornale fotografa le voragini provocate dai dipendenti "infedeli" e dai mancati controlli. Soltanto nella sanità 800 milioni di buco
di Rino Cole | 21 settembre 2015
Sono politici, medici, impiegati e funzionari. Sono 4.835 dipendenti pubblici che in soli sei mesi hanno alleggerito (sperperando o rubando) le casse dello Stato di tre miliardi di euro. E adesso sono stati chiamati dalla Corte dei conti per restituire i soldi della collettività. E’ quanto emerge dal rapporto della Guardia di Finanza sui danni erariali contestati tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2015, pubblicato dal Corriere della Sera e da Il Giornale dove balza agli occhi un dato: le casse pubbliche hanno perso oltre un miliardo solo con la mala gestione del patrimonio immobiliare. Il quotidiano di via Solferino scrive che sono 1.290 le segnalazioni inviate dalla magistratura ordinaria o dalle Fiamme gialle ai giudici contabili. Un aumento di contestazioni – che vale un miliardo e 357 milioni di euro – pari al 13 per cento in più rispetto ai primi sei mesi del 2014, che dimostra sia una crescita dei comportamenti scorretti dei dipendenti “infedeli” (nella maggior parte dei casi accusati di corruzione, concussione, truffa, turbativa d’asta), sia dei controlli degli 007 della Finanza.
Guadagni che si trasformano in perdite
Un intero capitolo del dossier riguarda i mancati guadagni sugli immobili da cui lo Stato non solo non ricava un euro, ma addirittura ci rimette soldi. Come sulle case popolari, che spesso e volentieri si trasformano in merce per scambi elettorali. Emblematico il caso di Roma, dove vengono affittate a 7 euro al mese, ricorda il Corriere. In provincia di Bolzano, invece, un Comune ha perso 350mila euro per la mancata riscossione dell’affitto per l’occupazione di suolo pubblico.
Sanità, una voragine da 800 milioni
Anche la sanità pubblica si conferma una voragine. Qui, tra macchinari comprati e mai utilizzati, appalti truccati e medici che scappano dal lavoro per andare a operare in strutture private, il danno accertato è di 800 milioni, mentre 2.325 persone sono state arrestate o denunciate dalla Finanza e 264 pratiche sono state aperte. Le indagini svolte in 18 regioni hanno smascherato 83 dirigenti della sanità infedeli che hanno danneggiato le casse pubbliche con un buco da 6 milioni. All’ospedale di Gallarate, Varese –
come raccontato da ilfattoquotidiano nei mesi scorsi – l’appalto per i lavori della manutenzione sarebbero stati aumentati causando “ltre 2,5 milioni di danno erariale”. La spesa è balzata da 15 milioni e mezzo di euro a 36 milioni. Soldi che secondo l’accusa sono serviti ai manager dell’azienda sanitaria per aggiudicarsi una generosa “cresta”. A Cosenza – scrive Il Giornale – a Cosenza 700mila euro sono svaniti tra nomine e consulenze esterne. L’Asl di Napoli ha letteralmente regalato 32 milioni di euro perché per anni i fornitori sono stati pagati due volte per gli stessi servizi.
Mancati controlli: va in pensione, viene riassunto e intasca 700 mila euro
Nel report grande risalto ai mancati controlli. A Catanzaro il dipendente di un ente ha intascato stipendio e pensione per sette anni, insieme. Pochi giorni dopo il congedo “ha presentato domanda di riammissione in servizio presso la sua azienda confidando che le esigenze di organico gli avrebbero consentito di tornare immediatamente al proprio posto, cosa che è effettivamente accaduta”. Nessuno tra i dirigenti ha però ha segnalato la nuova assunzione all’Inps e l’impiegato ha potuto così incassare illecitamente 700 mila euro. In Sicilia, invece, sono stati bruciati 47 milioni di euro tra il 2006 e il 2011 per corsi di formazione finanziati con soldi pubblici che però non si sono mai tenuti.
A Bari manager Ferrovie comprano, vendono e ricomprano carrozze
Da Bari arriva il gioco di prestigio dei manager delle Ferrovie Sudest. Prima hanno speso 912mila euro per comprare 25 carrozze passeggeri. Poi le hanno rivendute a una società polacca “incaricata di eseguire interventi di ristrutturazione per 7 milioni di euro”. Salvo poi riacquistarle a 22milioni e mezzo di euro. La Corte dei conti calcola che il danno provocato alla società ferroviaria è di oltre 11 milioni di euro pubblici.

Latina: aste truccate, arrestati giudice e moglie, indagata la suocera


Ed ecco
l'articolo del Corriere della Sera che riportava la vicenda del giudice Lollo nel dicembre scorso:

"Un sistema di corruzione consolidato all'interno del tribunale fallimentare di Latina: è quanto scoperto dalle procure della Repubblica di Perugia e Latina, dopo mesi di indagini, anche di carattere patrimoniale, che hanno portato all'arresto - tra carcere e domiciliari - di otto persone: tra loro un giudice del tribunale e a moglie. Le ordinanze sono state eseguite dalla squadra mobile pontina guidata da Tommaso Niglio.

Carcere per il giudice della fallimentare Antonio Lollo, per il consulente del tribunale Vittorio Genco, per i commercialisti Marco Viola e Massimo G. (quest'ultimo non ancora raggiunto formalmente dalla polizia). Ai domiciliari la cancelliera Rita Sacchetti, l'imprenditore calabrese Luca Granato, un maresciallo della guardia di Finanza e la moglie di Lollo, Antonia Lusena. Indagata per riciclaggio, e in odore di arresto, anche la suocera del giudice.


Spiega la questura di Latina:«I reati contestati vanno dalla corruzione, alla corruzione in atti giudiziari, alla concussione, all'induzione indebita a dare o promettere denaro od altra utilità, alla turbativa d'asta, al falso ed alla rivelazione di segreto nonché all'accesso abusivo ad un sistema informatico e telematico aggravato dalla circostanza di rivestire la qualità di pubblico ufficiale. Le indagini - spiega la nota - coordinate dalle autorità giudiziarie del capoluogo pontino ed umbro, erano state avviate in seguito ad una denuncia presentata presso la procura della Repubblica di Latina, in cui si prospettavano fatti di bancarotta nell'ambito di un concordato preventivo. Ben presto lo sviluppo dell'attività investigativa, delegata alla squadra Mobile di Latina, ha portato alla luce un consolidato sistema corruttivo, grazie al quale i consulenti nominati dal giudice nelle singole procedure concorsuali, abitualmente corrispondevano a quest'ultimo una percentuale dei compensi a loro liquidati dal giudice stesso».
"



                           MAXI  TRUFFE  ALL’ I N P S    


Nelle notizie
La Stampa‎ - 2 giorni fa


www.strettoweb.com/2015/09/reggio-truffa-allinps...in.../325996/
25 set 2015 - Una meticolosa attività info-investigativa dei Finanzieri reggini a tutela della spesa pubblica ha portato alla luce una truffa ai danni dell'INPS.
www.strill.it/.../castrovillari-cs-operazione-easy-allowancetruffa-allinps-p...
3 giorni fa - L'importo complessivo della truffa ai danni dell'INPS è stato quantificato in circa € 4.700.000,00, ed è stato determinato dalla illegittima ...
www.gazzettadelsud.it/ricerca.jsp?q=truffa%20inps
Cinque persone sono state arrestate ed altre sei sono state sottoposte all'obbligo di firma in una operazione della Guardia di finanza di Sibari per una truffa ...
www.ilquotidianoweb.it/news/cosenza/.../Maxi-truffa-all-Inps-e-all.html
3 giorni fa - Questo il bilancio dell'operazione "Easy allowance" messa a segno dalla Guardia di finanza di Sibari per una truffa all'Inps e all'Inail scaturita ...
tv.ilfattoquotidiano.it › ilFattoTV › Giustizia & impunità
17 lug 2015 - Palermo, maxi truffa all'Inps. Falsi invalidi: “Non voglio lavorare, lo Stato mi deve campare”. Bastava rivolgersi a loro per ottenere, dietro ...
www.tgcom24.mediaset.it/.../crotone-truffa-all-inps-denunciati-22-falsi-b...
20 lug 2015 - Crotone, truffa all'Inps: denunciati 22 falsi braccianti e un imprenditore - Operazione della guardia di finanza: i coinvolti hanno ottenuto ...




                            TANGENTI  A.N.A.S.
www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/CRONACA/anas.../1635231.shtml
22 ott 2015 - Anas, tangenti per appalti a Roma: arrestati dirigenti e l'ex ... Truffa al'Anas, l'uffcio della "dama nera" la base logistica della. ... Blitz all'Anas.
www.ilquotidianoweb.it/news/cronache/.../Tangenti-all-Anas--la-.html
3 giorni fa - Maxi truffa all'Inps e all'Inail nel Cosentino Cinque arresti, c'è un ex dipendente dell'ente ... Tangenti all'Anas, la "Dama nera" rifiuta
www.ilquotidianoweb.it/news/.../Lamezia-Terme--truffa-all-Unione.html
08 lug 2015 - Tangenti all'Anas, libero l'avvocato catanzarese ... Lamezia Terme, truffa all'Unione Europea Tra gli indagati anche un funzionario della ...
www.repubblica.it/online/cronaca/anas/anasdue/anasdue.html
12 feb 2003 - Appalti truccati all'Anas arrestate trentuno persone. Le accuse: turbativa d'asta aggravata, corruzione e truffa. Simulavano frane sulle strade ...
www.cn24tv.it/.../terremoto-all-anas-in-manette-dirigenti-funzionari-e-u...
22 ott 2015 - Un'altra truffa all'Inps: denunciata una coop e 99 braccianti “fantasma” ... Terremoto all'Anas: in manette dirigenti, funzionari e un ex ...

         SCANDALO  SUI    BENI  CONFISCATI  ALLA  MAFIA
www.si24.it/2015/10/08/inchiesta-sui-beni...alla-mafia-di.../132976/
08 ott 2015 - Sei in: Cronaca > Inchiesta sui beni confiscati alla mafia | Di Vitale: “Il Csm intervenga senza indugi” ... trasferimento d'ufficio 5 giudici palermo csm ... Csm in seguito allo scandalo sulla gestione dei beni confiscati alla mafia.
www.affaritaliani.it/.../scandalo-beni-confiscati-pino-maniaci-382485.ht...
10 set 2015 - Beni confiscati alla mafia, Pino Maniaci: "Si vada fino in fondo" - A ... A Palermo indagata Silvana Saguto, presidente della sezione che ... Ad eseguirli e' stata la Guardia di Finanza, su ordine della Procura di Caltanissetta.

                           MAFIA  CAPITALE   - TRUFFE  COOPERATIVE  -

www.ilfattoquotidiano.it › Giustizia & Impunità
09 giu 2015 - Gli stipendi del Pd di Roma pagati coi soldi di Mafia Capitale. E i rapporti tutti da chiarire tra Mafia Capitale e il Pd alla Regione Lazio, il cui ...
www.repubblica.it/.../gli_affari_della_coop_di_mafia_capitale_appalti_sui_...
26 set 2015 - Gli affari della coop di Mafia capitale: appalti sui migranti anche dopo l' ... a un anno e sei mesi in primo grado per lo scandalo mense a Bari.
www.repubblica.it/.../roma_ex_coop_dell_inchiesta_mafia_capitale_vince_...
03 ott 2015 - Roma, coop dell'inchiesta Mafia capitale vince l'appalto per i servizi dell ... Quando scoppiò lo scandalo di Mafia capitale, il Cns espulse Buzzi ...

                SCANDALO  SU  OSPEDALE  ISRAELITICO  DI  ROMA
www.unionesarda.it › Cronaca
21 ott 2015 - 21/10/2015 - L'Unione Sarda.it: Cronaca - Scandalo all'Ospedale Israelitico di ... Ciclismo, Di Rocco a Cagliari: "La Sardegna è in crescita" ..... di un'indagine che ipotizza i reati di falso e truffa in danno della sanità pubblica.

              TRUFFA  ALL’OSPEDALE  SAN  RAFFAELE  DI  MILANO
milano.repubblica.it/.../milano_truffa_da_28_milioni_all_ospedale_san_raf...
L'ospedale: "Interventi a regola d'arte". di EMILIO RANDACIO. 16 giugno 2015. Milano, truffa da 28 milioni: nove indagati tra primari e dirigenti del San Raffaele ...

               SCANDALI  IN  SARDEGNA
lanuovasardegna.gelocal.it/.../scandalo-igea-indagati-politici-e-sindacalist...
21 dic 2014 - Scandalo Igea, indagati politici e sindacalisti ... turbata libertà degli incanti, truffa e voto di scambio, reati collegati alla società in house della ...
lanuovasardegna.gelocal.it/.../scandalo-igea-inchiesta-bis-altri-venti-inda...
12 feb 2015 - Il nuovo filone è stato aperto dagli agenti del Corpo forestale che indagavano ... e a indagare 66 persone per peculato, truffa e turbativa d'asta.
www.itenovas.com/...sardegna/1344-banda-larga-internet-truffa-sardegn...
25 mar 2015 - Nuovo scandalo in Sardegna, stavolta per una truffa legata agli appalti sulla banda larga per internet con quattro persone indagate nell'isola e ...
www.itenovas.com/...sardegna/1387-appalti-pubblici-pilotati-arresti-sard...
28 apr 2015 - IteNovas | In Sardegna stamattina 24 arresti per appalti pubblici pilotati, coinvolti ... Giornalismo: Odg sardo contro i corsi truffa ... Scoppia lo scandalo nei comuni Sardi, finora coinvolti 13 centri nel nuorese e nel cagliaritano, ...
www.lastampa.it › Cronache
28 apr 2015 - Nell'indagine sono coinvolti anche due vice e altre 17 persone tra ... Sardegna, sgominata la cupola degli appalti: in manette sindaci e tecnici comunali ... Tangenti e voto di scambio, scandalo all'Anas: arrestati dirigenti e l'ex ...

      TRUFFE   SU  GRANDI  OPERE   :   Mose  ,  Expo  ,  Tav .
www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=58834...Mose...truffe...
04 giu 2014 - Mose, Expo, Tav: grandi opere, truffe giganti. Preoccupa il sistem



Corruzione, Mose Expo e Mafia Capitale: il 2014 anno dei grandi scandali

Giustizia & Impunità
Il "classico" di grandi opere e imprenditori a Venezia, il ritorno di Tangentopoli a Milano e la "quinta mafia" a Roma. Mentre l'Italia diventa primatista in tutta Europa, sorpassando anche Grecia e Bulgaria nella classifica di Transparency
di F. Q. | 30 dicembre 2014
La mazzette non finiscono mai. E i “tangentari” di destra e di sinistra ritornano e, in alcuni casi, diventano “mafiosi”. Il 2014 è stato un anno contraddistinto da tre grandi scandali: Mose (Venezia), Expo (Milano) e Mafia Capitale (Roma). Ed è stato anche l’anno in cui l’Italia ha raggiunto il triste primato per il reato di corruzione in Europa, sorpassando anche Grecia e Bulgaria, secondo la speciale classifica di Transparency. L’inchiesta veneziana è un classico delle bustarelle made in Italy: grande opera e imprenditori che foraggiano la politica per ottenere appalti. Quella milanese ha riportato in carcere, anche se per poco tempo, alcuni personaggi storici della Tangentopoli anni ’90 come il compagno G., Primo Greganti, o l’ex Dc, Gianstefano Frigerio. L’indagine romana invece ha rivelato l’esistenza a Roma di quella che potrebbe essere considerata la quinta mafia d’Italia.
Italia prima nella classifica della corruzione di Transparency davanti a Grecia e Bulgaria
A giugno è deflagrato il caso Mose: 35 arresti, tra cui il sindaco Pd Giorgio Orsoni, e la richiesta del carcere per l’ex ministro Fi Giancarlo Galan. A sei mesi dalle misure cautelari e gli avvisi di garanzia i pm di Venezia stanno per chiudere l’indagine e nel registro degli indagati sono finiti anche i deputati democratici Mognato e Zoggia. All’ex primo cittadino, che è stato sentito nei giorni scorsi in Procura, il gup ha respinto il patteggiamento mentre per l’ex governatore del Veneto il gip ha disposto gli arresti domiciliari. Quello che sarà sull’indagine sugli appalti del sistema di dighe anti-acqua alta e sul finanziamento illecito ai partiti si vedrà nei prossimi mesi.
Invece la prima parte dello scandalo Expo, esplosa a maggio, si è già chiusa con patteggiamenti e poco carcere per i principali imputati. Il gup Milano ha accolto, tra le altre, le richieste dell’ex segretario della Dc milanese all’epoca di Tangentopoli Gianstefano Frigerio, dell’ex cassiere di Pci e Pds Primo Greganti e dell’ex senatore Fi Luigi Grillo. Pena massima, 3 anni e 4 mesi. E così sei dei sette imputati, già liberi o ai domiciliari, potranno accedere in tempi brevi alle misure alternative. E la grande politica è rimasta fuori dal registro degli indagati. Almeno per ora. Altre inchieste sono aperte. Da registrare, in una fase così delicata, l’esautorazione del coordinamento del dipartimento per i reati contro la pubblica amministrazione dell’aggiunto Alfredo Robledo da parte del procuratore capo Edmondo Bruti Liberati
In fase di chiusura l’indagine Mose, patteggiamenti e poco carcere per corrotti e corruttori dell’inchiesta Expo
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C’è poi Mafia Capitale, l’inchiesta sul “mondo di mezzo”, che ha svelato l’esistenza di un’organizzazione, considerata mafiosa dagli inquirenti di Roma, capace di intimidire, corrompere politici di ogni schieramento e metter le mani sugli appalti del Campidoglio e della Regione Lazio. Un’indagine, quella coordinata dal ex procuratore capo di Palermo e Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, che ha portato a tre tranche di arresti e all’iscrizione nel registro degli indagati per 416bis anche l’ex sindaco della Capitale, Gianni Alemanno. Un gruppo, quello guidato da Massimo Carminati ex banda della Magliana ex terrorista Nar ora al 41bis per ordine del ministro della Giustizia, capace di infiltrarsi e fare business nella gestione dei centri accoglienza per immigrati e dei campi nomadi, di manipolare le nomine e indirizzare le scelte politiche dell’amministrazione, finanziare cene e campagne elettorali, affiliare imprenditori e usare la forza. Tanto da far scrivere al New York Times che non “c’è angolo di Itali immune dalla criminalità”.
A chiudere l’anno l’inchiesta su Mafia Capitale, capace di corrompere politici di destra e di sinistra, inquinare appalti e affiliare imprenditori
Il clamore per le inchieste ha spinto il governo di Matteo Renzi ad aprire prima una discussione in estate e poi ad approvare qualche giorno fa nuove norme contro la corruzione. Ma i provvedimenti sono stati criticati con forza dall’Associazione nazionale magistrati e anche dal procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti. Era stata chiesta, anche da Pignatone e dal presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, l’estensione degli strumenti che si utilizzano per combattere la mafia ai reati dei colletti bianchi come i “premi” per i pentiti. Richiesta allo stato rimasta inascoltata. E così Mose, Expo, Mafia Capitale, probabilmente, non resteranno un unicum nel paese che non si lascerà mai alle spalle Mani pulite. Sia per gli appalti e le gare per l’Esposizione universale (ci anche altre indagini ancora parte), sia per l’inchiesta dei pm Roma gli accertamenti non sono ancora terminati e la sensazione che il 2015 potrebbe essere un anno ancora da record in negativo per il nostro paese.


La Repubblica della corruzione, 20 anni di scandali dopo Mani Pulite
di Redazione IBTimes Italia 05.06.2014 16:32 CEST

Abolizione del finanziamento pubblico, bloccato in Senato Reuters
Ogni anno questo paese 'ricorda' l'arresto di Mario Chiesa, che nel febbraio 1992 diede il via alla valanga Tangentopoli che pensionerà la Prima Repubblica. Da allora sotto i ponti sono passate decine di leggi salva-questo e salva-quello, ma soprattutto una quantità infinita di scandali. Dimostrazione che se la storia è maestra, in Italia non si impara mai niente.
IL MEDIATORE. Il fondatore del principale partito politico della Seconda Repubblica, Marcello Dell'Utri, è considerato da una sentenza passata in giudicato il mediatore del patto di protezione stretto negli anni Settanta tra i vertici di Cosa nostra e quello che diventerà 'l'anima' di questo ventenni, Silvio Berlusconi. Il quattro volte presidente del consiglio, evasore fiscale, imputato per corruzione con l'accusa di aver comprato senatori a suon di milioni di euro, condannato in primo grado per concussione e prostituzione minorile. 
FURBETTI E 'GNORRI'. I vertici dei DS D'Alema e Fassino finiscono intercettati mentre parlano con uno dei 'furbetti del quartierino', quel Giovanni Consorte protagonista della scalata BNL sostenuta senza se e senza ma dal centrosinistra. "Abbiamo una banca" diventerà uno slogan-boomerang, che riemergerà prepotente nel caso Monte dei Paschi di Siena scoppiato un anno fa. E che dire del 'sistema Sesto' messo su da Filippo Penati, uno che faceva il capo della segreteria politica di Pierluigi Bersani, salvato dalla prescrizione e dalla Ex-Cirielli, legge ad personas e ammazza-processi che il centrosinistra si è sempre guardato bene dal cancellare? Lo stesso centrosinistra che oggi scarica il sindaco di Venezia arrestato per lo scandalo MOSE, ma non si accorge che 24 ore prima il sempreverde Fassino, nel frattempo diventato sindaco di Torino, metteva la mano sul fuoco sulla sua onestà. Come non si è accorto di aver dato la tessera a Primo Greganti, tre volte pregiudicato durante Mani Pulite, ma di nuovo in prima fila sull'affare Expo.
CARICHE DELLO STATO. In vent'anni abbiamo avuto ministri come Claudio Scajola, oggi in galera per aver favorito la latitanza di un ex deputato colluso con la 'ndrangheta. Sottosegretario all'Economia è stato Nicola Cosentino, al suo secondo soggiorno in cella, stavolta per estorsione, dopo l'accusa di concorso esterno in associazione camorristica. Abbiamo avuto l'onore di annoverare tra i ministri Cesare Previti, due volte condannato per corruzione in atti giudiziari. O Umberto Bossi, leader di una Lega entrata in Parlamento al grido di Roma ladrona e che ne stava quasi uscendo un anno fa dopo lo scandalo Belsito. Nicola Mancino, oggi imputato per falsa testimonianza nel processo sulla trattativa stato-mafia, noto per aver estromesso dai propri ricordi l'incontro con un tal Paolo Borsellino, è stato presidente del Senato. Come Renato Schifani, da tempo indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, oggi fa la stampella di Renzi assieme al NCD di cui è presidente. 
LE REGIONI. Giancarlo Galan ha governato il Veneto per quindici anni e su di lui pende una richiesta di arresto per lo scandalo MOSE. Roberto Formigoni ha guidato la Lombardia per 17 anni e oggi è imputato per corruzione nell'inchiesta sulla sanità lombarda. Giuseppe Scopelliti, già sindaco del primo Comune capoluogo che sarà sciolto per mafia due anni dopo il suo addio, condannato in primo grado a sei anni per averne falsificato i bilanci, è stato subito ricandidato alle Europee. Raffaele Fitto, recordman di preferenze lo scorso 25 maggio, quattro anni in primo grado per corruzione, avendo ricevuto un finanziamento illecito da mezzo milione di euro in cambio di appalti quando era governatore della Puglia. Ottaviano Del Turco, 9 anni in primo grado per corruzione, concussione e associazione a delinquere nell'ambito dell'inchiesta sulla sanità privata in Abruzzo. In Sicilia i predecessori di Crocetta sono rispettivamente in galera per favoreggiamento a Cosa nostra (Cuffaro)  e condannato in primo grado per concorso esterno (Lombardo). Senza dimenticare le mutande verdi di Cota pagate dai contribuenti, come milioni e milioni di euro dello scandalo spese pazze che travolge i consigli regionali dello Stivale. O il caso Durnwalder (Trentino), lo scandalo che ha travolto la Polverini (Lazio), il coinvolgimento di Cappellacci (Sardegna) nell'inchiesta P3. E ci scusiamo per tutti quelli che non abbiamo citato.
GRANDI OPERE. Expo e MOSE sono gli ultimi tasselli di un puzzle della paura. Sistemi, potentati, associazioni a delinquere quasi sempre bipartisan, chiamati a ingollare pezzi sempre più grandi di torte milionarie. Ed ecco le risate preventive al telefono, mentre l'Aquila non ha ancora smesso di tremare, di chi si immagina gli affari sulla ricostruzione. Oppure Guido Bertolaso, in quei giorni descritto come se fosse il Messia,  e il 'sistema gelatinoso' sugli appalti del G8 alla Maddalena. I grandi affari sulla sanità, settore in cui spendiamo meno degli altri paesi europei ma una fetta finisce nelle tasche di privati corruttori o pubblici corrotti. O il TAV di Firenze per cui è finita agli arresti l'ex governatrice dell'Umbria Lorenzetti. O il business dell'eolico, che ha visto tornare in scena vecchi personaggi della Prima Repubblica come Flavio Carboni. Fortuna che hanno stoppato il Ponte sullo Stretto. 
AZIENDE DI STATO. A partire dallo scandalo che travolse Lorenzo Necci, allora numero uno delle Ferrovie dello Stato, per arrivare a Mauro Moretti, oggi imputato di disastro colposo, uno "spiacevole episodio" (parole sue) che a Viareggio si portò via 33 persone. Oggi Moretti guida Finmeccanica, uno spaccato della Seconda Repubblica per le mille inchieste che la vedono protagonista (commesse indiane, brasiliane, sistema di tracciabilità dei rifiuti, etc) e che ha 'perso per scandalo' due degli ultime tre AD: prima Guarguaglini, poi Orsi. ENI è stata guidata per quasi un decennio da un reo confesso di Mani Pulite, quel Paolo Scaroni (oggi indagato per corruzione in merito ad una commessa Saipem, controllata Eni, in Algeria) sostituito da Emma Marcegaglia, la cui azienda di famiglia aveva utilizzato tra il '94 e il 2004, negli acquisti di materie prime, "società off-shore, creando fondi neri su 17 conti esteri, intestati a Steno Marcegaglia e ai figli Antonio ed Emma. La parte che riguarda l'evasione fiscale viene archiviata perché quei capitali sono stati condonati e scudati" (Report).
Vent'anni fa Tangentopoli ci presentò il conto: una manovra lacrime e sangue del governo Amato, con tanto di prelievo forzoso sui conti correnti. Oggi stiamo a 'pettinare le bambole', come direbbe qualcuno, su una riforma della Costituzione che non era nell'agenda di nessun partito fino a 15 mesi fa e ora viene spacciata per una questione di vita o di morte. Sul fronte corruzione (per non parlare di evasione fiscale e mafia, tre tumori che si alimentano a vicenda) solo chiacchiere. In attesa che arrivi il conto. Quello definitivo.



Messina , 15  gennaio  2015
Scandalo formazione, richiesta di arresto
per il deputato Pd Francantonio Genovese
Ordine di custodia cautelare in carcere per l'onorevole democratico di Messina accusato di aver sottratto sei milioni alla formazione professionale. Come avevamo scritto sull'Espresso, Genovese coltiva in Sicilia i suoi interessi economici: decine di società, con bilanci milionari
di Lirio Abbate



In questa legislatura la prima richiesta di arresto arriva per un deputato del Pd. Lui è l'onorevole Francantonio Genovese, di Messina, per il quale la procura ha chiesto ed ottenuto dal gip l'arresto che adesso è stata trasmessa alla Camera per l'autorizzazione a procedere.

Il provvedimento del Giudice ipotizza il reato di associazione per delinquere, riciclaggio, peculato e truffa, e se la Camera accoglie la richiesta ne dispone gli arresti in carcere. L'atto è stato già notificato da Guardia di finanza e da agenti della squadra mobile della Questura di Messina alla presidenza della Camera.

L'inchiesta punta sulle erogazioni pubbliche destinate al finanziamento di progetti formativi tenuti da numerosi centri di formazione professionale che erano di fatto riconducibili a Genovese e alla sua famiglia. Oltre ai già noti Lumen, Aram, Ancol sono finiti sotto inchiesta anche gli enti Enfap, Enaip, Ial, Training service L&C Learning e consulting, Cesam, Ecap, Esofop, Apindustria e Reti.

Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto, Sebastiano Ardita, e dai sostituti, Camillo Falvo, Liliana Todaro, Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti, avrebbero permesso di accertare che i soggetti indagati, attraverso gli Enti di formazione e società appositamente create, grazie a prezzi gonfiati per l'acquisto di beni e servizi o, addirittura, a prestazioni totalmente simulate, sottraevano a loro vantaggio i fondi assegnati per lo svolgimento dei corsi di formazione. La gran parte degli indagati sono risultati tra loro legati da vincoli di parentela e di assoluta fiducia.

Nelle scorse settimane l'Espresso aveva pubblicato una propria inchiesta giornalistica su Genovese da cui era emerso che tutti i mesi si mette in tasca lo stipendio da deputato. E, mentre a Roma siede in Parlamento, in Sicilia coltiva interessi economici. Una rete di decine di società, con bilanci milionari, che operano in tutti i campi: immobiliare, trasporti, servizi, telecomunicazioni e formazione professionale in Sicilia. È un politico potente Francantonio Genovese, esponente del Pd, ex sindaco di Messina, con un passato nella Democrazia cristiana e poi nella Margherita di Francesco Rutelli. È stato segretario regionale del Pd, appoggiato allora dall’ex ministro delle Comunicazioni Salvatore Cardinale.





SCANDALO  TANGENTI  ALLA   R.T.I. 
 Palermo , 29 ottobre 2015    
Il libro mastro delle tangenti dell’operazione Black list, che ha fatto scattare gli arresti domiciliari  il dirigente di Rete Ferroviaria italiana e presidente dell'Azienda siciliana trasporti  Dario Lo Bosco.
Secondo l'accusa, ha ricevuto tangenti "per evitare intoppi" in lavori da 26 milioni.
  Ordinanza di custodia cautelare  ha portato ai domiciliari anche Salvatore Marranca e Giuseppe Quattrocchi, funzionari del corpo forestale accusati di avere intascato tangenti per un maxi appalto sulla nuova linea di radiocomunicazioni della forestale.
L’ imprenditore  di  Agrigento  Massimo Campione  consegnava la tangente  a Dario Lo Bosco  per il tramite del Quattrocchi e Marranca, con i quali il Lo Bosco intratteneva rapporti. Al numero uno di Rfi, Campione avrebbe elargito mazzette per 58.650 euro, nell’ambito del progetto relativo al cosiddetto gancio ferroviario, un’apparecchiatura tecnologica a distanza.



Mafia, camorra, ‘ndrangheta: la mappa dei clan regione per regione (FOTO)


Pubblicato il 18 agosto 2014 08:51 | Ultimo aggiornamento: 18 agosto 2014 08:51 di Redazione Blitz
 ROMA – Mafia, ‘ndrangheta, camorra: la nuova mappa dei clan. L’ultima relazione semestrale della Dia, organo investigativo del Ministero dell’Interno, indica i loro nomi e le loro zone di influenza.
La Dia fa sapere che nel secondo semestre 2013 alcune collaborazioni tra famiglie, anche di diversi mandamenti, hanno smussato qualche contrasto e vecchio rancore. Mentre la necessità di proiettarsi fuori regione ha indotto l’intera organizzazione a concorrere con altri gruppi criminali di ‘ndrangheta, camorra o Sacra Corona Unita per trovare appoggi.
Il traffico di droga si conferma business in crescita, anche in considerazione dei maggiori rischi legati all’attività estorsiva, sempre molto praticata in provincia ma non più agevole, considerata la maggiore propensione degli imprenditori a denunciare le vessazioni subite.
Di seguito la mappa dei principali gruppi criminali che operano in Campania, Calabria e Sicilia.





11 nov 2015
                  ARRESTI  A  “ MESSINAMBIENTE “

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LA CONFERENZA STAMPA DI QUESTA MATTINA IN PROCURA – FOTO EDG
Stamane la Sezione di Polizia Giudiziaria-Aliquota Polizia di Stato della Procura di Messina, unitamente a personale del locale Nucleo Investigativo del Comando Provinciale CC di Messina, ha dato esecuzione ad una misura cautelare con cui il Gip presso il Tribunale di Messina Giovanni De Marco, su richiesta del Procuratore Agg. Sebastiano Ardita e del Sost. Proc D.ssa Stefania La Rosa, ha disposto gli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico nei confronti di 5 persone, tra Dirigenti di Messinambiente ed Imprenditori.
Il provvedimento scaturisce da una complessa e articolata indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Messina, avviata nel 2013 dalla quale è emersa la sistematica violazione della normativa prevista dal codice degli appalti per quel che concerne l’acquisizione di servizi e forniture da parte di enti e società pubbliche.
I Nomi degli arrestati: Armando Di Maria, liquidatore della società Messinambiente, gli imprenditori Marcello De Vincenzo, titolare della società MEDITERRANEA A. S.r.l. e Francesco Gentiluomo, titolare della società GENTILUOMO S.r.l., il broker assicurativo e titolare della società BCM INSURANCE BROKER S.r.l. con sede in Barcellona, Antonino Buttino e il funzionario amministrativo-contabile della società Messinambiente Nino Inferrera.
Ad entrare nel dettaglio il Procuratore Capo Dr Guido Lo Forte, che all’inizio della conferenza stampa ha dichiarato che a dare l’input alle indagini sono state le denunce del Sindaco Renato Accorinti.
ANTONINO INFERRERA – FOTO E. DI GIACOMO
Avrebbero intascato tangenti per oltre centomila euro i funzionari di Messina Ambiente, la società’ che gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti nella città’ dello Stretto. Agli arresti domiciliari, in una indagine condotta dal nucleo investigativo dei carabinieri del comando provinciale e dalla sezione di polizia giudiziaria presso la Procura, sono finite cinque persone tra dirigenti della società’ e imprenditori. Il provvedimento, emesso dal gip su richiesta del procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, riguarda l’amministratore unico di Messina Ambiente, Armando Di Maria e il funzionario contabile della società’ Antonino Inferrera, la vera mente della combine che avrebbe favorito imprenditori amici nell’affidamento di servizi.
L’affare più cospicuo quello dell’associazione dei mezzi di MessinaAmbiente affidata senza alcuna gara a evidenza pubblica.
Dal 2011 al 2014 il broker assicurativo Antonino Buttino, anche lui ai domiciliari, avrebbe ricevuto da Messina Ambiente più di 350 mila euro per individuare l’associazione più idonea per gli autocompattatori, versando una tangente di oltre 50.000 euro. Ai domiciliari anche i titolari di altre due aziende, Francesco Gentiluomo e Marcello De Vincenzo, che avrebbero ugualmente pagato mazzette per ottenere, senza gara, i servizi di riparazione dei mezzi di Messina Ambiente.
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Sanità lombarda, tangenti e spettro della 'ndrangheta
Dalle carte rispunta Pezzano, ex Asl, coinvolto nell'inchiesta antimafia Infinito. Poi archiviato. Era il collaboratore di Canegrati, la lady degli appalti dentistici.
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17 Febbraio 2016
Pietro Gino Pezzano, detto dottor Dobermann, ex direttore dell'Asl di Milano 1.Pietro Gino Pezzano, detto dottor Dobermann, ex direttore dell'Asl di Milano 1.
Da una parte il Dobermann, dall'altra Mandrake, in mezzo il ricco business dell'odontoiatria pubblica in Regione Lombardia, tra appalti pilotati, tangenti e un servizio pubblico scadente, a detta degli stessi indagati nelle intercettazioni.
Sembra un fumetto della Marvel, è in realtà l'inchiesta Smile della procura di Monza che ha portato in carcere oltre al
padre della riforma sanitaria lombarda Fabio Rizzi, uomo di fiducia del governatore Roberto Maroni, anche Maria Paola Canegrati detta Paoletta, titolare di una miriade di aziende con appalti negli ospedali da Milano a Brescia fino a Desio e Bergamo.
DOBERMANN E MANDRAKE. Il dottor Dobermann è Pietro Gino Pezzano da Palizzi.
Paoletta è invece Mandrake, come si definisce in un'intercettazione contenuta nell'ordinanza di custodia cautelare.
I due, a quanto pare, facevano coppia anche in privato.
Lui non è indagato, ma compare spesso nelle carte degli investigatori.
Lei invece è in carcere con l'accusa di associazione a delinquere, turbativa d'asta e riciclaggio.
AFFARI DA 400 MILIONI DI EURO. In questi anni insieme hanno portato avanti un giro d'affari da 400 milioni di euro, prima sotto la Giunta di Roberto Formigoni, dopo sotto quella di Roberto Maroni, questa volta usando un cavallo nuovo come quello di Rizzi o come Mario Longo, responsabile odontoiatria del Carroccio.
Scrive il gip di Monza: «Insieme a lui la Canegrati gestiva tutte le attività connesse con la gestione dei centri odontoiatrici e tutti i rapporti con le pubbliche amministrazioni conferenti gli appalti».
L'inchiesta antimafia Infinito del 2010 e il modello Formigoni
Il governatore della Regione Lombardia Roberto Maroni e il suo predecessore Roberto Formigoni.(© Imagoeconomica) Il governatore della Regione Lombardia Roberto Maroni e il suo predecessore Roberto Formigoni.
Lo chiamavano appunto «dottor Dobermann» Pezzano.
E lui nel mondo della sanità lombarda non ha mai smesso di ringhiare evidentemente, anche dopo le dimissioni dalla direzione dell’Asl più importante della regione, quella di Milano 1.
Nato in provincia di Reggio Calabria, ha fatto carriera in quel ''modello Lombardia'' tanto caro a Formigoni.
L'OMBRA DELLE 'NDRINE. Prima le esperienze da medico a Desio, poi la guida dell’Asl di Monza da commissario, fino alla contestatissima nomina e successiva riconferma all’Asl 1 di Milano nel 2011, nel mezzo di una stagione che ha sancito il definitivo interesse della ‘ndrangheta per la sanità lombarda.
Nel luglio 2010 l’operazione antimafia Infinito scivolata sull’asse Milano-Reggio Calabria aveva colpito un altro re di denari del sistema sanità, Carlo Antonio Chiriaco, calabrese anche lui, allora direttore sanitario dell’Asl di Pavia.
LA DDA INDAGÒ PEZZANO PER DUE ANNI. Nella stessa inchiesta il tributarista Pino Neri, accusato e poi condannato a 18 anni per associazione mafiosa, intercettato parlava più di una volta di Pezzano.
«È uno potente, fa favori a tutti».
Che Neri millanti o meno non è dato sapere: la Direzione distrettuale antimafia (Dda) ha indagato Pezzano per due anni e a dicembre del 2011, a pochi mesi dalla riconferma dell’incarico all’Asl milanese, la sua posizione è stata archiviata.
Fatto sta che, cristallizzato nella sentenza d’Appello del tribunale di Milano, si legge a chiare lettere che Pezzano risulta essere uno dei soggetti con cui «intrattenevano rapporti» gli uomini della locale di ‘ndrangheta di Desio.
Quegli incontri con uomini delle cosche contestati a Pezzano
Il palazzo della Regione Lombardia.(© Ansa) Il palazzo della Regione Lombardia.
In mezzo, tra le indagini e l’archiviazione, ci sono le foto con i boss di Desio e un incontro con Paolo Martino, ritenuto da anni il referente delle cosche reggine al Nord.
«LA MOGLIE STAVA MALE». Sul boss rispondeva che «la moglie stava male, mi hanno chiesto una mano», mentre sul secondo, «il nome non mi dice niente, non mi ricordo di questo appuntamento. Se è stato rilevato dai carabinieri, ci sarà stato».
Fatto sta che nel corso dei processi la pm di Milano Alessandra Dolci non è mai stata tenera con la figura di Pezzano, in particolare per l’episodio della moglie che stava male.
APPUNTAMENTO AL BAR. L’incontro che avenne tra lo stesso Pezzano e il boss Candeloro Polimeni non fu a casa dove stava male la moglie, ma in un bar della città.
«Suppongo», disse il pm, «che quando si chiama un medico perché qualcuno sta male il medico vada a casa, non vada a parlare al bar».
I giudici di primo grado rincararono la dose nella sentenza: «L’incontro non è certamente determinato da problemi di salute della moglie di Polimeni».
LA DIFESA E LE DIMISSIONI. Per contro l’ex direttore si è sempre difeso: «Sono un cittadino che mi dicono di essere stato indagato. Non ne ho mai saputo niente. Prendo atto di quello che è stato riferito sul mio conto. Ma se ci fosse stato qualche comportamento non legale avrei dovuto rispondere delle mie azioni».
Dopo una mozione di sfiducia del Consiglio Regionale nei suoi confronti decise di lasciare l’incarico.
«Mi dimetto», dichiarò, «per salvaguardare la mia professione, chi lavora con me e la mia famiglia. Preferisco togliere dall’imbarazzo il Pirellone, anche se contro di me si è mossa la macchina del fango».
Dottor Dobermann era il tramite della Zarina Canegrati
L'imprenditrice Maria Paola Canegrati, al centro del sistema di tangenti insieme a Fabio Rizzi.L'imprenditrice Maria Paola Canegrati, al centro del sistema di tangenti insieme a Fabio Rizzi.
Ma Pezzano a quanto pare continuava a operare indisturbato sulla sanità lombarda.
Era il tramite, secondo le accuse, proprio della Canegrati che poi si confrontava con Rizzi e Longo per gli appalti pubblici della regione.
La Zarina, vertice del sistema di corruzione tra una miriade di società private e alcune scatole cinesi, è chiamata a rispondere delle accuse ai magistrati giovedì 18 febbraio 2016 a San Vittore.
RAPPORTI CONFIDENZIALI. Le indagini, si legge negli atti, «hanno permesso di accertare come sussistano rapporti altamente confidenziali tra Longo e Canegrati, risalenti quantomeno al 2012, anno di costituzione della Sytcenter s.r.l. (...) della quale risulta amministratore (oltre a essere socio occulto) unitamente a Canegrati».
IL MATERIALE SCADENTE. L'uomo dello staff di Rizzi, il responsabile odontoiatria per conto di Euopolis, partecipata della Regione, secondo i magistrati di Monza risulta «essere in grado di pilotare gli appalti in favore di Canegrati da cui, in cambio, riceve lauti compensi sotto svariate forme».
Paoletta Mandrake non accettava critiche. «Non si lamenta nessuno dei miei... anche perché se no li prendo a sberle», disse parlando con Giuseppe ('Nuccio') Nachiero, consigliere di amministrazione di una delle sue società che gli faceva presente le lamentele di alcuni dipendenti rispetto all'uso di materiali «diversi e più scadenti» da lei proposti rispetto a quelli utilizzati solitamente al Policlinico di Milano dove il sistema Canegrati aveva esteso i tentacoli.
ORDINI IN CAMBIO DI ASSUNZIONI. Giorgio Alessandri, medico della clinica odontoiatrica dell'ospedale di via Francesco Sforza e anche lui tra gli arrestati del 16 febbraio, avrebbe favorito una delle società dell'imprenditrice per forniture di materiale per ortodonzia e di protesi, pur scadente, «effettuando consistenti ordini».
In cambio avrebbe ottenuto denaro e l'assunzione della propria compagna in una delle strutture della Canegrati.
La piovra era ovunque.



CASERTA      13 settembre 2016
    Venti arresti “eccellenti” a Caserta. Con l’accusa di corruzione e di appalti truccati nella gestione dei rifiuti, la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha disposto sette arresti domiciliari e tredici in carcere. Fra gli arrestati c’è il presidente della provincia di Caserta Angelo Di Costanzo, di Forza Italia.
Di Costanzo è anche sindaco di Alvignano, Comune dove sono stati arrestati anche un assessore e il comandante della polizia municipale. Custodia cautelare anche per Vincenzo Cappello, sindaco di Piedimonte Matese, del Pd, per Pietro Cappella, presidente del consorzio di bonifica Sannio-Alifana, e per l’ex sindaco di Casagiove.
Gli arresti colpiscono in particolare la zona del Matese e, oltre ai politici, si concentrano su imprenditori e funzionari.
Ad eseguire le misure sono la Guardia di finanza di Caserta, coordinata dal generale Giuseppe Verrocchi e i carabinieri diretti dal colonnello Giancarlo Scafuri. L’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere, guidata dal procuratore capo Maria Antonietta Troncone, durava da oltre un anno e aveva nel mirino presunte dazioni di danaro “e una serie di altre utilità” in cambio di assegnazioni di lavori nel settore dello smaltimento dei rifiuti. In particolare, la Procura sottolinea in una nota di aver portato alla luce “un vero e proprio sistema criminale finalizzato all’assegnazione illecita di appalti milionari in diversi Comuni del casertano“.
Sempre secondo l’accusa, gli arrestati avrebbero ottenuto l’assunzione di amici e parenti, oltre a buoni benzina, auto di lusso e altri regali: ad elargire favori e assunzioni sarebbe stato il Gruppo Termotetti, una ditta della zona che si occupa dello smaltimento dei rifiuti, che in cambio avrebbe così ottenuto l’assegnazione degli appalti.



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Grandi Opere, nella maxi-retata arrestati anche il progettista e il manager del ponte sullo Stretto

Lobby
Proprio un mese fa, nel giorno in cui Matteo Renzi rilanciava il progetto, Michele Longo ed Ettore Pagani erano al suo fianco. Da ieri sono agli arresti nell'ambito dell'inchiesta che ha portato in manette anche il figlio dell'ex ragioniere dello Stato Monorchio e in cui è finito indagato Lunardi jr. Il premier minimizza: "Processo sia rapido. Stiamo parlando di arresti legati a vicende del passato"
di Paolo Fior e Ferruccio Sansa | 27 ottobre 2016
Commenti (416)19 mila
A un mese esatto dal roboante annuncio del rilancio del progetto del Ponte sullo Stretto, la maxi-retata di mercoledì 26 ottobre ha tolto dalla circolazione alcuni di quelli che erano gli uomini chiave del progetto e che erano proprio di fianco al premier Matteo Renzi a Milano nel giorno dell’annuncio. Si tratta del presidente e del vice-presidente del Consorzio Cociv, Michele Longo ed Ettore Pagani. Due uomini espressione del gruppo Salini-Impregilo. Il primo, Longo, ne è una delle figure apicali essendo general manager domestic operation e avendo quindi la responsabilità non solo delle opere del cosiddetto Terzo Valico, ma anche di tutte le altre operazioni italiane che coinvolgono il gruppo. Di più, è l’uomo del Ponte, colui con il quale lo Stato deve parlare se l’argomento è la maxi opera tra Sicilia e Calabria. E Pagani è il suo braccio destro, nonché “responsabile del progetto Ponte sullo Stretto” per conto di Impregilo, come recita il suo curriculum.
Le misure di custodia cautelare sono scattate nell’ambito di un’operazione sulle Grandi Opere, dove – secondo i magistrati – non c’è solo la solita gigantesca corruttela, ma anche e soprattutto la sistematica violazione delle normative di sicurezza, con lavori non fatti a regola e uso di materiali scadenti (“il cemento sembrava colla”, intercettano gli inquirenti). Opere costosissime, spesso inutili e soprattutto pericolose. Opere su cui il governo Renzi si è esposto molto. L’annuncio del rilancio del progetto del Ponte il premier lo ha fatto il 27 settembre intervenendo alla festa per i 110 anni del gruppo Salini-Impregilo che si è svolta alla Triennale di Milano. Accanto a lui, l’amministratore delegato del gruppo, Pietro Salini (più volte citato nelle intercettazioni dell’inchiesta), l’ambasciatore degli Stati Uniti e molti top manager, tra cui, come detto, gli stessi Longo e Pagani. “Non accetteremo che si possano spendere 6-7 miliardi per la Torino Lione, 1,2 per la Variante di Valico e poi se facciamo un’infrastruttura al Sud non si può perché rubano. O siamo italiani sempre o siamo italiani mai”, ha detto Renzi giusto qualche giorno fa. Ora che gli uomini del Ponte sono finiti nei guai lui minimizza: “Mi auguro un processo equo e rapido. Il punto centrale è che non sono le regole che fanno l’uomo ladro. E in ogni caso stiamo parlando di arresti legati a vicende del passato”.
Se le storie sono antiche, gli uomini però sono sempre gli stessi. Ma chi sono veramente Longo e Pagani e chi è il “terzo uomo”, Pier Paolo Marcheselli, di cui si parla tanto in queste ore? Riguardo a Longo e Pagani le carte dei pm riportano soprattutto due contestazioni: “Longo e Pagani decidevano di affidare l’appalto a “Grandi Lavori Fincosit spa” nonostante tale società avesse previsto nell’ambito delle spese generali un costo per la sicurezza aziendale interna senz’altro incongruo (93mila euro, un ottavo dei concorrenti, ndr)”. C’è poi la gara per realizzare la viabilità per smaltire il materiale di scavo: “Longo, Pagani e Giulio Frulloni (quest’ultimo remunerato dall’imprenditore Marciano Ricci mediante l’offerta di serate con “escort”) prima dell’indizione della gara promettevano allo stesso Ricci l’affidamento dell’appalto… e fornivano loro informazioni sul progetto che sarebbe andato in gara”.
Ci sono molti fili che legano le grandi opere italiane. Parti dal Terzo Valico e arrivi molto lontano. Al Ponte, ma non solo. La grande opera tra Milano e Genova ha già collezionato molti record. Giudiziari, prima che ingegneristici. Per non parlare dei costi: “Eravamo partiti da 3.200 miliardi di lire per 127 chilometri e siamo arrivati a 6,2 miliardi di euro per 54 chilometri”, racconta Stefano Lenzi, responsabile delle Relazioni Istituzionali del Wwf. Le rogne cominciano negli anni ‘90 quando il pm genovese Francesco Pinto indaga sui tunnel pilota. Si parlava di una truffa da 100 miliardi di lire. Gli indagati – Luigi Grillo, Ercole Incalza, Marcellino Gavio e Bruno Binasco – ne uscirono puliti: furono tra i primi a beneficiare della ex Cirielli sulla prescrizione. La storia del Terzo Valico era cominciata nel 1991. Poi le inchieste, il silenzio. Se ne riparla con il ritorno di Silvio Berlusconi nel 2001. E già allora si ritrovano nomi di oggi. Nel marzo 2005 Andrea Monorchio aveva terminato il mandato di Ragioniere Generale dello Stato e trovato altre prestigiose poltrone. Tra le altre quelle di presidente di Infrastrutture Spa e della Consap (Concessionaria dei Servizi Assicurativi Pubblici). Disse allora Monorchio Senior: “La delibera Cipe ha individuato la cifra necessaria per realizzare il Terzo Valico, 4,7 miliardi di euro, noi siamo pronti a finanziare l’opera”.
A questo punto ecco che entra in scena Giandomenico Monorchio, citato nell’inchiesta fiorentina del 2015 su Ercole Incalza (archiviato). Di Monorchio jr. (arrestato ieri nella nuova inchiesta) parla nelle intercettazioni l’imprenditore Giulio Burchi: sostiene che si “…stanno negoziando le ultime direzioni lavori… il Cociv… il Milano-Genova ce l’aveva il figlio di… nella spartizione fantastica di queste direzioni lavori commissionate dai general contractor… che sono una delle vergogne grandi di questo Paese”. Spiegano i magistrati: “Si ricorda che, di recente, il Consorzio Cociv ha affidato a Giandomenico Monorchio la direzione dei lavori per il Terzo Valico”. Ma dalle carte dell’inchiesta romana di oggi, sul Terzo Valico, potrebbero emergere altri dettagli sul ruolo di Monorchio jr. Il retroscena del Terzo Valico non viene solo dalle inchieste. Dietro il Terzo Valico c’è anche l’abbraccio tra banche e governi. Perché era Intesa (attraverso Biis, Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo) che si occupava del project financing privato. Ai vertici di Biis c’era chi parlava di un finanziamento che doveva costare 374 milioni l’anno. Mentre le Ferrovie prevedevano un ricavo da 40 milioni. Ma ecco che con Monti i banchieri vanno al Governo: Corrado Passera, ex numero uno di Intesa, finisce allo Sviluppo Economico e alle Infrastrutture. Viceministro è Mario Ciaccia, il numero uno di Biis che finanziava l’opera. Il progetto riparte. E in un attimo la spesa si riversa sulle spalle pubbliche. E ci sarebbero anche da contare le previsioni del traffico merci: si era detto di 5 milioni di container l’anno. Siamo a 1,8 e la linea attuale ne regge 3. C’è poi chi, come il Wwf, ricorda che i costi (115 milioni a chilometro) sono superiori dell’800% a quelli affrontati in Spagna.  Chi sottolinea che dopo 53 chilometri la nuova linea finirebbe nel nulla.
Ma c’è chi continua a crederci. Di sicuro la ‘ndrangheta, come ha rivelato l’inchiesta Alchemia: “Dalle intercettazioni – raccontò il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho – rileviamo l’interesse di imprenditori prestanome delle cosche a sostenere finanziariamente il movimento Sì Tav per creare nell’opinione pubblica un orientamento favorevole all’opera”.
C’è poi ò’ultimo tassello: la nomina del presidente del Porto di Genova. Perché il Terzo Valico servirebbe proprio allo scalo ligure. Ormai è questione di ore: il nuovo presidente sarà Paolo Emilio Signorini, già delfino di Ercole Incalza. Il suo nome è stato proposto da Giovanni Toti. L’opposizione, soprattutto di centrosinistra, tace. Si cerca un accordo sulla figura del Segretario dell’Autorità Portuale. Altra poltrona cardine per il Porto (e il destino del Terzo Valico). Si profila un’intesa con il Pd.



Mose, il tesoro delle tangenti di Galan alla base di un sequestro da 12 milioni. 6 indagati e lista di imprenditori off-shore

Denaro depositato presso banche venete, due imprese e quote di società e 14 immobili in Veneto e Sardegna. L'indagine riguarda il riciclaggio internazionale e l'esercizio abusivo dell’attività finanziaria: tra gli indagati anche il commercialista dell'ex presidente della Regione Veneto Paolo Venuti e sua moglie. Dall'inchiesta emerge anche un elenco di numerosi imprenditori veneti che sarebbero ricorsi all’interposizione di società nei paradisi fiscali
di Giuseppe Pietrobelli | 11 Aprile 2019
Più informazioni su: Giancarlo Galan, Mose
Il sospetto era venuto nel 2015 quando i finanzieri effettuarono una registrazione ambientale che aveva come protagonisti il commercialista di Giancarlo Galan e la moglie. Parlavano di soldi e di investimenti riconducibili all’uomo politico. Da allora gli investigatori veneziani stavano cercando il tesoro dell’ex ministro, ex parlamentare di Forza Italia ed ex governatore del Veneto. Per questo avevano avviato rogatorie internazionali, alla caccia dei soldi delle tangenti che ruotavano attorno al sistema politico veneziano del Mose e della Regione Veneto. Seguendo le tracce che partivano da una società di Galan hanno ora scoperto un sistema di evasione fiscale e di investimenti all’estero che ha portato a un sequestro di beni per 12,3 milioni di euro, eseguito dalla Polizia economico finanziaria di Venezia comandata dal colonnello Gianluca Campana. A ordinarlo è stato il gip veneziano David Calabria, su richiesta del pm Stefano Ancilotto. L’indagine riguarda, a diverso titolo, il riciclaggio internazionale e l’esercizio abusivo dell’attività finanziaria, relativo solo in parte al reinvestimento all’estero delle mazzette incassate da Galan, che assommerebbero a un milione e mezzo di euro, il vero “tesoro” dell’ex governatore che finì in carcere per corruzione, prima di patteggiare la pena.
Partendo dal sistema delle tangenti, gli investigatori hanno scoperto un elenco di alcune decine di imprenditori veneti che usufruivano di canali di investimento opachi e che non risultano indagati solo perché la movimentazione del denaro è stata prescritta o ha goduto dei benefici dello scudo fiscale. Tutto avveniva, secondo l’accusa, attraverso tre commercialisti padovani (e in parte anche la moglie di uno di loro) e due fiduciari italo-elvetici. I commercialisti sono Paolo Venuti, 62 anni, Guido e Christian Penso, di 78 e 51 anni. La donna è Alessandra Farina, 61 anni, moglie di Venuti. I fiduciari sono Filippo Manfredi San Martino di San Germano d’Agliè, 65 anni, originario di Torino, ma residente a Losanna, e Bruno De Boccard, svizzero di Friburgo.
Il sequestro riguarda l’importo che secondo la Finanza i commercialisti e i fiduciari hanno lucrato da un giro imponente di investimenti, in parte denaro riciclato, in parte movimentato senza che i due svizzeri avessero i requisiti per l’esercizio dell’attività finanziaria in Italia. Gli investimenti di natura immobiliare riguardano appartamenti di lusso a Dubai e fabbricati industriali in Veneto. I sequestri hanno colpito denaro depositato presso banche venete, due imprese e quote di società, nonché 14 immobili in Veneto e in provincia di Sassari, in Sardegna.


anas, arresti, corruzione

Scandalo  ANAS  in Sicilia  ( ottobre 2019 )

CATANIA - Corruzione, scattano nuovi arresti della Guardia di Finanza, sono coinvolti funzionari dell'Anas, area compartimentale di Catania e imprenditori di Palermo, Caltanissetta e Agrigento, tutti indagati, "in concorso - scrivono gli inquirenti - per corruzione perpetrata nell’esecuzione dei lavori di rifacimento di strade statali della Sicilia orientale e centrale".
Si tratta della seconda parte dell'operazione Buche d'oro, eseguita sotto il coordinamento della Procura di Catania, che ha già portato all'arresto di alcuni dirigenti Anas che, dopo l'esecuzione della misura, hanno iniziato a collaborare.

L'INDAGINE - Ci sono mesi di registrazioni agli atti della Procura e i verbali di funzionari Anas e imprenditori. Uno di loro, in particolare, ha deciso di collaborare, si tratta dell'ingegnere Giuseppe Romano, classe 1971, responsabile manutenzione programmata dell'area tecnica compartimentale di Catania dell'Anas, dalla quale dipendono tutti gli appalti della Sicilia orientale. Romano è finito agli arresti domiciliari, misura corrispondente, come richiesto dalla Procura, alle “esigenze cautelari” che, nel suo caso, sono affievolite, visto che “ha reso un'ampia confessione disvelando la rete corruttiva – ha ribadito la Procura - nella quale erano coinvolti anche altri funzionari dell'Anas e numerosi imprenditori”.

"Il mercimonio  - scrive la Guardia di Finanza - e la dazione delle ulteriori tangenti trovavano linfa in illegittimi risparmi di costi consentiti alle imprese che, in accordo con capi centro, capi nucleo e R.U.P. dell’Area Tecnica Compartimentale di Catania (ANAS), scovavano, tra le pieghe dei capitolati tecnici dei lavori loro affidati, ampi margini di “manovra” individuando le lavorazioni da non effettuare o da realizzare solo in parte; i pubblici ufficiali coinvolti così piegavano i loro poteri discrezionali di vigilanza e controllo orientandoli al perseguimento di scopi criminali, in totale dispregio dei rilevanti interessi pubblici in gioco. Il profitto conseguito era pari a circa il 20% dei lavori appaltati e veniva assegnato per un terzo ai dipendenti ANAS corrotti e, per la parte restante, restava nelle casse dei corruttori".

I NOMI  È stato arrestato e condotto in carcere, il geometra Gaetano Trovato (cl.1965), dipendente A.N.A.S., Capo Nucleo B del Centro di manutenzione A dell’Area Tecnica Compartimentale, competente nella manutenzione ordinaria e straordinaria della SS 192 della Valle del Dittaino (EN) e SS 284 (Occidentale etnea).

Sono, invece, stati posti agli arresti domiciliari:

Salvatore Truscelli (cl.1963), rappresentante legale della “TRUSCELLI SALVATORE SRL”, esercente “altre attività di lavori specializzati di costruzione” con sede a Caltanissetta, con un volume d’affari annuo superiore ai 5 milioni di euro;

Pietro Matteo Iacuzzo(cl. 1969), rappresentante legale della “ISAP SRL”, esercente l’attività di “strade, autostrade e piste aeroportuali” con sede a Termini Imerese (PA), con un volume d’affari nel 2018 superiore a 17 milioni di euro;

Roberto Priolo (cl.1971), rappresentante legale della “PRIOLO SRL” esercente l’attività di “lavori edili e restauri” con sede a Ciminna (PA), con un volume d’affari annuo di circa 1 milione di euro;

Calogero Pullara (cl.1979), titolare dell’omonima ditta individuale, esercente l’attività di “lavori edili e stradali, lavori di terra con eventuali opere connesse in muratura e cemento armato di tipo corrente, demolizione e sterri, opere speciali in cemento armato, lavori di tinteggiatura e verniciatura, costruzione”, con sede a Favara (AG), con un volume d’affari annuo di circa 1 milioni di euro.

Destinatario della misura dell’interdizione dall’esercizio di pubblico ufficio per la durata di un anno, l'ingegnere Antonino Urso (cl. 1980), Capo Centro Manutenzione “A” dell’Area Compartimentale ANAS di Catania competente alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle seguenti arterie stradali: S.S. 121 Catanese, S.S. 575 di Troina, S.S. 192 della Valle del Dittaino, S.S. 284 Occidentale Etnea, S.S. 288 di Aidone (EN), S.S. 385 di Palagonia (CT), S.S. 117BIS Centrale Sicula, S.S. 417 di Caltagirone (CT).

LA CONFESSIONE - L’ingegnere Urso ha reso un’ampia confessione "disvelando - scrivono gli inquirenti - la rete corruttiva nella quale erano coinvolti anche altri funzionari dell’ANAS e imprenditori corruttori".

Grazie alle intercettazioni della Finanza, la Procura ha accertato la consegna a 5 funzionari infedeli dell'ANAS di somme per centinaia di migliaia di euro e sono state sequestrate mazzette per decine di migliaia di euro.

Nello specifico, la prima vicenda corruttiva vede quali protagonisti da una parte ROMANO, CONTINO e PANZICA e dall’altra l’imprenditore Salvatore TRUSCELLI: fu proprio la consegna nell’ufficio di CONTINO di una “mazzetta” di 10.000 euro a determinare l’intervento dei Finanzieri del Nucleo P.E.F. per arrestare in flagranza di reato i responsabili. Prima di quel frangente, a fine agosto, TRUSCELLI – con le medesime modalità – consegnava a CONTINO e PANZICA un’ulteriore busta contenente 20.000 euro a beneficio anche dell’Ing. ROMANO. L’appalto oggetto della “speculazione” corruttiva erano i “lavori di risanamento della sovrastruttura stradale” della S.S. 114 (Orientale Sicula), dal Km. 130,00 al Km. 154,66 (Villasmundo – Siracusa), intrapresi dalla “TRUSCELLI SRL” nel giugno di quest’anno per un importo totale aggiudicato di 560 mila euro. L’ammontare complessivo pattuito della dazione corruttiva era di oltre 60.000 euro.

Tra gli stratagemmi adottati dall’impresa nella fase esecutiva dei lavori, veniva registrata un’incompleta rimozione dell’asfalto usurato prima di procedere all’applicazione del nuovo tappeto. Tali “economie” corruttive potevano realizzarsi perché l’impresa esecutrice veniva rassicurata dagli infedeli funzionari dell’ANAS del buon esito dei controlli posteriori tesi ad apprezzare la conformità dell’opera eseguita rispetto a quanto richiesto dall’azienda pubblica appaltante.

Un’ulteriore intesa corruttiva veniva siglata da ROMANO e URSO con IACUZZO (rappresentante di ISAP Srl) e concerne 3 contratti applicativi rientranti in un accordo quadro triennale per “l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria della pavimentazione delle strade di competenza ANAS nella Regione Sicilia”. Nello specifico, all’impresa corruttrice venivano affidati i lavori di:

“riqualificazione del piano viabile nel Comune di Caltagirone”;

“risanamento della pavimentazione stradale in tratti saltuari tra il Km. 0+000 e il Km. 51+900 della SS 288 di Aidone”.

Come confermato in sede di interrogatorio dai funzionari ANAS coinvolti, l’ISAP SRL traeva un illecito vantaggio dalla mancata rimozione di parte del manto stradale usurato: i pubblici ufficiali corrotti, quindi, acconsentivano a una registrazione in contabilità di uno spessore del materiale fresato superiore rispetto al vero così da far riconoscere all’impresa un compenso non spettante. Per tali ragioni, IACUZZO consegna a URSO, a beneficio anche di ROMANO, denaro contante, in più fasi, per complessivi 60.000 euro.

Una terza vicenda corruttiva vedeva coinvolti i funzionari ANAS Catania, ROMANO e URSO, e Roberto PRIOLO la cui impresa rappresentata (PRIOLO Srl) è stata affidataria dei “Lavori di ripristino del piano viabile, consolidamento del corpo stradale e di stabilizzazione di pendici in tratti saltuari tra il km. 10+000 ed il Km 11+000 della SS 575 di Troina” iniziati a febbraio di quest’anno e ultimati 3 mesi dopo. Come peraltro ricostruito dagli stessi funzionari corrotti, PRIOLO consegnava negli uffici ANAS di Catania una tangente di 15.000 euro in contanti divisa tra URSO e ROMANO.

Altro accordo corruttivo veniva stretto da ROMANO, URSO e TROVATO dell’ANAS con PULLARA (titolare dell’omonima ditta individuale) incaricato di svolgere “lavori di risanamento della pavimentazione stradale in tratti saltuari della SS 284 tra il km. 0+000 ed il Km 44+524” (Occidentale Etnea, Randazzo – Paternò) aggiudicati al prezzo di 630 mila euro. I lavori venivano consegnati d’urgenza alla ditta corruttrice nel maggio di quest’anno e ultimati in meno di un mese nei primi giorni di giugno. Anche in questa circostanza, la tangente complessiva di 18.000 euro in denaro contante originava da un’incompleta fresatura del manto stradale e da una fasulla registrazione nella contabilità dei lavori effettuati. PULLARA concludeva il patto criminale con il Geom. TROVATO al quale consegnava un primo acconto negli uffici dell’ANAS di Catania e successivamente lo stesso imprenditore dava il saldo pattuito in contanti direttamente all’Ing. URSO sempre a beneficio dei tre funzionari ANAS corrotti.

Gli ulteriori gravi fatti di corruzione ricostruiti dal gruppo di Magistrati di quest’Ufficio specializzato nei reati contro la P.A. con l’ausilio dei Finanzieri del Nucleo P.E.F. di Catania restituiscono un quadro ancor più allarmante di quello emerso in occasione degli arresti in flagranza di reato del 17 settembre scorso. Fitte relazioni illecite uniscono pubblici ufficiali infedeli e imprenditori corruttori proclivi a contrattare risparmi sui lavori da effettuare drenando rilevanti risorse pubbliche destinate alla cura, alla manutenzione e alla sicurezza di arterie vitali per la mobilità degli utenti.

La brillante operazione della Guardia di Finanza ha interrotto il perpetrarsi di ulteriori azioni criminali tese a lucrare, una volta aggiudicata la commessa, sulla fraudolenta esecuzione dei lavori appaltati per la manutenzione delle strade siciliane e aperto nuovi scenari, ancor più estesi, su cui poter far luce.



LE INDAGINI – Le indagini sono state eseguite dal nucleo di polizia economico tributaria sotto il coordinamento del dipartimento di indagine sui reati della pubblica amministrazione, oggi guidato dal procuratore aggiunto Agata Santonocito e composto, tra i tanti, dal sostituto Fabio Regolo che ha retto il gruppo di indagine dopo la nomina al Csm del procuratore Sebastiano Ardita.

Il 21 settembre, in flagranza di reato sono stati arrestati Riccardo Carmelo Contino, capo centro manutenzione dell'Anas, area compartimentale di Catania e il geometra Giuseppe Panzica, capo nucleo B del centro di manutenzione Anas etneo. Le cimici della guardia di finanza li hanno filmati proprio mentre incassavano e si spartivano una tangente di 10mila euro, frutto di un appalto eseguito, sostanzialmente, frodando lo Stato: con l'importo destinato a 24 chilometri della strada statale 114, ne sono stati realizzati appena 2. Il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro aveva annunciato che gli indagati fossero "decine".


Sanità: inchiesta Gdf Udine, 8 arresti
In manette noto imprenditore friulano. Sequestri per 10 mln euro
Redazione ANSA UDINE
24 ottobre 201911:25 News
 (ANSA) - UDINE, 24 OTT - Le Fiamme Gialle di Udine, coordinate dalla locale Procura della Repubblica, stanno eseguendo otto arresti - tra i quali quello di un noto imprenditore friulano Massimo Blasoni - perquisizioni e sequestri per un totale di dieci milioni di euro nell'ambito di un procedimento in materia di spesa socio-sanitaria, ai danni dei bilanci delle Regioni Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Sicilia.
    Al centro delle indagini una società attiva nel settore dell'assistenza per anziani, autosufficienti e no, e nella gestione di comunità terapeutiche - riabilitative per minori e adolescenti, con sedi operative in tutto il territorio nazionale. Tra le 8 persone arrestate c'è il noto imprenditore friulano Massimo Blasoni, fondatore e guida di Sereni Orizzonti, la società che negli anni è diventata la prima azienda italiana per crescita nel settore della costruzione e gestione di Residenze Sanitario Assistenziali per anziani in larga misura non più autosufficienti. (ANSA).






‘Ndrangheta, maxi-operazione con 330 arresti. Anche l’ex senatore di Fi Pittelli e il sindaco di Pizzo. Divieto di dimora per Nicola Adamo (Pd). “L’uomo di Forza Italia era la cerniera tra affiliati al clan e politica”
In totale sono 416 gli indagati. Grazie al blitz del Ros dei carabinieri disarticolati i clan del Vibonese. Gratteri: "La più grande inchiesta dopo il maxi-processo". In carcere anche il sindaco di Pizzo e presidente dell'Anci Calabria, Gianluca Callipo. Ai domiciliari l'ex consigliere regionale dem Giamborino e l'ex comandante del reparto operativo dei carabinieri di Catanzaro Giorgio Naselli, poi comandante provinciale a Teramo fino a ottobre
Trecentotrenta arresti, altre 4 misure cautelari, le cosche di ‘ndrangheta del Vibonese smantellate insieme alle loro articolazioni nel mondo imprenditoriale e politico, a iniziare da quel Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia e passato nel 2017 a Fratelli d’Italia, ritenuto la ‘cerniera’ verso i mondi con cui la famiglia Mancuso, mentre “assoggettava e opprimeva” il territorio, voleva fare affari. Estesi, estesissimi, come dimostra la vastità dell’inchiesta condotta dalla procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri che ha messo insieme un puzzle con 416 indagati e persone fermate in 11 regioni italiane dalla Lombardia alla Sicilia, oltre che in Germania, Bulgaria e Svizzera. Tre anni e mezzo di lavoro condotto dalla magistratura e dai carabinieri, compreso il Ros, per la “più grande operazione dopo quella che porto al maxi-processo di Palermo a Cosa Nostra”, ha spiegato Gratteri. Per la “eccezionale gravità” delle contestazioni in 3 casi è stato disposto il carcere anche per gli ultra 70enni.
I politici coinvolti e il carabiniere infedele – E che ha trascinato tra gli indagati, oltre a Pittelli, il sindaco di Pizzo Gianluca Callipo, finito in carcere come l’ex senatore. In cella anche un ufficiale dei carabinieri, Giorgio Naselli, ex comandante del reparto operativo di Catanzaro e fino a ottobre comandante provinciale a Teramo prima di essere trasferito al Centro Sportivo Carabinieri nel ruolo di vice comandante. Ai domiciliari l’ex consigliere regionale del Pd Pietro Giamborino e il segretario del Psi calabrese Luigi Incarnato, oltre a Filippo Nesci, comandante della Polizia municipale di Vibo Valentia, ritenuto responsabile di episodi di corruzione in favore di esponenti dell’associazione, ed Enrico Caria, all’epoca dei fatti comandante della Polizia locale di Pizzo che, in concorso con Callipo, avrebbe agito nell’interesse dei Mazzotta, egemoni sul territorio.
Adamo e il maresciallo della Finanza – Divieto di dimora in Calabria, invece, per Nicola Adamo, ex vicepresidente della Regione, fedelissimo del governatore Mario Oliverio e marito della deputata del Partito democratico Enza Bruno Bossio. L’accusa nei suoi confronti è di traffico di influenze – senza l’aggravante mafiosa – perché, come si legge nel capo d’imputazione, avrebbe accettato di intercedere con il Tar, “sfruttando la propria relazione con il giudice Nicola Durante”, presidente della II Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, per “sostenere la posizione processuale” di un imprenditore catanese in cambio della proposta di ricevere 50mila euro come “prezzo della sua mediazione illecita”. Un’accusa che l’ex parlamentare rigetta in toto e definisce “ignominioso e riprovevole” essere stato “inserito in un contesto di indagini concernenti la criminalità organizzata di tipo mafioso”.
Le fughe di notizie e le accuse – Tra gli indagati figura anche un maresciallo della Guardia di finanza – poi trasferito in servizio alla Presidenza del Consiglio – per il quale era stato richiesto l’arresto, negato però dal giudice per le indagini preliminari. L’operazione mastodontica, come ha spiegato Gratteri parlando di un suo “sogno”, è iniziata il giorno stesso del suo insediamento in procura a Catanzaro e ha rischiato di essere danneggiata più volte da fughe di notizie, l’ultima volta mercoledì sera. Tanto che i 3000 carabinieri impegnati nel blitz hanno dovuto accelerare anticipando l’operazione di 24 ore. Le accuse, contestate a vario titolo, sono associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio ed altri numerosi reati aggravati dalle modalità mafiose.
Pittelli, l’uomo cerniera tra cosche e politica – Contestata anche all’avvocato ed ex senatore Pittelli che, secondo gli investigatori, “avrebbe messo sistematicamente a disposizione dei criminali il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni, anche per acquisire informazioni coperte dal segreto d’ufficio e per garantirne lo sviluppo nel settore imprenditoriale”. Dalle indagini sarebbero emersi anche i rapporti diretti tra Pittelli, iscritto al Grande Oriente d’Italia, e Luigi Mancuso, uno dei boss dell’omonima cosca.
Giamborino a caccia di voti – L’ex consigliere regionale del Pd Giamborino è invece ritenuto “formalmente affiliato alla locale di Piscopio”. Il politico, secondo l’accusa, avrebbe intessuto legami con alcuni dei più importanti appartenenti alla ‘ndrangheta vibonese per garantirsi voti ed appoggi necessari alla sua ascesa politica, divenendo, di fatto, “uno stabile collegamento dell’associazione con la politica calabrese, funzionale alla concessione illecita di appalti pubblici e di posti di lavoro per affiliati o soggetti comunque contigui alla consorteria”.
Il sindaco e i riti del “tre quartino” – Il sindaco Callipo, eletto con il Pd ma poi uscito dai dem e recentemente avvicinatosi al sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, di Forza Italia, al quale ha espresso il suo sostegno alla candidatura alle prossime regionali, secondo l’accusa, grazie al suo ruolo politico ed amministrativo, avrebbe tenuto condotte amministrative illecite e favorevoli alle cosche, garantendo ad alcuni indagati benefici nella gestione di attività imprenditoriali. Nel corso dell’inchiesta, sono stati documentati summit di ‘ndrangheta finalizzati al conferimento di promozioni e di incarichi ad affiliati di rilievo acquisendo elementi di riscontro in merito alle formule rituali utilizzate dai sodali per l’assegnazione del grado di “tre quartino”. In totale sono stati sequestrati 15 milioni di euro di beni.




“Magistrati in odore di mafia”, tre toghe indagate per aver rivelato notizie riservate
Due sostituti procuratori della Dda di Catanzaro e un giudice del tribunale di Vibo Valentia sono accusati dalla procura di Salerno per aver dato informazioni coperte da segreto a un avvocato legato alla cosca dei Mancuso. L'indagine del Ros calabrese ha fatto emergere un centro di potere composto anche da massoni e contiguo alla 'ndrangheta
di Davide Milosa | 10 Gennaio 2013
Il casolare sta in località agro di Limbadi. Il boss della ‘ndrangheta Pantaleone Mancuso, alias don Luni, chiacchiera con Francesco Barbieri, imprenditore calabrese che da anni vive e lavora a Milano. E’ il 7 ottobre 2011. Qualcuno ha appena stappato una bottiglia di Ferrari. L’ambientale del Ros registra rumori e parole. Dice Mancuso: “La puttana della Napoli voleva mandargli l’ispezione, perché mi aveva mandato all’ospedale (…) che potevo fare quello che volevo (…) dopo la Napoli l’ha saputo e ha fatto un’interpellanza parlamentare”. I carabinieri, così, riannodano i fatti di una vicenda che risale al 2005, quando il giudice del tribunale di Vibo Valentia Giancarlo Bianchi dispose il “ricovero provvisorio” di Pantaleone Mancuso, all’epoca rinchiuso nel carcere di Tolmezzo, all’ospedale civile di Vibo. Un provvedimento, annotano i militari, che il magistrato firmò “in assenza delle condizioni previste dalla Legge (…) creando una oggettiva condizione di vantaggio rappresentata dalla conseguente accresciuta possibilità di comunicazione con l’esterno”. Il boss resterà in corsia per 27 giorni, nonostante il termine imposto fosse di una sola settimana. Una bella vacanza interrotta solo grazie a un’interrogazione dell’onorevole Angela Napoli.
MAGISTRATI, MAFIOSI E MASSONI
L’episodio non resta isolato. Dal maggio 2011, infatti, il Ros di Catanzaro indaga su “una consolidata rete di relazioni, in parte palese e in parte occulta, cui partecipano stabilmente magistrati del distretto di Catanzaro e due funzionari di polizia”. Un intreccio di relazioni, che dimostra “la sistematica contiguità (…) con la cosca Mancuso”. A fare da collante la comune appartenenza a logge massoniche. In questa storia, infatti, molti hanno la tessera in tasca. A partire dal boss Mancuso che all’imprenditore milanese rivela: “La ‘ndrangheta non esiste più, la ‘ndrangheta fa parte della massoneria (…) Abbiamo amicizie: medici, avvocati, politici, giudici, commissari”. E massone è anche il magistrato Giancarlo Bianchi.
L’INGRANAGGIO DELLA ‘NDRANGHETA
L’inchiesta Purgatorio inizia nel 2010 seguendo i movimenti di alcuni capitani del clan. Un anno dopo le indagini fotografano i rapporti tra i boss e diversi rappresentanti delle istituzioni. La svolta avviene quando sulla scena compare la figura di Antonio Galati, l’avvocato dei Mancuso e nome noto alle recenti cronache giudiziarie calabresi. Galati, infatti, è stato coinvolto, assieme all’ex giudice del tribunale di Vibo Patrizia Pasquin, nell’indagine Do ut des del 2005, accusati, assieme a un bel gruppo di imprenditori e professionisti, di corruzione in atti giudiziari, concorso in truffa aggravata in danno della Regione Calabria e dell’Unione europea. Per quella inchiesta, l’avvocato dei boss è stato assolto in primo grado. Una sentenza cui i pm si sono appellati.
Torniamo allora all’operazione Purgatorio. E così intercettazione dopo intercettazione, gli investigatori dispongono sul tavolo una serie di pedine che compongono quello che lo stesso legale definisce “l’ingranaggio” a disposizione della ‘ndrangheta. Un sistema perfetto di relazioni, che ruota attorno al giudice Bianchi e a due sostituti procuratori della Dda di Catanzaro: Giampaolo Boninsegna e Paolo Patrolo. A completare il gruppo, due importanti dirigenti della squadra Mobile di Vibo Valentia: Maurizio Lento ed Emanuele Rodanò.
Il quadro è chiaro, gli obiettivi anche. Il Ros ne snocciola alcuni: condizionare l’esito di processi in cui sono coinvolti i Mancuso, violare il segreto d’ufficio, alimentare una “guerra interna” contro altri magistrati del distretto di Catanzaro, anche attraverso un’opera di “dossieraggio” orchestrata dallo stesso Galati.
MAGISTRATI INDAGATI: “RIVELARONO NOTIZIE RISERVATE”
Primo risultato: la posizione dei tre magistrati passa alla Procura di Salerno competente. Bianchi, Boninsegna e Petrolo vengono accusati di aver rivelato informazioni coperte da segreto. L’accusa ne propone l’interdizione. Richiesta che sarà negata dal giudice per le indagini preliminari. Sul caso, però, ora pende il ricorso al riesame. Un atto dovuto da parte della procura campana che ha provocato, in parte, la discovery dell’inchiesta del Ros di Catanzaro con il deposito di un’informativa di oltre mille pagine.
LA DISTRAZIONE DEI GIORNALI CALABRESI
La notizia è clamorosa. Eppure i media nazionali non la registrano. Mentre i quotidiani calabresi la depotenziano. E così, mentre il Ros annota “i concreti e rilevanti contributi, volontariamente forniti dal giudice Bianchi alla cosca Mancuso”, i giornali locali definiscono l’importante magistrato “un togato senza macchia” che “contro la malavita ha usato sempre la mano pesante”. Un rigore che non emerge quando il giudice autorizza Filippo Fiarè, sorvegliato speciale vicino ai Mancuso, a recarsi più volte a Vibo Valentia per sostenere visite odontoiatriche nello studio del figlio. E del resto Bianchi, non pare particolarmente solerte, nel momento in cui l’amico Galati gli rivela che lo stesso Fiarè è il mandante di un omicidio di mafia. Il particolare è tanto vero che mesi dopo il caso sarà risolto. Ma quando Bianchi riceve la confidenza, però, gli investigatori sono ancora in alto mare. Cosa fa il magistrato? Si tiene in tasca la notizia “violando i doveri della sua pubblica funzione”. Un’omissione che, secondo il Ros, favorisce Fiarè, capo dell’omonima cosca alleata con i Mancuso.
LE PRESSIONI DELLA COSCA SUL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
La zona grigia così si allarga e mentre Bianchi, sostengono i carabinieri, rassicura i Mancuso su future assoluzioni, i professionisti della ‘ndrangheta tentano di influenzare le decisioni del Csm a favore dello stesso giudice. Succede tutto alla fine dell’ottobre 2011, quando Antonino Daffinà, già vicesindaco Udc di Vibo, parente dello stesso Bianchi, nonché commercialista di Pantaleone Mancuso interpella l’onorevole Roberto Occhiuto anche lui dell’Udc. Obiettivo (poi fallito), intervenire sul vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti (Udc), affinché il Csm sposti Bianchi al tribunale di Palmi. Un nomina che però non appare scontata, visto che oltre a Bianchi c’è in ballo il nome di un magistrato di Paola (Cosenza) Silvia Capone. Galati ne parla con una toga amica. I due concordano sul fatto che la Capone non avrebbe “proprio i titoli per questo posto”. Quindi  sostengono che la Capone “probabilmente è sostenuta da Magistratura democratica”. Per questo, entrambi consigliano a Bianchi di sentire il giudice Massimo Lento (fratello del poliziotto inserito nell’ingranaggio), importante esponente di Md. Obiettivo: “Vedere se in commissione c’è qualcuno di Md per denunciare la porcata”.
GUERRA INTERNA, TOGHE CONTRO TOGHE
La questione del Csm introduce così il tema della “guerra interna” al distretto giudiziario di Catanzaro che Galati e compagnia scatenano contro un giudice e un procuratore di Vibo Valentia. Ancora una volta si mette in moto l’ingranaggio che ormai è ben oliato. L’avvocato dei Mancuso ne parla con Petrolo, sostenendo che anche un importante magistrato di Cosenza, pur essendo di Md, si è messo con loro “per creare questa frattura, anche all’interno di Md”. C’è di più: l’avvocato dei boss, intercettato, confida di aver incontrato un sostituto procuratore generale in grado di fornire notizie su uno dei due magistrati. Particolare inquietante: l’incontro viene mediato da un imprenditore legato ai Mancuso. Il magistrato contatto da Galati viene identificato dal Ros in Salvatore Librandi. Galati ne parla al sostituto procuratore Boninsegna. “Ieri ho avuto un colloquio… un incontro con una persona… un magistrato… Sostituto Procuratore Generale (…) che dice: ma com’è sta situazione al Tribunale di Vibo Valentia? Ho detto: mah… un po’ ingarbugliata! Perché? Dice: ma voi non prendete provvedimenti su questa sezione fallimentare? Il giudice delegato ai fallimenti che dà incarichi al fratello?”. Gli investigatori ci mettono poco a capire di chi stanno parlando. Si tratta del giudice Fabio Regolo. Annotano i carabinieri: “In questa circostanza venivano espressi analoghi riferimenti nei confronti di altri magistrati, che gli interlocutori indicavano come legati al giudice Regolo, ovvero il Presidente del Tribunale di Vibo Valentia, Roberto Lucisano, il Procuratore della Repubblica, Mario Spagnuolo, il giudice Alessandro Piscitelli”. Gli uomini del Ros di Catanzaro registrano, dopodiché accertano che in effetti Fabio Regolo ha un fratello che lavora a Milano in un studio di commercialisti che negli anni ha avuto diversi incarichi giudiziali dal Tribunale di Vibo Valentia.
L’AVVOCATO RASSICURA IL BOSS: “QUEL PM SE NE FOTTE”
Favori reciproci e rapporti pericolosi. Il gruppo si tiene insieme così. Il magistrato Giampaolo Boninsegna, ad esempio, non mostra imbarazzo a salutare in aula il boss Luigi Mancuso. Oppure a intrattenere rapporti di amicizia con l’avvocato Galati. Lui, a detta del legale che vuole rassicurare il boss, “è uno che se ne fotte”. Boninsegna è coinvolto nella rivelazione di un’inchiesta a carico del genero di Pantaleone Mancuso. Il suo collega, Paolo Petrolo, chiacchierando sempre con Galati, addirittura, fa i nomi di alcuni indagati che da lì a pochi mesi saranno arrestati per un enorme traffico di droga. Torniamo allora al casolare in località agro di Limbadi. L’imprenditore e il boss hanno finito la bottiglia di Ferrari. La microspia registra le ultime parole del padrino: “Bisogna modernizzarsi, non stare con le vecchie regole, il mondo cambia e bisogna cambiare tutte cose”.
Aggiornamento:
Successivamente, il 19 luglio 2013, il Gip di Salerno, Dolores Zarone ha archiviato il procedimento nei confronti del Dott. Giancarlo Bianchi per insussistenza degli elementi costitutivi del reato, oltre che nei confronti di tutti gli altri indagati.




Corruzione, arrestato giudice di Catanzaro: “Soldi, regali e prestazioni sessuali per aggiustare sentenze”

Marco Petrini è presidente della II sezione della Corte d'Assise d'appello di Catanzaro. Tra gli arrestati anche due avvocati: uno del foro di Catanzaro e un avvocato di Locri. Figura centrale, secondo gli inquirenti, un insospettabile medico in pensione "che stipendiava mensilmente" la toga. Mazzette da 500 euro e regali come cassette di pesce e champagne
di L. Musolino e G. Trinchella | 15 Gennaio 2020

Soldi con tranche di 500 euro, un braccialetto e un box promessi, prestazioni sessuali, uno stipendio mensile, vacanze, cibo consegnato a casa. Sono queste le mazzette con cui veniva pagato un magistrato, presidente della II sezione della Corte d’Assise d’appello di Catanzaro, che è stato arrestato dalla Guardia di finanza. Si tratta, a quanto apprende il fattoquotidiano.it, di Marco Petrini. Sono otto le persone indagate nell’inchiesta della Dda di Salerno avviata nel 2018: per sette, tra cui la toga, il giudice per le indagini preliminari di Salerno ha disposto il carcere, per l’ottava i domiciliari. Corruzione in atti giudiziari in alcuni casi aggravati dall’associazione mafiosa i reati contestati dagli inquirenti. L’inchiesta era iniziata a Catanzaro (dove oggi sono stati eseguiti tre arresti) ma era stata trasferita per competenza a Salerno proprio per il coinvolgimento della toga.
Tra gli arrestati anche due avvocati: uno del foro di Catanzaro, Marzia Tassone (domiciliari), e uno di Locri, Francesco Saraco. L’ordinanza riguarda anche Emilio Santoro detto Mario medico in pensione considerato un insospettabile e Luigi Falzetta. Gli indagati, stando alla ricostruzione della Dda, pagavano il magistrato “per ottenere, in processi, civili e in cause tributarie, sentenze e provvedimenti a loro sfavorevoli o favorevoli a terze persone”. Secondo la procura di Salerno “in taluni casi i provvedimenti favorevoli richiesti al magistrato a da quest’ultimo promessi e/o assicurati erano diretti a verificare, mediante assoluzioni o consistenti riduzioni di pena, sentenze di condanna pronunciate in primo grado dai Tribunali del distretto di Catanzaro, provvedimenti di misure di prevenzione, già definite in primo grado o sequestri patrimoniali in applicazione della normativa antimafia, nonché sentenze in cause civili e accertamenti tributari”.
Intercettato il 17 ottobre del 2018 il magistrato diceva all’intermediario riguardo al suo interessamento per far riottenere il vitalizio all’ex consigliere regionale Giuseppe Tursi Prato condannato in via definitiva per mafia nel 2007 e oggi arrestato: “Mario (Santoro, ndr) di’ all’amico tuo che è amico mio che giorno 12 si fa… lui la causa l’ha vinta al 1000 per 1000“. Un interessamento alla vicenda pagato con un anticipo di 5oo euro e la promessa di una vacanza in una struttura in Valle d’Aosta di Falzetta. A dicembre gli investigatori hanno registrato la visita a casa del magistrato, mentre l’ex politico lo attendeva in macchina, l’uomo aveva consegnato due cassette di polistirolo in cui c’erano gamberoni e merluzzetti (valore 350 euro), una bottiglia di champagne, clementine. Un cadeau per ricordare la causa di Tursi. In altri incontri tra dicembre 2018 e gennaio 2019 Petrini garantiva e “forniva rassicurazioni sulla decisione favorevole del ricorso”. Gli investigatori hanno documentato almeno un’altra consegna di denaro e successivamente una “cassetta con verdure e formaggio”. Il gip ha ordinato l’arresto anche per Vincenzo Arcuri e Giuseppe Caligiuri.
L’indagine, condotta dallo Scico con intercettazioni audio e video, ha permesso di svelare che la corruzione appunto è servita tra le altre cose anche a “far riottenere il vitalizio” a un condannato in via definitiva per mafia. Tursi Prato indagato a Catanzaro (nell’inchiesta che ha portato oggi a tre arresti) era stato condannato nel 2004 a sei anni per associazione mafiosa con interdizione perpetua e relativa decadenza del vitalizio. Gli investigatori hanno scoperto che Petrini aveva continuamente bisogno di soldi “anche per mantenere l’elevato tenore di vita”. Una “grave situazione di sofferenza finanziaria”. Durante la perquisizione in casa al magistrato sono stati sequestrati 7mila euro in contanti custoditi all’interno di una busta. I finanzieri, su ordine della procura, sono a caccia dei documenti relativi al ricorso di Tursi Prato e altra documentazione, come sentenze e provvedimenti emessi che potrebbero essere stati aggiustati grazie all’ipotizzata corruzione di Petrini. Gli uomini delle Fiamme gialle sono stati incaricati anche di cercare documenti relativi a vacanze del magistrato.
Nella nota firmata dal procuratore capo di Salerno, Luca Masini, si legge che oltre al magistrato “una figura centrale del sistema corruttivo” era un medico in pensione ed ex dirigente dell’Asl della provincia di Cosenza, definito un insospettabile. Stando agli inquirenti il medico stipendiava “mensilmente” il magistrato “per garantirsi l’asservimento stabile delle funzioni dello stesso. Si prodigava per procacciare nuove occasioni di corruzione, proponendo a imputati o a aprenti di imputati condannati in primo grado, nonché a privati soccombenti in cause civili, decisioni favorevoli in cambio del versamento di denaro, di beni e altre utilità”.



Notizie 24 Ore     25 maggio 2020
Ecco la banda dei giudici corrotti: i dettagli dell’inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura
I dettagli che stanno venendo fuori sono quasi agghiaccianti, si parla di sentenze vendute, elezioni annullate, depistaggi. C’è una vera e propria rete di toghe sporche al lavoro da Milano alla Sicilia
Mgid
 L’articolo uscito oggi sull’Espresso a firma di Paolo Biondani tira fuori qualcosa di davvero assurdo.
Molti magari se lo aspettavano pure, ma di sicuro i dettagli che vengono fuori vanno al di là anche dell’immaginazione.
Su l’Espresso leggiamo i dettagli:
Un’inchiesta delicatissima, coordinata dalle Procure di Roma, Messina e Milano, continua a provocare arresti, da più di un anno, tra magistrati di alto rango. Non si tratta di casi isolati, con la singola toga sporca che svende una sentenza. L’accusa, riconfermata nelle diverse retate di questi mesi, è molto più grave: si indaga su un sistema di contropotere giudiziario, con tutti i crismi dell’associazione per delinquere, che si è organizzato da anni per avvicinare, condizionare e tentare di corrompere un numero indeterminato di magistrati. Qualsiasi giudice, di qualunque grado.
Al centro dello scandalo ci sono i massimi organi della giustizia amministrativa: il Consiglio di Stato e la sua struttura gemella siciliana. Sono giudici di secondo e ultimo grado: decidono tutte le cause dei privati contro la pubblica amministrazione con verdetti definitivi (la Cassazione può intervenire solo in casi straordinari). Molti però non sono magistrati: vengono scelti dal potere politico. Eppure arbitrano cause di enorme valore, come i mega-appalti pubblici. Interferiscono sempre più spesso nelle nomine dei vertici di tutta la magistratura, che la Costituzione affida invece al Csm. Possono perfino annullare le elezioni. L’indagine della procura di Roma ha già provocato decine di arresti, svelando storie allucinanti di giudici amministrativi con i soldi all’estero, buste gonfie di contanti, magistrati anche penali asserviti stabilmente ai corruttori, giri di prostituzione minorile e sentenze svendute in serie, «a pacchetti di dieci». Con tangenti pagate anche per annullare il voto popolare. Un attacco alla democrazia attraverso la corruzione.
L’antefatto è del 2012: un candidato del centrodestra in Sicilia, Giuseppe Gennuso, perde le elezioni per 90 preferenze e contesta il risultato, avvelenato da una misteriosa vicenda di schede sparite. In primo grado il Tar boccia tutti i ricorsi. Quindi il politico siciliano, secondo l’accusa, versa almeno 30 mila euro a un mediatore, un ex giudice, che li consegna al presidente del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, Raffaele Maria De Lipsis. Che nel gennaio 2014 annulla l’elezione e ordina di ripetere il voto in nove sezioni dei comuni di Pachino e Rosolini: quelle dove è più forte Gennuso. Che nell’ottobre 2014 conquista così il suo seggio, anche se ha precedenti per lesioni, furto con destrezza ed è indiziato di beneficiare di voti comprati. Il politico respinge ogni accusa. Che oggi risulta però confermata dalle confessioni di due potenti avvocati siciliani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 come grandi corruttori di magistrati.
L’esistenza di una rete strutturata per comprare giudici era emersa già con le prime perquisizioni. Nel luglio 2016, in casa di un funzionario della presidenza del consiglio, Renato Mazzocchi, vengono sequestrati 250 mila euro in contanti e una copia appuntata di una sentenza della Cassazione favorevole a Berlusconi sul caso Mediolanum. Altre indagini portano a scoprire, come riassume il giudice che ordina gli arresti, «un elenco di processi, pendenti davanti a diverse autorità giudiziarie», con nomi di magistrati affiancati da cifre. Uno di questi è Nicola Russo, presidente di sezione del Consiglio di Stato, nonché giudice tributario. Quando viene arrestato, nella sua abitazione spuntano atti di processi amministrativi altrui, chiusi in una busta con il nome proprio di Mazzocchi. Negli stessi mesi Russo viene sospeso dalla magistratura dopo una condanna in primo grado per prostituzione minorile. Oggi è al secondo arresto con l’accusa di essersi fatto corrompere non solo dagli avvocati Amara e Calafiore, ma anche da imprenditori come Stefano Ricucci e Liberato Lo Conte. Negli interrogatori Russo conferma di aver interferito in diversi processi di altri giudici, su richiesta non solo di Mazzocchi, ma anche di «magistrati di Roma» e «ufficiali della Finanza». Ma si rifiuta di fare i nomi. Per i giudici che lo arrestano, la sua è una manovra ricattatoria: l’ex giudice cerca di «controllare questa rete riservata» di magistrati e ufficiali «in debito con lui per i favori ricevuti».
Anche De Lipsis, per anni il più potente giudice amministrativo siciliano, ora è agli arresti per due accuse di corruzione. Ma è sospettato di aver svenduto altre sentenze. La Guardia di Finanza ha scoperto che la famiglia del giudice ha accumulato, in dieci anni, sette milioni di euro: più del triplo dei redditi ufficiali. Scoppiato lo scandalo, si è dimesso. Ma anche lui ha continuato a fare pressioni su altri giudici, che ora confermano le sue «raccomandazioni» a favore di aziende private come Liberty Lines (traghetti) e due società immobiliari di famiglia dell’avvocato Calafiore, che progettavano speculazioni edilizie nel centro storico di Siracusa (71 villette e un ipermercato) bocciate dalla Soprintendenza.
L’inchiesta riguarda molti verdetti d’oro. Russo è accusato anche di aver alterato le maxi-gare nazionali della Consip riassegnando un appalto da 338 milioni alla società Exitone di Ezio Bigotti e altri ricchi contratti pubblici all’impresa Ciclat. Per le stesse sentenze è sotto inchiesta un altro ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio: secondo l’accusa, aveva 751 mila euro su un conto svizzero. Per ripulirli, il giudice li ha girati a una società di Malta degli avvocati Amara e Calafiore.
Tra gli oltre trenta indagati, ma per accuse ancora da verificare, spicca un altro presidente di sezione, Sergio Santoro, ora candidato a diventare il numero due del Consiglio di Stato.
A fare da tramite tra imprenditori, avvocati e toghe sporche, secondo l’accusa, è anche un altro ex magistrato amministrativo, Luigi Caruso. Fino al 2012 era un big della Corte dei conti, poi è rimasto nel ramo: secondo l’ordinanza d’arresto, consegnava pacchi di soldi alle toghe sporche ancora attive. Lavoro ben retribuito: tra il 2011 e il 2017 l’ex giudice ha versato in banca 239 mila euro in contanti e altri 258 mila in assegni.




Tangenti per superare concorsi, gli indagati: “Nelle ultime visite ci sono stati ragazzi con problemi seri… Qua riusciamo a giostrare”

Dagli atti dell’inchiesta della procura di Benevento, che ha portato a cinque arresti, emergono le storie di candidati reclutati nonostante seri problemi cardiaci. E anche per chi aveva conti in sospeso con la giustizia, il gruppo riusciva a trovare una soluzione su misura
di F. Q. | 12 GIUGNO 2020
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“Allora io faccio gli arruolamenti, qui è come fosse una squadra, difesa, attacco e centrocampo”. Così il vice Prefetto Claudio Balletta vedeva la formazione nella quale giocava con Giuseppe Sparaneo e Antonio De Matteo. Per la procura di Benevento, però era una vera e propria associazione a delinquere in grado di intervenire prima, durante e dopo i concorsi pubblici per l’assunzione di personale nei Vigili del fuoco, nella Guardia di Finanza, nella Polizia e nell’Arma dei Carabinieri. I tre sono finiti in carcere su ordine del giudice per le indagini preliminari, Vincenzo Landolfi, che ha accolto la richiesta del procuratore di Benevento Aldo Policastro e il sostituto Francesco Sansobrino. Un provvedimento di quasi 1200 pagine nelle quali sono contenute migliaia di intercettazioni dalle quali emergeva il modus operandi con il quale i tre reclutavano candidati e poi li facevano superare i concorsi. Dalle prove scritte a quelle orali, fino alle visite mediche: il gruppo sembrava onnipotente.

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Dagli atti dell’inchiesta, infatti, emergono le storie di candidati reclutati nonostante con seri problemi cardiaci. “Nelle ultime visite – si raccontano gli indagati – ci sono stati ragazzi con problemi seri (…) a livello cardiaco, a livello di bilirubina, a livello di altri accertamenti, varicocele che è causa di esclusione”, ma per il gruppo non era un problema insuperabile. “Qua riusciamo a giostrare” si dicevano ignari di essere ascoltati dai finanzieri di Benevento guidati dal capitano Carlo Iannuzzo. “Noi possiamo agire perché il terminale è ottimo (…) lo sapete quanti ragazzi abbiamo per il concorso da ispettori? minimo 150“ diceva De Matteo al vice prefetto Balletta, ritenuto dagli inquirenti il capo promotore dell’operazione che al suo complice chiariva un concetto “tu hai capito che li portiamo tutti quanti! il problema è che dobbiamo capire e valutare la situazione!”.
E anche per chi aveva conti in sospeso con la giustizia, il gruppo riusciva a trovare una soluzione su misura: come per uno dei candidati che in fase di selezioni ha dichiarato di non avere carichi pendenti pur essendo sotto processo. “Quando questo è venuto – racconta uno degli indagati – a fare la visita, mi spiegò questa cosa qua, se vi ricordate, là doveva dichiarare se teneva carichi pendenti, non pendenti…e noi gli dicemmo di mettere che non aveva carichi pendenti perché effettivamente ancora non era stato condannato, la causa era in atto e non c’era alcun provvedimento”. Qualcosa però va storto. La falsa dichiarazione del candidato viene a galla e rischia di far saltare il piano. Il giovane urla contro le persone cui ha versato denaro in cambio del posto fisso e la situazione sta per degenerare. A trovare una soluzione, però, secondo quanto si legge negli atti dell’inchiesta è ancora una volta Balletta: “Diventa determinante – scrive il gip Landolfi – l’attivazione risolutiva del Balletta stesso che, anche al fine di salvaguardare l’integrità del sodalizio, interviene proficuamente con la commissione giudicatrice, ottenendo l’immediata convocazione del candidato, bypassando tutte le problematiche sottese non solo al carico pendente in capo allo stesso, ma anche e soprattutto alla circostanza che il giovane aveva dichiarato il falso sottoscrivendo un atto ove aveva omesso di indicare la sussistenza di detti procedimenti a suo carico”. Tutto risolto, insomma.
E lo stesso avveniva per centinaia di giovani che in media, versavano una mazzetta da 20mila euro ciascuno: una montagna di denaro che gli indagati, a volte, non sapevano dove nascondere. Anche per questo i finanzieri hanno ritrovato nel corso delle perquisizioni quasi 250mila euro in contanti nascosto negli armadietti in altri luoghi curiosi. E la richiesta del posto fisso portava al gruppo continui candidati: “Veniamo a noi, dottore quanti ne possiamo portare?” chiedeva Sparaneo in occasione di un imminente selezione, “tutti! – rispondeva Balletta – portiamo i vincitori e gli idonei, visto che vogliono la guerra, capito? Visto che stiamo là! Quando arriveremo lì ci spartiremo le cose con chi le dobbiamo dividere; quanti ne sono 400? questo a me, questo a te, questo al figlio del re!”. Per il gip Landolfi: “Obiettivo costante dell’associazione è approfittare, cinicamente e senza farsi alcuno scrupolo, del desiderio di giovani candidati di ottenere, anche in modo illecito, un impiego stabile nonché della disponibilità dei loro genitori a ‘comprare’ tale impiego dando fondo ai propri risparmi o addirittura – aggiunge il magistrato – indebitandosi”.


Magistrati arrestati: scoperto il «tesoro» di Savasta: 22 case e 12 terreni. Ex pm interrogato a Lecce per 8 ore
Oltre agli immobili intestati a lui (anche con i fratelli), ci sono quelli della moglie (non indagata). I versamenti sui conti
 MASSIMILIANO SCAGLIARINI
19 Marzo 2019
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pm Antonio Savasta
Il pm Antonio Savasta

È durato otto ore l’interrogatorio in carcere a Lecce dell’ex pm di Trani Antonio Savasta arrestato per corruzione il 14 gennaio scorso dalla magistratura salentina assieme al collega ex gip tranese Michele Nardi. Assistito dal proprio legale avvocato Massimo Manfreda, Savasta è stato ascoltato dal pm di Lecce Roberta Licci, titolare dell’inchiesta insieme al procuratore capo Leonardo Leone De Castris. All’uscita del carcere l’avvocato Manfreda si è detto soddisfatto dell’esito dell’interrogatorio. «Una lunghezza necessaria - ha detto Manfreda ai giornalisti che lo attendevano all’uscita del carcere - necessaria per fornire i dovuti chiarimenti. La durata dell’interrogatorio è sintomatica dell’atteggiamento processuale che non è di chiusura. Ci sono delle cose sulle quali abbiamo lealmente fornito la nostra versione, ci sono altri aspetti su cui ci siamo confrontanti altrettanto lealmente e chiaramente». «È stato il terzo interrogatorio - ha detto ancora - e probabilmente almeno in questa fase, l’ultimo. In settimana depositeremo istanza di sostituzione della misura cautelare con la concessione degli arresti domiciliari». «Nel corso dell’interrogatorio la difesa ha anche prodotto un piccolo memoriale difensivo - ha concluso - Sette pagine inerenti questioni oggetto di imputazione e contestazioni provvisoria e sui risultati delle indagini».
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BARI - Il tesoro di Antonio Savasta, l’ormai ex pm arrestato il 14 gennaio per corruzione in atti giudiziari, potrebbe essere nascosto nel mattone. La vecchia regola dei tempi di Giovanni Falcone («segui i soldi») potrebbe risultare decisiva anche nell’inchiesta della Procura di Lecce sulla giustizia svenduta nel Tribunale di Trani, inchiesta che ha finora fatto finire in carcere anche l’ex gip Michele Nardi e che nelle ultime settimane si sta allargando con l’esame di numerosi altri fascicoli. L’ipotesi è sempre la stessa: sentenze e indagini potrebbero essere state truccate in cambio di soldi.
E Savasta, che nell’ultimo mese ha assunto un atteggiamento di collaborazione (dopo aver parlato a lungo ha presentato le dimissioni dall’ordine giudiziario, preludio a una richiesta di scarcerazione) potrebbe aver utilizzato i soldi per accumulare un enorme patrimonio: risulta infatti proprietario (da solo o insieme ai familiari) di 22 unità immobiliari e di 12 terreni nella provincia di Bari, cui si aggiungono altre 8 unità immobiliari (più un terreno) intestati alla moglie dell’ex pm (che non risulta indagata).
A scattare la fotografia del patrimonio di Savasta è stata la Finanza di Firenze, nell’ambito di una inchiesta (quella sui presunti favori all’imprenditore barlettano Luigi D’Agostino) poi trasferita per competenza a Lecce quando sono emersi gli elementi a carico del magistrato in servizio a Trani.
Dal 2015 al 2017, gli anni in cui si sono svolti i fatti contestati nella prima parte dell’inchiesta, Savasta ha dichiarato redditi oscillanti tra i 130 e i 140mila euro, più alti rispetto al solo stipendio di magistrato (in quegli anni circa 110mila euro lordi). La differenza è fatta, appunto, dai redditi di locazione. Ma nel mirino dei militari sono finiti i numerosi bonifici e versamenti sui conti del magistrato, che - solo per fare un esempio - da gennaio a marzo 2018 ha versato assegni per 81mila euro ed ha ricevuto bonifici per oltre 21mila euro. Il quadro complessivo, molto complesso, mostra un elevato numero di operazioni finanziarie (spesso con i parenti), ma anche di operazioni immobiliari effettuate direttamente da lui o dalla moglie. Savasta risulta ad esempio aver effettuato un investimento in un immobile turistico nella zona di Polignano a Mare.
L’analisi delle risultanze patrimoniali potrà essere un valido elemento di riscontro delle accuse oggi al vaglio della Procura di Lecce. Oltre a quelle di Flavio D’Introno, l’imprenditore di Corato che con le sue «confessioni» è stato determinante per l’arresto dei due magistrati (cui ha detto di aver corrisposto negli anni 3 milioni di euro), ci sono numerosi altri casi: ad esempio l’altro imprenditore Paolo Tarantini, di Corato, la cui posizione è all’esame in questi giorni. Ma c’è anche il «re del grano», Francesco Casillo, arrestato nel 2006 su richiesta di Savasta (accolta dal gip Nardi) per lo scandalo del grano all’ocratossina: una inchiesta che nacque dalla denuncia di un esponente della Coldiretti di Spinazzola e si concluse il 4 luglio 2012 con l’assoluzione «perché il fatto non sussiste».
Casillo è stato ascoltato alcune settimane fa dalla pm Roberta Licci. Le sue parole, e la sua stessa posizione, sono adesso in corso di esame. Ieri l’imprenditore ha fornito la sua versione della storia a «Repubblica», raccontando di aver pagato «550mila euro per uscire dal carcere» tramite un intermediario. Oltre a lui, Savasta fece arrestare anche i fratelli Beniamino, Pasquale e Cardenia nell’ambito dell’inchiesta «Apocalisse» sul presunto spietramento della Murgia. L’intermediario avrebbe chiesto ad un amico di famiglia «un milione di euro per risolvere la questione. Promettendo di farlo immediatamente» e alla richiesta di «una prova che, effettivamente, se avessimo pagato saremmo usciti di galera», Francesco Casillo ha raccontato che «mia sorella, incredibilmente, dopo poche ore dal suo arresto fu scarcerata».
La storia, come detto, è ora al vaglio. Ma agli atti dell’inchiesta di Lecce c’è una strana intercettazione ambientale del 1° luglio 2016 in cui Nardi parla in macchina da solo. I carabinieri l’anno considerata «un importante spunto investigativo poiché dalle sue parole traspare, in maniera incontrovertibile, la legittimazione dell’operato del pm Antonio Savasta, nonostante al vicenda Casillo si è conclusa con l’assoluzione del re del grano coratino»: «Casillo è meglio che sta zitto perché il vero scandalo è quando Casillo è stato assolto, e no che è stato messo in galera ed è stato assolto da un collegio» in cui, secondo Nardi, uno dei giudici (non indagato e non coinvolto in alcun modo») aveva la moglie che lavorava per Casillo. «Le tangenti saranno state pagate sì - è la conclusione del monologo di Nardi - ma per essere assolto, non certo per essere messo in galera».
A novembre 2015 Savasta concluse la requisitoria a carico di Francesco Casillo chiedendo 4 anni di carcere, dopo che a novembre 2008 aveva dato il suo assenso a un patteggiamento che avrebbe comportato solo una multa: l’istanza fu però rigettata dal Tribunale perché ritenuta incongrua.


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