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E’ DIRITTO E
ANCHE DOVERE
DI CIASCUNO DI
NOI CONOSCERE LA
VERITA’ DEI FATTI
“
05 ottobre
2017
Migranti. Ismu: «Ecco i numeri
del 2017»
di Redazione
13 gennaio
2018
Il 2017 si è chiuso registrando il numero più basso di
migranti giunti via mare sulle coste dei Paesi del Mediterraneo da quando ha
avuto inizio nel 2014 il massiccio flusso di ingressi verso l’Europa. Sono
stati complessivamente poco più di 171mila, meno della metà di quanti
sbarcarono nel 2016
Il 2017 si è
chiuso registrando il numero più basso di migranti giunti via mare sulle coste
dei Paesi del Mediterraneo da quando ha avuto inizio nel 2014 il massiccio
flusso di ingressi verso l’Europa. Sono stati complessivamente poco più di
171mila, meno della metà di quanti sbarcarono nel 2016, e ben lontani
dall’oltre un milione di migranti giunti in Europa via mare nel 2015.
Questi i dati
resi noti oggi dalla Fondazione Ismu, ente di ricerca indipendente da
anni impegnato sui temi della multietnicità e delle migrazioni.
L’Italia nel
2017 è tornata ad essere il principale paese di approdo nel Mediterraneo: i
quasi 120mila migranti sbarcati hanno costituito il 70% di tutti gli arrivi via
mare in Europa. Il 2015 fu l’anno della Grecia, che raccolse l’84% degli arrivi
(857mila, siriani, afghani e iracheni principalmente), mentre nel 2016 dopo
l’accordo con la Turchia gli sbarchi sulle isole greche subirono un
significativo ridimensionamento: Italia e Grecia accolsero rispettivamente
181mila (50%) e 174mila (48%) migranti.
Nel 2017 il
paese del Mediterraneo che ha visto aumentare in modo rilevante gli arrivi è
stato la Spagna: nel 2016 rappresentò il 2,3% per numero di arrivi mentre
nell’anno appena concluso ha visto approdare sulle proprie coste più di 21mila
migranti, con un aumento del 160% rispetto al 2016. Gli incrementi sono
iniziati soprattutto nei mesi estivi, quando al contrario si è registrato il
drastico rallentamento degli arrivi in Italia dovuti in particolare agli
accordi con la Libia. Nel nostro paese gli sbarchi sono calati di un terzo
rispetto all’anno precedente.
Relativamente
alle provenienze dei migranti si rilevano differenze tra i Paesi di approdo:
tra le nazionalità dichiarate al momento dello sbarco in Italia nel 2017 hanno
prevalso quelle della Nigeria, della Guinea, della Costa d’Avorio e del
Bangladesh. In Grecia sono giunti soprattutto siriani, iracheni e afghani. In
Spagna, via mare e via terra, sono arrivati migranti dal Marocco, dall’Algeria,
dalla Costa d’Avorio e dalla Guinea.
Morti e
dispersi nel Mediterraneo. E' rimasto significativo anche il numero di persone che hanno perso la vita
nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare: nel 2017 si stimano 3.116 i
migranti morti o dispersi nelle acque del Mediterraneo, e principalmente nella
più pericolosa rotta del Mediterraneo Centrale dal Nord Africa- Libia
all’Italia. Nel 2017 infatti ci sono stati 18 morti e dispersi ogni 1000
sbarcati, la proporzione più alta del quadriennio considerato – era 14,2‰ nel
2016, 3,7‰ nel 2015 quando i migranti attraversarono il Mediterraneo nella
rotta orientale e sbarcarono soprattutto in Grecia, e 15,2‰ nel 2014.
Andamento
degli sbarchi in Italia dal 2014 al 2017. Osservando i dati mensili del triennio 2014-2016, la
situazione italiana evidenzia un andamento piuttosto omogeneo con sbarchi più
numerosi nei mesi estivi - con qualche eccezione come il mese di ottobre del
2016 che in assoluto ha registrato il più alto numero di migranti sbarcati
(oltre 27mila) e a settembre 2014 con 26mila sbarcati - mentre nel 2017, appena
concluso, tale andamento si è interrotto e gli arrivi sono calati anche fino
all’80%. La riduzione degli arrivi ha riguardato anche la componente dei minori
non accompagnati, che sono stati 15.731 nell’anno 2017 (-39% rispetto all’anno
precedente). Tale componente risulta tuttavia ancora molto significativa in
termini relativi: ha rappresentato infatti il 13% degli arrivi via mare
dell’anno.
Richieste
d’asilo: nel 2017 sono state 130mila. Anche sul fronte delle richieste di asilo l’andamento
nel corso dell’anno appena concluso evidenzia un calo nel numero delle domande
presentate a partire da luglio-agosto, parallelamente a quanto è avvenuto per
gli sbarchi – sebbene come è noto le richieste di asilo riguardino anche
migranti giunti via terra e via aerea. Complessivamente nel 2017 sono state
130mila le richieste di asilo, con un lieve aumento rispetto all’anno
precedente (+5,4%), e presentate soprattutto da nigeriani, bangladesi,
pakistani, gambiani e ivoriani.
Nel 2017
sono state esaminate oltre 80mila domande, 10mila meno rispetto al 2016. Si
conferma molto significativo il numero di migranti a cui non è stata
riconosciuta alcuna forma di protezione: il 60% del totale, cioè 47.839 casi (i
dinieghi comprendono anche gli irreperibili).
E’ cresciuto
il numero di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato, status che nel
2017 ha costituito l’8,5% degli esiti - era il 5,5% l’anno precedente - mentre
si è fortemente ridimensionata la protezione sussidiaria che nel 2016 era stata
concessa a oltre 11mila migranti e nel 2017 a 5.800. Una domanda su quattro ha
avuto come esito la protezione umanitaria.
Relocation:
il 43% dei richiedenti protezione internazionale è stato trasferito in
Germania. Infine, uno
sguardo ai dati relativi al programma di “relocation” avviato a
settembre 2015 dalla Commissione Europea a beneficio dell’Italia e della
Grecia, i Paesi europei maggiormente soggetti alla pressione del fenomeno
migratorio.
Al 31
dicembre 2017 sono stati trasferiti dall’Italia in un altro Stato Membro 11.464
richiedenti protezione internazionale. Si tratta quasi esclusivamente di
cittadini eritrei (95% dei casi) e solo di 521 siriani e 98 di altre
provenienze che possono beneficiare del programma. Tra i trasferiti anche
minori accompagnati (1.083) e minori soli (99).
I
richiedenti protezione internazionale sono stati accolti soprattutto dalla
Germania, dove è stato ricollocato il 43% dei migranti. Seguono Svezia (10,6%)
e Svizzera (7,8%); quest’ultima pur non facendo parte dell’Unione Europea
grazie ad accordi bilaterali con l’Italia ha reso disponibili posti per il
ricollocamento.
ROMA – Medici per i Diritti Umani (MEDU) ha presentato oggi, presso la Sala della Stampa
Estera a Roma, ESODI 2017 la nuova web map sulle rotte migratorie dai
paesi sub-sahariani verso l’Europa. ESODI è una mappa interattiva
realizzata sulla base di duemilaseicento testimonianze raccolte da Medici per i
Diritti Umani in quasi quattro anni (2014-2017), di cui oltre la metà nel
solo 2017. La mappa interattiva - arricchita di video testimonianze, di grafici
e di statistiche - racconta nel modo più semplice e dettagliato possibile le
rotte affrontate dai migranti dall’Africa subsahariana all’Italia, le
difficoltà, le violenze, le tragedie e le speranze attraverso le voci dei
protagonisti.
LA MAPPA DELLE MIGRAZIONI
In Libia la situazione più drammatica. La situazione più drammatica è in questo momento in Libia come testimoniano i racconti dei migranti in questi giorni a Tripoli, Sabha, Gharyan, Beni Walid, Zawia e Sabratha. Gli imbarchi dalle coste libiche sono drasticamente diminuiti dopo la firma dei nuovi accordi italo-libici come anche gli ingressi di migranti nel territorio libico dal Niger e dal Sudan, paesi chiave dei flussi migratori provenienti da Africa occidentale e Corno d’Africa, in conseguenza degli accordi stipulati da Italia ed Unione europea con questi stati.
Il tragico risultato di certe politiche. Il risultato di queste politiche è tragico: centinaia di migliaia di migranti bloccati in Libia, la maggior parte dei quali in condizioni di detenzione, sequestro e schiavitù. Le migliaia di testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani descrivono un paese che oggi è una sorta di grande lager per i migranti, sottoposti a violenze ed abusi gravissimi; un paese dove si commettono crimini contro l’umanità su vasta scala; un paese che è diventato un luogo di morte e di tortura per centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini. A fronte di un quadro di questa gravità, la comunità internazionale è chiamata a rispondere con la massima energia ed urgenza.
I 30 centri di detenzione con dentro da 6 a 15 mila persone. In questo contesto si stima che i 30 centri di detenzione formalmente sotto il controllo del governo libico di Al Sarraj contengano attualmente un numero che oscilla tra le seimila e le quindicimila persone. Le restanti decine di migliaia di migranti si trovano in un enorme buco nero fatto di luoghi di detenzione e di sequestro controllati da milizie, trafficanti e bande criminali come gli Asma Boys.
Le colpe dell'Europa e delI' Italia. Se infatti l’accordo italo-libico dello scorso febbraio, avallato dall’Europa, prevedeva teoricamente due obiettivi strategici fondamentali – il contrasto dei flussi migratori verso l’Italia e il miglioramento delle condizioni di vita dei migranti in quelli che il memorandum definisce “centri d’accoglienza” libici – emerge oggi con tutta evidenza che, mentre il primo scopo viene pervicacemente perseguito, il secondo risulta del tutto disatteso, rendendo di fatto l’Italia e l’Unione europea corresponsabili delle atrocità che si stanno consumando in Libia. Al di là delle dichiarate buone intenzioni, infatti, le iniziative umanitarie messe in campo, o previste, sia da parte del governo italiano sia da parte delle organizzazioni internazionali, risultano drammaticamente insufficienti di fronte alle dimensioni di questa catastrofe umana; in pratica come pretendere di svuotare una palude con un cucchiaio.
L'85% dei migranti ha subito torture. Secondo i dati raccolti da Medici per i Diritti Umani in questi ultimi quattro anni -confermati se non aggravati negli ultimi mesi – l’85% dei migranti giunti dalla Libia ha subito torture e trattamenti inumani e degradanti e nello specifico il 79% è stato detenuto/sequestrato in luoghi sovraffollati ed in pessime condizioni igienico sanitarie, il 60% ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche, il 55% gravi e ripetute percosse e percentuali inferiori ma comunque rilevanti stupri e oltraggi sessuali, ustioni provocate con gli strumenti più disparati, falaka (percosse alle piante dei piedi), scariche elettriche e torture da sospensione e posizioni stressanti. Tutti i migranti detenuti hanno subito continue umiliazioni e in molti casi oltraggi religiosi e altre forme di trattamenti degradanti. Nove migranti su dieci hanno dichiarato di aver visto qualcuno morire, essere ucciso o torturato. Alcuni sopravvissuti sono stati costretti a torturare altri migranti per evitare di essere uccisi. Numerosissime le testimonianze di migranti costretti ai lavori forzati o a condizioni di schiavitù per mesi o anni. Questi dati, probabilmente addirittura sottostimati, rappresentano, a nostro avviso, un quadro fedele delle violenze sistematiche a cui vengono sottoposti tutti i migranti che giungono dalla Libia nel nostro paese.
Le atrocità comprovate da evidenze fisiche e psichiche. Le atrocità raccontate dai testimoni trovano conferma nelle sequele fisiche e psichiche rilevate nei sopravvissuti dai medici di Medu. L’82% dei pazienti visitati presentava ancora segni fisici, spesso gravi, compatibili con le violenze riferite. Oltre ai segni fisici vi sono poi, spesso più insidiose e invalidanti, le conseguenze psicologiche e psicopatologiche. Tra i disturbi psichici più frequentemente rilevati dai medici e dagli psicologi di Medu, vi sono il Disturbo da stress post traumatico (PTSD) e altri disturbi correlati ad eventi traumatici ma anche disturbi depressivi, somatizzazioni legate al trauma, disturbi d'ansia e del sonno.
Non sono persone di second'ordine. A fronte di un quadro di tale gravità, Medici per i Diritti Umani chiede una reazione adeguata ed immediata da parte dell’Italia, dell’Unione europea e della comunità internazionale. Centinaia di migliaia di persone condannate a queste atrocità non possono essere considerate esseri umani di second’ordine. Così come è stato possibile arrestare il flusso migratorio nell’arco di pochi mesi, con altrettanta rapidità e determinazione deve essere garantita incolumità e protezione ai migranti intrappolati nel lager libico. I centri di detenzione libici, anche quelli sotto il controllo governativo, sono chiaramente non riformabili ed è pertanto necessaria l’immediata attivazione nel paese nordafricano di centri di accoglienza sotto il controllo della comunità internazionale, con il contributo operativo di Unhcr e Oim, dove siano garantite ai migranti la possibilità di fare richiesta di protezione internazionale o la possibilità di un rimpatrio sicuro.
I motivi delle fughe. I dati e le testimonianze raccolti da ESODI descrivono, tra l’altro, i motivi della fuga dai paesi d’origine (meno del 10% dei testimoni adduce esclusive motivazioni economiche), evidenziando come la distinzione tra rifugiati e migranti economici sia ormai una concezione vecchia quanto il muro di Berlino, incapace di descrivere la complessità del mondo attuale, in cui le dimensioni della povertà, delle persecuzioni e della violenza si intrecciano nei percorsi di vita individuali delle persone in fuga. In una più ampia prospettiva risulta quanto mai necessario attivare corridoi umanitari per le persone in fuga da guerre e persecuzioni così come attivare canali di ingresso legali verso l’Italia e l’Europa.
LA MAPPA DELLE MIGRAZIONI
In Libia la situazione più drammatica. La situazione più drammatica è in questo momento in Libia come testimoniano i racconti dei migranti in questi giorni a Tripoli, Sabha, Gharyan, Beni Walid, Zawia e Sabratha. Gli imbarchi dalle coste libiche sono drasticamente diminuiti dopo la firma dei nuovi accordi italo-libici come anche gli ingressi di migranti nel territorio libico dal Niger e dal Sudan, paesi chiave dei flussi migratori provenienti da Africa occidentale e Corno d’Africa, in conseguenza degli accordi stipulati da Italia ed Unione europea con questi stati.
Il tragico risultato di certe politiche. Il risultato di queste politiche è tragico: centinaia di migliaia di migranti bloccati in Libia, la maggior parte dei quali in condizioni di detenzione, sequestro e schiavitù. Le migliaia di testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani descrivono un paese che oggi è una sorta di grande lager per i migranti, sottoposti a violenze ed abusi gravissimi; un paese dove si commettono crimini contro l’umanità su vasta scala; un paese che è diventato un luogo di morte e di tortura per centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini. A fronte di un quadro di questa gravità, la comunità internazionale è chiamata a rispondere con la massima energia ed urgenza.
I 30 centri di detenzione con dentro da 6 a 15 mila persone. In questo contesto si stima che i 30 centri di detenzione formalmente sotto il controllo del governo libico di Al Sarraj contengano attualmente un numero che oscilla tra le seimila e le quindicimila persone. Le restanti decine di migliaia di migranti si trovano in un enorme buco nero fatto di luoghi di detenzione e di sequestro controllati da milizie, trafficanti e bande criminali come gli Asma Boys.
Le colpe dell'Europa e delI' Italia. Se infatti l’accordo italo-libico dello scorso febbraio, avallato dall’Europa, prevedeva teoricamente due obiettivi strategici fondamentali – il contrasto dei flussi migratori verso l’Italia e il miglioramento delle condizioni di vita dei migranti in quelli che il memorandum definisce “centri d’accoglienza” libici – emerge oggi con tutta evidenza che, mentre il primo scopo viene pervicacemente perseguito, il secondo risulta del tutto disatteso, rendendo di fatto l’Italia e l’Unione europea corresponsabili delle atrocità che si stanno consumando in Libia. Al di là delle dichiarate buone intenzioni, infatti, le iniziative umanitarie messe in campo, o previste, sia da parte del governo italiano sia da parte delle organizzazioni internazionali, risultano drammaticamente insufficienti di fronte alle dimensioni di questa catastrofe umana; in pratica come pretendere di svuotare una palude con un cucchiaio.
L'85% dei migranti ha subito torture. Secondo i dati raccolti da Medici per i Diritti Umani in questi ultimi quattro anni -confermati se non aggravati negli ultimi mesi – l’85% dei migranti giunti dalla Libia ha subito torture e trattamenti inumani e degradanti e nello specifico il 79% è stato detenuto/sequestrato in luoghi sovraffollati ed in pessime condizioni igienico sanitarie, il 60% ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche, il 55% gravi e ripetute percosse e percentuali inferiori ma comunque rilevanti stupri e oltraggi sessuali, ustioni provocate con gli strumenti più disparati, falaka (percosse alle piante dei piedi), scariche elettriche e torture da sospensione e posizioni stressanti. Tutti i migranti detenuti hanno subito continue umiliazioni e in molti casi oltraggi religiosi e altre forme di trattamenti degradanti. Nove migranti su dieci hanno dichiarato di aver visto qualcuno morire, essere ucciso o torturato. Alcuni sopravvissuti sono stati costretti a torturare altri migranti per evitare di essere uccisi. Numerosissime le testimonianze di migranti costretti ai lavori forzati o a condizioni di schiavitù per mesi o anni. Questi dati, probabilmente addirittura sottostimati, rappresentano, a nostro avviso, un quadro fedele delle violenze sistematiche a cui vengono sottoposti tutti i migranti che giungono dalla Libia nel nostro paese.
Le atrocità comprovate da evidenze fisiche e psichiche. Le atrocità raccontate dai testimoni trovano conferma nelle sequele fisiche e psichiche rilevate nei sopravvissuti dai medici di Medu. L’82% dei pazienti visitati presentava ancora segni fisici, spesso gravi, compatibili con le violenze riferite. Oltre ai segni fisici vi sono poi, spesso più insidiose e invalidanti, le conseguenze psicologiche e psicopatologiche. Tra i disturbi psichici più frequentemente rilevati dai medici e dagli psicologi di Medu, vi sono il Disturbo da stress post traumatico (PTSD) e altri disturbi correlati ad eventi traumatici ma anche disturbi depressivi, somatizzazioni legate al trauma, disturbi d'ansia e del sonno.
Non sono persone di second'ordine. A fronte di un quadro di tale gravità, Medici per i Diritti Umani chiede una reazione adeguata ed immediata da parte dell’Italia, dell’Unione europea e della comunità internazionale. Centinaia di migliaia di persone condannate a queste atrocità non possono essere considerate esseri umani di second’ordine. Così come è stato possibile arrestare il flusso migratorio nell’arco di pochi mesi, con altrettanta rapidità e determinazione deve essere garantita incolumità e protezione ai migranti intrappolati nel lager libico. I centri di detenzione libici, anche quelli sotto il controllo governativo, sono chiaramente non riformabili ed è pertanto necessaria l’immediata attivazione nel paese nordafricano di centri di accoglienza sotto il controllo della comunità internazionale, con il contributo operativo di Unhcr e Oim, dove siano garantite ai migranti la possibilità di fare richiesta di protezione internazionale o la possibilità di un rimpatrio sicuro.
I motivi delle fughe. I dati e le testimonianze raccolti da ESODI descrivono, tra l’altro, i motivi della fuga dai paesi d’origine (meno del 10% dei testimoni adduce esclusive motivazioni economiche), evidenziando come la distinzione tra rifugiati e migranti economici sia ormai una concezione vecchia quanto il muro di Berlino, incapace di descrivere la complessità del mondo attuale, in cui le dimensioni della povertà, delle persecuzioni e della violenza si intrecciano nei percorsi di vita individuali delle persone in fuga. In una più ampia prospettiva risulta quanto mai necessario attivare corridoi umanitari per le persone in fuga da guerre e persecuzioni così come attivare canali di ingresso legali verso l’Italia e l’Europa.
Secondo l’Unhcr (Alto commissariato
delle Nazioni Unite per i rifugiati) più della metà dei migranti complessivi
che arrivano nell’Unione europea provengono da Siria, Iraq e
Afghanistan. In Italia la tendenza è diversa: la gran parte dei migranti
proviene da paesi dell’Africa subsahariana. Cerchiamo di fare un breve quadro
dei flussi migratori per spiegare da dove provengono i migranti e perché
abbandonano i loro paesi d’origine.
Anche se spesso si sente parlare di “emergenza”,
quella dei migranti non può più essere definita tale, non avendo più nulla di
straordinario e improvviso. I flussi migratori degli ultimi anni, pur
considerando alcuni picchi rilevanti, si mantengono relativamente stabili e
prevedibili. Al netto delle affermazioni propagandistiche di alcuni gruppi politici e di interesse, la
percezione diffusa riguardo ai migranti è spesso di diffidenza, legata anche
all’ignoranza delle cause che obbligano queste persone a scappare dal proprio
paese d’origine.
I migranti che giungono in Europa provengono
perlopiù dall’Africa subsahariana, dal Medio Oriente e da alcuni paesi asiatici
come il Bangladesh e superano, oltre a grandi ostacoli naturali – il
deserto del Sahara, il Mar Mediterraneo – territori pericolosi come
il Mali e la Libia. Paesi politicamente instabili, in guerra o sotto dittature,
molto poveri oppure – e in futuro saranno la maggioranza – colpiti da sconvolgimenti climatici.
Maggiori
rotte migratorie verso l’Europa –
Se esaminiamo le nazionalità di appartenenza più rappresentate
nei flussi che attraversano il Mediterraneo, secondo i dossier dell’Unhcr, tre Stati la cui
situazione non ha bisogno di molte presentazioni sono all’origine di quasi la
metà dei migranti:
Siria
Uno Stato smembrato da una guerra civile catastrofica
che dura dal 2011, di cui ha approfittato Isis per occupare grandi territori e
che ha causato centinaia di migliaia di morti e milioni di rifugiati. Tra il 25% ed il 29% dei
migranti che arrivano in Europa provengono dalla Siria.
Afghanistan
Paese dalla situazione politica ed economica
storicamente critica, che non
si è più risollevato
dopo l’intervento statunitense del 2001, ed è frammentato oltre che dilaniato
da scontri tra il debole governo, i talebani e vari signori della guerra. La
quota di afghani arrivati nel continente europeo si aggira intorno
al 14%.
Iraq
A seguito dell’intervento statunitense del 2003 e
della caduta di Saddam, il paese è estremamente instabile anche a causa
dell’eterogenea composizione etnica e confessionale. Parte del territorio è
ancora occupato da Isis. Circa il 9% dei migranti che arrivano in Europa
sono irakeni.
Se si considerano invece gli arrivi in territorio
italiano, le percentuali cambiano: la maggior parte dei migranti
provengono da paesi dell’Africa subsahariana.
Nigeria
Una nazione affacciata sul golfo di Guinea, ex colonia
inglese arricchitasi grazie al petrolio, minacciata a nord dal terrorismo
islamico di Boko Haram, gruppo affiliato al sedicènte Califfato che si è reso
artefice di brutali violenze. Nemmeno a sud del Paese la situazione è
tranquilla, a causa di una costante guerriglia legata al controllo
dei pozzi petroliferi del Delta del Niger. In Italia il maggior numero di
migranti (il 19%) proviene da questo paese.
Eritrea
Ex colonia italiana nel Corno d’Africa. Dittatura
militare da cui fuggono molti giovani per evitare una leva a tempo indeterminato. Avevamo
parlato della situazione in Eritrea in questo nostro articolo. Sono eritrei all’incirca il 13%
dei migranti che arrivano in Italia.
Sudan
Una dittatura de facto dal 1989, ex colonia inglese. Il conflitto nel paese è
endemico Pur essendo uscito da una sanguinosa guerra civile (ufficialmente
terminata nel 2005), continua ad avere una situazione politica estremamente
difficile, da cui fuggire. In Italia la quota di migranti in arrivo da questo
Paese è circa del 7%.
Gambia
Un piccolo paese sulla costa occidentale dell’Africa,
anch’esso ex colonia inglese; dal 1994 è governato da Yahya Jammeh, salito al
potere con un colpo di stato e confermato da successive elezioni. Secondo le associazioni per i diritti umani nel paese si
verificano rapimenti, detenzioni arbitrarie e torture. Il 7% dei
migranti in che affluiscono in Italia è originario del Gambia.
Costa d’Avorio
Ex colonia francese in Africa Occidentale, colpita nel
2010 da una grave crisi politica e da scontri civili interni, in questo momento
sembra abbia imboccato la strada della riconciliazione e della ricostruzione:
gli Usa hanno recentemente eliminato le sanzioni imposte da
Bush all’epoca della guerra civile del 2006. Anche in questo caso, la quota
degli arrivi si attesta intorno al 7% del totale.
Somalia
Considerata un altro “Stato fallito”, questa ex
colonia italiana nel Corno d’Africa è dilaniata da guerra civile che, con alti e bassi, prosegue dagli anni ‘80. Sono
somali il 5% delle persone che attraversano il Mediterraneo.
Percentuali minori di rifugiati provengono da
Paesi come il Mali, il Ciad e molti altri. Un discorso a parte merita la
Libia, ovvero la nazione per la quale passa buona parte dei migranti
dell’Africa subasahariana, e da cui partono la maggior parte dei barconi
diretti verso le coste italiane:
la Libia è infatti nella maggioranza dei
casi l’ultima tappa africana dei grandi percorsi migratori che hanno
come obiettivo l’Europa e che partono dall’Africa, ma non produce di per
sé un alto numero di migranti.
Quote dei
profughi presenti nei territori europei –
A seguito della guerra civile, della deposizione
Gheddafi e del caos che ne è conseguito, la Libia si è andata ad
aggiungere alla lista degli “Stati falliti”. I governi di Tripoli (che controlla l’ovest
del Paese) e di Tobruk (che controlla la parte est) sono entrambi impegnati
nella lotta contro le fazioni islamiste e contro l’Isis, ma non sono mai
riusciti a giungere ad un accordo che potesse contemplare la formazione di un
governo di unità nazionale capace di operare su tutto il territorio.
A causa della sempre più forte pressione politica,
spesso le istituzioni europee sembrano essere restie a concedere lo status
di rifugiato a molte persone che, in linea teorica, dovrebbero averne diritto,
in base agli standard internazionali. In tal senso è emblematico il recente
episodio, accaduto in Italia, che riguarda la deportazione diretta di 48 sudanesi in Sudan,
effettuata ignorando i tradizionali passaggi burocratici e di garanzia. Come
visto, il Sudan è uno Stato dalla situazione politica critica, e il
suo Presidente, Omar al-Bashir, è stato giudicato colpevole di diversi reati dalla Corte Penale
Internazionale, tra cui crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio
(per via delle vicende che hanno riguardato il Darfur): è il primo Capo di
Stato incriminato nella storia della Corte per tali reati.
L’Unione
europea è evidentemente in difficoltà, e non sembra ancora capace di perseguire
strade più rispettose dei suoi stessi principi fondanti
Nel frattempo in Ungheria il referendum contro la distribuzione delle
quote Ue dei migranti – appena 1.200 quelli che avrebbero dovuto essere
ospitati nel Paese magiaro – non raggiunge di poco il quorum, ma vede una
vittoria netta del rifiuto della quota ungherese. Questo mentre in Italia
si ricorda l’anniversario del grande naufragio
del 2013 e si affronta una delle giornate più difficili per quel che riguarda i
salvataggi in mare: il 3 ottobre, infatti, 5.600 migranti vengono recuperati nel Canale di Sicilia. L’estate è
finita.
Federico De Salvo
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