GIUSTIZIA IN
CRISI
In Italia ,
sono accaduti fatti ed episodi che denunciano un grave
cortocircuito politico-mediatico-giudiziario e che ha messo in crisi la “Giustizia” , mettendo in serio pericolo
la stessa Democrazia, nonostante che larga parte
della magistratura svolga la propria funzione e il proprio lavoro con dedizione
e professionalità. Infatti , il problema
non riguarda l’intera magistratura, bensì riguarda le sue parti organizzate, il
Consiglio Superiore della Magistratura (CSM ) e la Associazione Nazionale dei Magistrati ( ANM ) .
All’interno si
essi , già da diversi anni , si sono formati gruppi di
potere ( partiti politici, organi di stampa, magistrati e incarichi dirigenziali
) , che in connessione tra loro gestiscono interessi particolari , diretti e immediati, generando
in taluni casi , soprusi , collusioni, iniquità , corruzione, atti al di fuori dei
principi di legalità e di giustizia , quindi al di fuori della stessa Costituzione. Pertanto , sono estremamente urgenti e
indispensabili interventi , autorevoli , da parte del Capo
dello Stato e degli Organi politici istituzionali allo scopo di
procedere a riforme drastiche che riguardano , appunto , il CSM e la ANM , nella loro composizione e funzione ,
onde evitare che il Sistema giudiziario abbia a subire ancora contaminazioni e a
produrre effetti nocivi in danno dei diritti
democratici , costituzionali , di libertà e di giustizia nei confronti dei
cittadini.
Notizie 24 Ore 25 maggio 2020
Ecco la banda dei giudici
corrotti: i dettagli dell’inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura
I dettagli
che stanno venendo fuori sono quasi agghiaccianti, si parla di sentenze
vendute, elezioni annullate, depistaggi. C’è una vera e propria rete di toghe
sporche al lavoro da Milano alla Sicilia
L’articolo uscito oggi sull’Espresso a
firma di Paolo Biondani tira fuori qualcosa di davvero assurdo.
Molti magari
se lo aspettavano pure, ma di sicuro i dettagli che vengono fuori vanno al di
là anche dell’immaginazione.
Su
l’Espresso leggiamo i dettagli:
Un’inchiesta
delicatissima, coordinata dalle Procure di Roma, Messina e Milano, continua a
provocare arresti, da più di un anno, tra magistrati di alto rango. Non si
tratta di casi isolati, con la singola toga sporca che svende una sentenza.
L’accusa, riconfermata nelle diverse retate di questi mesi, è molto più grave:
si indaga su un sistema di contropotere giudiziario, con tutti i crismi dell’associazione
per delinquere, che si è organizzato da anni per avvicinare, condizionare e
tentare di corrompere un numero indeterminato di magistrati. Qualsiasi giudice,
di qualunque grado.
Al centro
dello scandalo ci sono i massimi organi della giustizia amministrativa: il
Consiglio di Stato e la sua struttura gemella siciliana. Sono giudici di
secondo e ultimo grado: decidono tutte le cause dei privati contro la pubblica
amministrazione con verdetti definitivi (la Cassazione può intervenire solo in
casi straordinari). Molti però non sono magistrati: vengono scelti dal potere
politico. Eppure arbitrano cause di enorme valore, come i mega-appalti
pubblici. Interferiscono sempre più spesso nelle nomine dei vertici di tutta la
magistratura, che la Costituzione affida invece al Csm. Possono perfino
annullare le elezioni. L’indagine della procura di Roma ha già provocato decine
di arresti, svelando storie allucinanti di giudici amministrativi con i soldi
all’estero, buste gonfie di contanti, magistrati anche penali asserviti
stabilmente ai corruttori, giri di prostituzione minorile e sentenze svendute
in serie, «a pacchetti di dieci». Con tangenti pagate anche per annullare il
voto popolare. Un attacco alla democrazia attraverso la corruzione.
L’antefatto
è del 2012: un candidato del centrodestra in Sicilia, Giuseppe Gennuso, perde
le elezioni per 90 preferenze e contesta il risultato, avvelenato da una
misteriosa vicenda di schede sparite. In primo grado il Tar boccia tutti i
ricorsi. Quindi il politico siciliano, secondo l’accusa, versa almeno 30 mila
euro a un mediatore, un ex giudice, che li consegna al presidente del Consiglio
di giustizia amministrativa della Sicilia, Raffaele Maria De Lipsis. Che nel
gennaio 2014 annulla l’elezione e ordina di ripetere il voto in nove sezioni
dei comuni di Pachino e Rosolini: quelle dove è più forte Gennuso. Che
nell’ottobre 2014 conquista così il suo seggio, anche se ha precedenti per
lesioni, furto con destrezza ed è indiziato di beneficiare di voti comprati. Il
politico respinge ogni accusa. Che oggi risulta però confermata dalle
confessioni di due potenti avvocati siciliani, Piero Amara e Giuseppe
Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 come grandi corruttori di magistrati.
L’esistenza
di una rete strutturata per comprare giudici era emersa già con le prime
perquisizioni. Nel luglio 2016, in casa di un funzionario della presidenza del
consiglio, Renato Mazzocchi, vengono sequestrati 250 mila euro in contanti e
una copia appuntata di una sentenza della Cassazione favorevole a Berlusconi
sul caso Mediolanum. Altre indagini portano a scoprire, come riassume il
giudice che ordina gli arresti, «un elenco di processi, pendenti davanti a
diverse autorità giudiziarie», con nomi di magistrati affiancati da cifre. Uno
di questi è Nicola Russo, presidente di sezione del Consiglio di Stato, nonché
giudice tributario. Quando viene arrestato, nella sua abitazione spuntano atti
di processi amministrativi altrui, chiusi in una busta con il nome proprio di
Mazzocchi. Negli stessi mesi Russo viene sospeso dalla magistratura dopo una
condanna in primo grado per prostituzione minorile. Oggi è al secondo arresto
con l’accusa di essersi fatto corrompere non solo dagli avvocati Amara e
Calafiore, ma anche da imprenditori come Stefano Ricucci e Liberato Lo Conte.
Negli interrogatori Russo conferma di aver interferito in diversi processi di
altri giudici, su richiesta non solo di Mazzocchi, ma anche di «magistrati di
Roma» e «ufficiali della Finanza». Ma si rifiuta di fare i nomi. Per i giudici
che lo arrestano, la sua è una manovra ricattatoria: l’ex giudice cerca di
«controllare questa rete riservata» di magistrati e ufficiali «in debito con
lui per i favori ricevuti».
Anche De
Lipsis, per anni il più potente giudice amministrativo siciliano, ora è agli arresti
per due accuse di corruzione. Ma è sospettato di aver svenduto altre sentenze.
La Guardia di Finanza ha scoperto che la famiglia del giudice ha accumulato, in
dieci anni, sette milioni di euro: più del triplo dei redditi ufficiali.
Scoppiato lo scandalo, si è dimesso. Ma anche lui ha continuato a fare
pressioni su altri giudici, che ora confermano le sue «raccomandazioni» a
favore di aziende private come Liberty Lines (traghetti) e due società
immobiliari di famiglia dell’avvocato Calafiore, che progettavano speculazioni
edilizie nel centro storico di Siracusa (71 villette e un ipermercato) bocciate
dalla Soprintendenza.
L’inchiesta
riguarda molti verdetti d’oro. Russo è accusato anche di aver alterato le
maxi-gare nazionali della Consip riassegnando un appalto da 338 milioni alla
società Exitone di Ezio Bigotti e altri ricchi contratti pubblici all’impresa
Ciclat. Per le stesse sentenze è sotto inchiesta un altro ex presidente di
sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio: secondo l’accusa, aveva 751
mila euro su un conto svizzero. Per ripulirli, il giudice li ha girati a una
società di Malta degli avvocati Amara e Calafiore.
Tra gli
oltre trenta indagati, ma per accuse ancora da verificare, spicca un altro
presidente di sezione, Sergio Santoro, ora candidato a diventare il numero due
del Consiglio di Stato.
A fare da
tramite tra imprenditori, avvocati e toghe sporche, secondo l’accusa, è anche
un altro ex magistrato amministrativo, Luigi Caruso. Fino al 2012 era un big
della Corte dei conti, poi è rimasto nel ramo: secondo l’ordinanza d’arresto,
consegnava pacchi di soldi alle toghe sporche ancora attive. Lavoro ben
retribuito: tra il 2011 e il 2017 l’ex giudice ha versato in banca 239 mila
euro in contanti e altri 258 mila in assegni.
Nessun commento:
Posta un commento